Il dolce di Pasqua: la Pastiera napoletana

Siamo a Pasqua? Allora recuperiamo qualche antica tradizione pasquale. Essendo italiani, la migliore tradizione che possiamo recuperare è quella culinaria, che ci assicura una forte identità in tutto il mondo.

Ecco perché oggi vi voglio dare la ricetta della Pastiera napoletana. Già proprio quella che fino a quando mi trovavo a casa producevo a vagonate con la mia mamma. Ricordo infatti che la settimana prima della Pasqua BISOGNAVA “fare la pastiera” e parenti e amici l’aspettavano con ansia, tutta bella impacchettata nella carta trasparente con qualche ovetto di cioccolata insieme al fiocco giallo!

La Pastiera è un dolce tipico partenopeo e come tutte le leccornie tipiche ha una storia antica ed intrigante.

La più antica parente della Pastiera moderna forse fu una focaccia rituale dell’epoca di Costantino che richiama l’offerta che i catecumeni  facevano nella notte di Pasqua portando in processione latte e miele dopo essere stati battezzati.

L’attuale ricetta nacque probabilmente in convento. E pare che le suore del Convento di San Gregorio Armeno fossero vere e propri maestre nel confezionamento del dolce. Frutto della simbologia pasquale della Resurrezione la Pastiera raccoglie in se elementi con un profondo significato religioso: la ricotta bianca simbolo di purezza, i germogli di grano simbolo della rinascita dopo l’inverno, le uova anch’esse simbolo di nuova vita, profumi e spezie naturalmente dall’Asia.

La tradizione vuole che la Pastiera sia confezionata nella settimana che precede la Pasqua, al massimo entro il Giovedì Santo e guai a mangiarla prima della Domenica di Pasqua, infatti gli ingredienti e i loro profumi non sarebbero pronti… cioè i loro aromi non avrebbero ancora sprigionato il meglio di sé e contribuito a rendere questo dolce l’armonia di sapori che molti conoscono.

Naturalmente il giorno di Pasqua la Pastiera si deve mangiare direttamente dal tradizionale “ruoto” (io e la mia mamma avevamo adottato le teglie di alluminio usa e getta) perché la pastiera è un dolce delicato sotto tutti gli aspetti: richiede rispetto non può essere tolta dal recipiente in cui è stata cotta si rischia di spappolarla irrimediabilmente.

La ricetta in realtà è abbastanza semplice, sebbene un po’ lunga, la difficoltà vera è quella di reperire il GRANO COTTO, quell’ingrediente che rende questo dolce unico e irripetibile (quando si morde la crema di ricotta e i denti incontrano la delicata resistenza dei chicchi di grano, infatti, alcuni affermano di aver sentito musica celestiale!), che in realtà si può anche fare da soli ma che normalmente si trova in vasetti da 400/500 grammi (ormai grazie ad Internet immagino che si possa trovare ovunque).

Essendo praticamente una crostata è necessario prima di tutto confezionare il guscio che accoglierà la crema di ricotta e grano e fare una bella e morbida pasta frolla (ognuno ha la propria ricetta, con più o meno zucchero, con un cucchiaino di lievito oppure no insomma sbizzarritevi). una volta finito di impastare prendete la palla di pasta frolla e lasciatela riposare.

Ora se intanto avete trovato il grano cotto munitevi di

400 g di ricotta fresca (sarebbe meglio quella di pecora, saporita e asciutta, ma accontentavi di quello che trovate)

400 g di zucchero

400 g di grano cotto

6 uova

aroma fior d’arancio in gocce

buccia di un limone

50 g. di canditi misti (ma se li soffrite non metteteli!)

un pizzico di sale

un bicchiere di latte

E ora si inizia.

Innanzitutto aprite il vasetto di grano e mettetelo in un pentolino con il bicchiere di latte la scorza di limone e i fiori di arancio (questa è una variante di famiglia, ma fidatevi!). Lasciate scaldare dolcemente il tutto. Setacciate intanto la ricotta (setacciate non schiacciate perché in questo modo diventa una vera e propria crema). Dividete i rossi dai bianche delle uova. Montate lo zucchero con il rosso delle uova finché si gonfi di aria e diventi bianco (che fatica! se avete delle fruste elettriche usatele!). Unite ricotta, rossi delle uova montati con lo zucchero e i bianchi montati a neve ferma. A questo punto, dopo aver atteso il raffreddamento del grano, incorporatelo nell’impasto di ricotta. Aggiungete (se vi piacciono) i canditi (io non i metto perché figli e marito non li amano). Niente paura se il composto risulterà un po’ liquido (ma non troppo). Si solidificherà in forno.

Versate tutto nel guscio di pasta frolla che avrete tirato a circa mezzo centimetro e posizionato il una teglia tradizionalmente rotonda (ma non importa la forma) nella quale cuocerete la Pastiera. Decorate la superficie della Pastiera come fareste con una crostata, incrociando le strisce di pasta frolla che vi è avanzata. Mettete poi il dolce in forno preriscaldato a 180° per un’ora.

Una volta cotta aspettate che sia fredda e spolverizzatela con abbondante zucchero al velo… e mi raccomando mangiatela non prima di Pasqua.

Tanti auguri!

Finalmente finita la guerra… dei conigli dorati!

È stata dura. Decine di coniglietti dorati verranno sacrificati per la causa? Scorreranno fiumi di cioccolato? Triste, sì, ma la guerra finalmente è finita!

È del 26 marzo 2012, poche settimane prima della Pasqua, il verdetto definitivo sulla causa intentata dalla Lindt & Sprüngli contro la Hauswirth. La parola fine è stata finalmente scritta su questa bizzarra vicenda svizzera, denominata da tutti i giornali “la guerra dei coniglietti dorati”.

Si è trattato di una causa sostenuta dal colosso del cioccolato Svizzero di Zurigo Lindt & Sprüngli contro un piccolo cioccolatiere austriaco, Hauswirth, colpevole di aver prodotto, vestito e commercializzato coniglietti di cioccolato in tutto simili a quelli prodotti fin dal 1953 in Svizzera.

Il “Gold Bunny” Lindt, buono buono buono e, sì, in effetti anche carino (ma in fondo è un pezzo di cioccolata!) diventato famoso in tutto il mondo e prodotto da decenni dal colosso svizzero era stato “clonato” dalla casa austriaca, che aveva creato un prodotto quasi uguale, ma con qualche variante: in sostanza il fiocco patriottico rosso, bianco, rosso

Il contenzioso si trascina dal 2000 con alterne vicende. Finalmente la Corte di Cassazione Viennese ha dato ragione alla Lindt e segnato il destino del coniglietto austriaco che dovrà subire un completo restyling.

Sarà questa qui sotto la sorte del coniglietto Hauswirth, o basterà cambiargli l’abitino?

la torta di mele di nonna Ornella

Ci sono cose che non hanno prezzo .

Per noi, sempre in transito, una di queste è la torta di mele della nonna Ornella. E’ una torta dell’affetto e del bentornato.  Si materializza infatti ogni volta che torniamo in Italia e a volte come per magia riesce anche a precederci e la troviamo in casa, prima del nostro arrivo. Una volta è stata  portata anche  in trasferta, ma i viaggi non sono il suo forte e anche a vederla  non sembrava più lei.

Ecco dunque la ricetta:

2 kg di mele

50 g di margarina (da spalmare sulla teglia)

100g ancora di margarina

10 cucchiai di zucchero

300 g di farina bianca

1 uovo

1 presa di sale

Acqua tiepida quanto basta

Spalmare sulla teglia la margarina, cospargerla con 5 cucchiai di zucchero, tagliare le mele  e disporle nella teglia a corona, coprendo anche il centro. Spargere le altre 5 cucchiaiate di zucchero sulle mele e mettere la teglia sul fornello a fuoco medio (lasciarle cuocere per 20-30 minuti).

Impastare la farina con gli ingredienti sino a formare un palla da deporre sotto un tegame scaldato sul fornello . A cottura ultimata delle mele, stendere la pasta su un disco, deporlo sulla teglia e bucare con i rebbi di una forchetta.

Infornare a 180° per circa 30-40 minuti. A questo punto capovolgetela e  sarà pronta.

Allora provate ma ricordate che senza i nonni che gusto c’è!

… ora cacciate col vino gli affanni (Orazio, Odi)

Gli antichi romani, tramandando spesso l’eredità dei padri greci, ci hanno insegnato molto sull’arte del vivere bene.

Per esempio se vogliamo ancora oggi essere sicuri della “piacevolezza” di un luogo, basta leggerne la storia; se ci sono passati i romani e, soprattutto, se vi si sono insediati, possiamo stare sicuri che il posto ha una qualche particolarità che lo ha reso e lo rende ancora apprezzabile (l’esempio più vicino a noi è Nyon).

Stessa cosa si può dire di cibi, spezie ed essenze.

Ed è questo il caso del Conditum Paradoxum romano.

Il nome, oltre a richiamarci alla memoria le fatiche del liceo, designa una fantastica bevanda di cui è antico parente… il moderno vin brulé.

La ricetta del Conditum Paradoxum, di probabile origine greca, è contenuta in un libro di cucina di epoca romana, il De re Coquinaria, raccolta di ricette di un famoso ghiottone, Apicio, nato nel primo secolo a.C. Si trattava di un vino scaldato, aromatizzato alle spezie e dolcificato con abbondante miele, che veniva offerto ai convitati a fine pasto.

Per tutti coloro che pensavano al vin brulé come delizia nordica ecco sfatato un altro mito!

Dunque se era buono per gli “ozi” romani, il Conditum è ancor più buono per noi, in questi giorni di freddo intenso e di vento (la cattiva Bise ci si infila dappertutto!).

Ve ne diamo un’interpretazione particolare e moderna, le dosi sono abbondanti perché il bello è brindare in compagnia!

1 bottiglia di vino bianco

1 bottiglia di vino rosso

310 ml di vermouth dolce rosso

3 cucchiaini di Angostura

6 strisce di scorza di arancia

8 chiodi di garofano interi

un bastoncino di cannella

8 baccelli di cardamomo tritati

3 cucchiaini di uva passa

120 g di zucchero

In una casseruola riscaldare a fuoco lento, senza portare a ebollizione, i vini, l’Angostura, il vermouth, la scorza di arancia, i chiodi di garofano, la cannella e il cardamomo. Lasciare riposare con il coperchio finché il liquido si è raffreddato, dopo di ché filtrarlo.

Prima di servire, porre di nuovo la casseruola sul fuoco gentile a e aggiungere l’uva passa e lo zucchero finché si scioglie.

Melanzane alla parmigiana di nonna Anna

“Le melanzane al forno una vera festa: quelle meraviglie purpuree a forma di globo, paffute, allegre e generose come nababbi arabi ardenti dal desiderio di riempirci lo stomaco, così belle e mi veniva da piangere (…)” Così pensa Henry  davanti alla vecchia madre  abruzzese che vive a San Elmo in Colorado nel romanzo di Jhon Fante La confraternita dell’uva (Einaudi, ristampa del 2004, p.67).

Queste parole rievocano il profumo che ci portiamo dietro lasciando l’Italia. Il cibo, le nostre tradizioni culinarie sono sempre presenti  ci seguono come una scia che affiora in molte occasioni. Quel profumo  è senz’altro, per il mantenimento della nostra salute, la miglior aromaterapia.

E a proposito di sapori e profumi ecco la ricetta delle melanzane alla parmigiana delizia che Campania e Sicilia si litigano nella versione di nonna Anna, originaria di Salerno.

Prima di iniziare qualche breve curiosità sul nome, che, contrariamente a quanto può sembrare, non deriva da Parma, né dal formaggio Parmigiano che abbonda nella ricetta. Sembra infatti che esso possa piuttosto derivare dal termine siciliano parmiciana che designa le listarelle che compongono le persiane e che possono ricordare la sistemazione delle melanzane nella teglia, ma molto più probabilmente è figlio di un termine turco che significa melanzana (patlican storpiato in padmigian… del resto la parmigiana di melanzane non è cugina della mussaka?)

Ingredienti

4 melanzane (meglio quelle lunghe e sottili con la buccia scura), 3 uova, farina, 500 g di sugo di pomodoro leggero (un classico sughetto al basilico andrà benissimo), abbondante Parmigiano Reggiano grattugiato, una confezione di mozzarella per pizza, sale e pepe quanto basta, olio per friggere, basilico.

Innanzitutto è necessario far “sudare” le melanzane tagliandole a strisce spesse mezzo centimetro e ricoprendole con sale grosso. Dopo mezz’ora sciacquare le melanzane e strizzarle (questo procedimento serve a togliere il sapore amaro che possono avere). Passarle prima nella farina poi nell’uovo sbattuto con un pizzico di sale e pepe e poi ancora nella farina (un po’ complicato, ma fattibile) e friggerle in abbondante olio bollente.

Una volta fritte tutte le melanzane sistemarle a strati in una teglia nel seguente modo: in fondo uno strato di sughetto di pomodoro, primo strato di melanzane, sughetto di pomodoro, mozzarella tagliata a fettine sottili, abbondante spolverata di parmigianoe poi di nuovo da capo, sughetto-melanzane, mozzarella, Parmigiano Reggiano finché non esaurirete gli ingredienti.

20 minuti nel forno a 180°, finché la mozzarella si scioglie e il formaggio diventa dorato ed é fatta! Meglio servirla calda… ma il giorno dopo è ancora più buona!

Provate la stessa ricetta sostituendo le zucchine alle melanzane… vi si aprirà un mondo!

BUON APPETITO