-“Cosa possiamo fare ?” – “Mah, potremmo andare a vedere la mostra di Sol Lewitt”. Dialogo preso dal film Manhattan, ambientato nella Grande Mela degli anni settanta del novecento. Mi è tornato in mente visitando, appunto, la mostra di Sol Lewitt, aperta a Milano, alla fondazione Carriero, a cura di Francesco Stocchi e Rem Koolhaas. L’esposizione è un incanto, sia per le opere ivi riunite, sia per il modo in cui è allestita negli spazi, non grandi, della Fondazione. Un pensiero vi accompagna per tutta la visita dei tre piani del palazzo: il dialogo della geometria, le forme essenziali geometriche che vengono messe a nudo raccontano lo scheletro della storia dell’arte. “Il quadrato e il cubo- ci ha spiegato bene l’artista- non hanno la potenza espressiva di altre forme” e per questo “ liberati dalla necessità di essere significativi di per sé” divengono “congegni grammaticali da cui prendere l’avvio all’opera” . E’ questo che succede quando vedi le opere di Sol Lewitt: sei portato a pensare non a ciò che provi ma cosa sottintende un atto artistico, quali sono i meccanismi che fondano l’arte e quali sono tutte le sue potenzialità.
E davvero ottima è la selezione delle opere. Le structures bianche e nere, i wall drawings composti di linee tracciate sui muri,, seguono un unico pensiero: indagare, riflettere, sul processo che costituisce l’arte.
Sol Lewitt è un gigante!