
Cinquant’anni! tanti ne sono passati dal mitico 1968. Per chi come me era nato da poco ha costituito un feticcio della nostra giovinezza. Da un lato ci dicevano di essere fortunati, perché grazie alle lotte di coloro che l’avevano vissuto pienamente potevamo crescere in una società più libera ed eguale. Il che ci faceva piacere! Dall’altro ce la menavano a mille con l’epopea delle lotte giovanili e politiche. E questo ci annoiava a morte.

Chi non ha avuto un professore che diceva “io ho fatto il ‘68…” frase con la quale si tendeva a giustificare un po’ di tutto: dall’avere un atteggiamento politico all’avanguardia sino all’amore per il vino rosso, o al fatto di ritrovarsi a soffrire di solitudine. Per alcuni un sessantottino era un mezzo scioperato, per altri un eroe. E noi giù a chiederci chi avesse ragione.

Oggi, dopo un paio di decenni (anche qualcosa di più) di svacco intellettuale e sociale, io credo che un po’ dell’amore per l’impegno civile, tipico di quella stagione (e di poche altre, certamente), forse andrebbe ritrovato. Il Sessantotto dopo tutto non è ancora zuppa cotta mangiata.