Ieri il il giorno della memoria. Memoria che si vorrebbe cancellare, che ancora brucia terribilmente, che alcuni, folli senza il senso della storia, addirittura negano.
Vogliamo affrontare questo argomento senza premere ancora una volta sul pulsante delle emozioni che a tutt’oggi sono suscitate dalle storie dei protagonisti sopravvissuti, certe che nessuna parola sarebbe abbastanza adeguata a descrivere la follia della shoa.
Gettiamo allora uno sguardo alla produzione “artistica” tedesca di quei terribili anni, per dimostrare come anche una parte dell’arte avesse subito il fascino perverso delle idee nazional socialiste del Terzo Reich. Vogliamo parlare di un film girato nel 1940, un film il cui regista all’epoca non solo vinse un premio dalla Universum Film Archiv, casa di produzione tedesca molto famosa nella prima parte del Ventesimo secolo, ma addirittura fu presentato alla ottava Mostra Internazionale del Cinema di Venezia: Suss l’ebreo di Veit Harlan. Prodotto del più bieco e rozzo antisemitismo, in realtà il soggetto è tratto da una novella di Lion Feuchtwagner del 1926, che narra la storia di Josef Süss Oppenheimer, tesoriere del Ducato di Wurttemburg nel ‘700, giustiziato a Stoccarda per appropriazione di fondi dello stato. La storia non aveva nessun contenuto antisemita, a maggior ragione perché l’autore stesso era ebreo. Fu la propaganda del Terzo Reich, nella persona del primo ministro Goebbels a suggerire l’adattamento antisemita del soggetto, dopo aver assistito alla proiezione della prima versione cinematografica della novella realizzata in Inghilterra negli anni ’30. Fu così che la pellicola si trasformò in una delle più incredibili armi di propaganda del regime nazista tanto che venne imposto da Himmler alle truppe della Wehrmacht come visione obbligatoria e edificante.
L’opera dunque occupa un posto d’onore in quella che fu la ben oliata macchina propagandistica nazista, tanto ben alimentata che indusse un intero popolo a condividere la follia omicida di alcuni.