Tiffany Chung, il fascino dell’atrocità

Tiffany-Chung_Arsenale-e1431004078768Cosa accade quando un artista legge, o meglio rilegge la realtà circostante puntando il dito sulle catastrofi ambientali, le crisi umanitarie, i conflitti, le migrazioni? Accade che tutto ciò che la storia ci mostra e che noi leggiamo sulle pagine dei giornali, spesso lasciando che ci scivoli addosso, rimane invece come cicatrice viva sulla pelle di coloro che sanno tradurla in un linguaggio originale e personale. Ecco forse perché l’arte è spesso voce della protesta, ecco perché tanto spesso artista fa rima con attivista.

È il caso di Tiffany Chung, artista di origine vietnamita, passata attraverso gli orrori della guerra e giunta negli Stati Uniti dove ha studiato arte per poi ritornare nella nativa Ho Chi Min City dove vive e lavora. Si tratta qui di una serie di disegni apparsa alla 56° Biennale di Venezia. Basta il titolo ad evocare la catastrofe: “Syrian Project (2011- 2015)”. L’astrazione delle linee e l’utilizzo dei colori ci fanno pensare a costruzioni eteree sospese in un universo fatto di tratti lievi ed effetti cromatici delicatissimi. Poi avvicinandoci alle opere riconosciamo il profilo di una mappa, quella del territorio siriano, e il dubbio si fa spazio, atroce e sinistramente affascinante. Le immagini create dall’artista riproducono meticolosamente le statistiche sul numero di bambini uccisi o sul numero di campi di rifugiati o ancora sul numero delle vittime della guerra. E la prospettiva cambia immediatamente, ciò che sembrava un idilliaco gioco di punti e linee si traduce in un agghiacciante inventario di vittime e tragedie. Una complessa stratificazione di topografie che scavano lungo la storia e riscrivono cronache e storia.

Può bastare l’opera di un’artista a scalfire la nostra corazza di indifferenza?

Tutti a Venezia: si apre la 56 Biennale d’arte

2015-stage-biennale-di-venezia4Tutti pronti al via: sabato 9 maggio si apre la 56 Biennale d’arte di Venezia. E’ l’appuntamento più importante per l’arte contemporanea, tutti dovrebbero andarci perchè è un’occasione per capire attraverso la sensibilità degli artisti, il nostro presente, ciò  che è appena passato e cosa ci aspetta.

Quest’anno sarà molto la sensibilità degli artisti africani a guidarci. E cosi, mentre all’Expo a Milano si è appena aperta la grande mostra “Africa. La terra degli spiriti” ripercorrendo l’arte africana dal Medioevo ad oggi ( Museo MUDEC), la Biennale ha come suo curatore il nigeriano Okwui Enwezor e sabato premierà con Leone d’oro alla carriera l’artista ghanese El Anatsui.

Ho visto un lavoro di El Anatsui per la prima volta proprio a Venezia l’opera si intiolava :La bandiera per un nuovo potere mondiale. L’opera era del 2004 ed era esposta in una bellissima mostra dal titolo Artetempo, sulla facciata di Palazzo Fortuny. Era un arazzo fatto di alluminio e filo di rame tessuti assieme con scarti industriali come lattine e tappi di bottiglie. Il materiale viene pressato e cucito assieme. Un lavoro di riciclaggio che affascinò chiunque vide l’opera scintillare appesa a palazzo Fortuny. Oltre a tessere, El Anatsui, lavora anche con oggetti comuni come i vassoi o specchi su cui incide segni e simboli derivati dalla propria cultura.

El Anatsui, In the World But don't Know the World,2011
El Anatsui, In the World But don’t Know the World,2011

Il titolo della Biennale quest’anno sarà All the world’s future e dal sito ufficiale si legge:“Okwui non pretende di dare giudizi o esprimere una predizione, ma vuole convocare le arti e gli artisti da tutte le parti del mondo e da diverse discipline: un Parlamento delle Forme. Una mostra globale dove noi possiamo interrogare, o quanto meno ascoltare gli artisti provenienti da 53 paesi, e molti da varie aree geografiche che ci ostiniamo a chiamare periferiche. Questo ci aiuterà anche ad aggiornarci sulla geografia e sui percorsi degli artisti di oggi, materia questa che sarà oggetto di un progetto speciale: quello relativo ai curricula degli artisti operanti nel mondo. Un Parlamento dunque per una Biennale di varia e intensa vitalità.”

Tra i padiglioni segnalati sembra molto interessante il padiglione turco dove si vedrà il lavoro di Sarkis, un’artista che è da tempo presente a Ginevra nella collezione del museo Mamco .

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Sarkis, l’Atelier depuis 19380, collezione Mamco Ginevra

L’artista è turco di origine armena: il fatto che rappresenti la Turchia è già un simbolo molto forte per la Biennale di Venezia. Il suo lavoro Rainbow, sarà un’installazione fatta di immagini, specchi, neon e specchi atti ad esplorare la magia dell’arcobaleno. E ancora una volta questo lavoro di Sarkis si lega bene a Ginevra dove con le pioggie frequenti è facile rimanere colpiti dalla bellezza  dell’arcobaleno .