
Tutti abbiamo sentito parlare del critico d’arte, una figura più o meno simpatica che interpreta, spiega e – a volte – rende accessibili gli arcani dell’arte. Le sue parole, il suo gusto e le sue scelte dovrebbero orientare tutti coloro che girano attorno a questo ambiente e quindi, perché no, influenza anche il mercato.
Gli artisti però non sempre li amano, questi critici, e faticano ad aprirsi a loro, fino addirittura ad averne diffidenza.
I critici, del resto, sono un po’ come i politici coi cittadini: a volte si chiudono nel loro mondo e credono di essere in grado di capire l’opera, senza veramente interagire con l’artista. E cosî spesso i racconti più belli, gli aspetti piu illuminanti, per entrare nell’universo dell’artista non vengono da uno specialista, ma da chi era loro un amico.
Riflettevo su questo perchè alla radio in questi giorni mi è capitato di ascoltare due testimonianze sull’opera e sulla vita di Alberto Burri. Quest’anno infatti ricorre il centenario della sua nascita e in Italia e all’estero vengono lanciati studi, mostre, approfondimenti su questo grande artsta italiano del XX secolo (per vedere la varietà di eventi in programma consiglio consultare da subito il sito www.burricentenario.com) . La sua diffidenza per la critica era proverbiale. Ora, la trasmissione che ho ascoltato riportava appunto due interviste: quella a un critico d’arte e quella al fotografo, e amico di Burri, Aurelio Amendola.
Le due interviste suonavano molto diverse: colta e oscura quella del critico, vera e sincera quelle del fotografo e amico dell’artista. Quest’ultimo ne ha fatto un ritratto intressante ricordandoci l’incontro tra Burri e lo scultore Marino Marini, ma anche citando un episodio di vita e amicizia che dice molto sull’opera di questo grande artista. Una volta, infatti, Burri accettò di essere fotografato mentre realizzava le sue prime combustioni, lavorando con foga e intensità come era solito fare. Ma lanciò al fotografo un avvertimento preliminare, che in verità racchiudeva la chiave di interpretazione del suo operare. Gli disse: “guarda che quando comincio a bruciare le plastiche, io non mi posso fermare per farmi fotografare”. Questa semplice frase spiegava il processo di automatismo mentale che avrebbe guidato l’artista, deciso a operare senza alcuna riflessione progettuale. E questo è un punto essenziale per l’opera informale di Alberto Burri.

A volte la lettura di un opera da parte di un critico puo farci raggiungere il cuore dell’opera stessa, ma resto altresì convinta che esista un patrimonio di memorie, contatti, scambi e conoscenze dirette, capace di raccontare e illuminare la vita di grandi artsti: sono testimonianze importanti da salvare e fare conoscere.