
Nel 2009 Alice, una giovane cooperante italiana, viene ritrovata morta sulle spiagge della Mauritania, assieme ad altri migranti che stavano cercando di raggiugnere l’Europa attraverso le isole Canarie. Perché era lì anche lei, sulla quella barca? Cosa ci faceva? Partendo da queste storia, realmente accaduta, il regista Pierre -Alain Meier ha cominciato a lavorare al film Adieu à l’Afrique, presentato in questi giorni al Festival Vision du réel, di Nyon, in Svizzera.
Un film che ci interroga sul coraggio gratuito e generoso di tante persone che lavorano nelle Ong. Dal film si scopre che Alice ha fatto la scelta di salpare su questa carretta del mare solo per proteggere una giovane amica senegalese, sedicenne. Alice ha cercato di spiegarle i pericoli del viaggio, ma la ragazza voleva andare via, voleva andare in Spagna perché sognava una vita nuova. Alice era felice in Senegal: voleva rimanere per sempre lì a lavorare. E’ salita sulla barca per accompagnare l’amica e poi tornare indietro.
Il film mi ha fatto pensare all’energia dei giovani che sentono dentro di sé la spinta al cambiamento, la necessità di cercare di una nuova vita.
Pensavo alla spinta dei giovani dell’Erasmus, pensavo ad Alice e a tutti i giovani volontari internazionali che partono per luoghi difficili e poi vi rimangono come scelta di vita, ma anche alla giovane senegalese che è partita perché ha scelto il nostro continente per cambiare vita. Questa spinta è il nuovo mondo che avanza, è ciò che cambierà il volto delle nostre città, del nostro vivere: fa davvero paura? Ma con quale diritto facciamo di tutto per ostacolarla? E poi: si può davvero arrestarla?