2017 anno di Biennali d’arte. Tutti lo sanno e tutti si stanno già preparando. Cominciano già i primi commenti e le prime classificazioni. La rivista Beaux Arts di gennaio ad esempio ha così schematizzato:
La Biennale di Atene ( 8 aprile-16 luglio) sarà quella più politica. In collegamento con Documenta di Kassel si focalizzerä sulla crisi europea e sull’incertezza del futuro.
La Biennale di New York ( 17 marzo-11 giugno) sarà la più angosciosa. Infatti i 63 artisti americani invitati al nuovo Whitney Museum dovranno confrontarsi con l’arrivo di Donald Trump e coi valori di nazione e identità nazionale.
La Biennale del Québec ( 18 febbraio .-14 maggio) sarà la più gioiosa e questo perché la sua curatrice Alexia Fabre ha scelto come tema “l’arte della gioia”.
La Biennale di Venezia (13 maggio-26 novembre) Beux Art l’ha definita la più eccitante. Viva Arte Viva questo è il titolo del progetto della curatrice di questa edizione Christine Macel, promette bene, e comunque la Biennale di Venezia mantiene ancora il ruolo della più antica e importante di tutte le biennali nel mondo.
Ma a cosa serve una biennale? lo spiega bene Gillo Dorfles “La Biennale dovrebbe cercare di dare un ordine al presente. Dovrebbe esporre quanto di meglio c’è in un determinato momento storico. Ma dovrebbe anche saper valorizzare le prove di un bravo studente dell’Accademia, fuori dal sistema sociale”.

Ci riusciranno? staremo vedere.
Intanto però chi volesse fare una carrellata sulle cose accadute a Venezia dagli anni Quaranta fino al 2010 può leggere un interessantissimo libro dal titolo Inviato alla Biennale, Libri Scheiwiller dove vengono raccolti tutti gli articoli e recensioni fatti da Gillo Dorfles in tutti questi anni.
Vi sorprenderete quanto artisti presenti alla Biennale sono poi finiti nel dimenticatoio, al contrario quanti giovani segnalati invece sono diventati famosi e come cambia e si muta il gusto. Molto interessante infine vedere come negli anni la pittura e la scultura hanno ceduto il passo all’installazione, al video e alla fotografia e siamo entrati nel tempo definito da Dorllfes “della deregulation linguistica”.