Buona Pasqua!

Santa Maria del Popolo, quarta campata della navata destra
Santa Maria del Popolo, quarta campata della navata destra

Non ce ne vogliano gli animalisti e i vegetariani, ma il pranzo di Pasqua non è lo stesso se sulla tavola non arriva almeno un pezzetto di agnello! La tradizione culinaria va di pari passo con la simbologia religiosa. L’agnello sacrificale, simbolo di legame e sottomissione al Buon Pastore, si immola da sempre nel periodo di Pasqua.

Il sacrificio dell’agnello esisteva in tutte le religioni antiche. E tale pratica ha ispirato gran parte dell’arte paleocristiana. Infatti all’epoca delle persecuzioni, si prediligeva la raffigurazione simbolica di Cristo in modo che solo gli iniziati potessero conoscere il senso delle immagini. Da qui il Buon Pastore attorniato dal suo gregge con la pecorella smarrita sulle spalle. Tutto ciò doveva evocare la pace promessa a coloro che vivono nel Cristo, doveva ricordare agli antichi cristiani che per coloro che erano battezzati la morte non poteva rappresentare altro che un momento di passaggio verso la quiete nell’attesa della risurrezione del corpo.

Nella Bibbia a più riprese si parla del sacrificio dell’agnello e nel nuovo testamento Cristo stesso diventa “l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” (Gv 1,19).

Sull’Agnello simbolo del Cristo si  potrebbero spendere fiumi di inchiostro, tanto che nell’antichità i Concili che vanno dal VI al X secolo combatterono l’eccessiva predilezione popolare della rappresentazione del Cristo in sembianze di agnello. Agnelli si trovano scolpiti nelle chiavi di volta (poiché illuminano la Città Santa), nei timpani delle cattedrali, inginocchiato, associato alla croce astata e al nimbo crucifero.

Dunque a coloro che non disdegnano la carne di agnello offriamo per questa Pasqua una ricetta semplicissima e gustosa, invitiamo coloro che non vogliono mangiarne a mettere sulla tavola di Pasqua almeno un agnellino di marzapane!

Agnello alla Patrizia

agnello in salsa di menta

Ovvero filetto o costine di agnello in salsa alla menta menta (per 6)

un paio di filetti o 12 costine di agnello

1 mazzetto di menta fresca

3 cucchiai di mandorle tostate

succo di un limone

olio evo

pepe nero macinato

sale

Tritare con un frullatore (meglio a immersione) la menta, le mandorle, il succo del mezzo limone e il sale. Aggiungere a filo e lentamente l’olio fino a quando non si otterrà una salsa liscia e compatta che, se sembra troppo dura, si può allungare con un po’ (poca) acqua e aggiustare di sale e pepe.

Ricordate che l’agnello va scottato solo per un paio di minuti a fuoco vivo su ogni lato (l’interno deve rimanere rosa).

Presentate i piatti mettendo sul fondo il pesto di menta e adagiandovi sopra le fettine di agnello. C’est tout!

Approfittiamo, per augurare a tutti Buona Pasqua.

Anche noi ci prendiamo una pausa, ci ritroviamo tutti qui fra qualche giorno!

Ildegarda, l’aura e il canto gregoriano

Nel maggio 2012 Idelgarda di Bingen (1098 – 1179) è stata proclamata Dottore della Chiesa, perché, fra i suoi meriti, indicò alla chiesa dei suoi tempi come uscire dalla crisi in un periodo travagliatissimo. Su 35 Dottori della Chiesa riconosciuti dai cattolici solo 4 sono donne (Santa Teresa d’Avila, Santa Caterina da Siena, Santa Teresa di Lisieux e infine Santa Ildegarda di Bingen) e tutte sono state proclamate tali solo a partire dagli anni ’70…

Nella religione cristiana Dottore della Chiesa è un titolo che un Papa o un Concilio attribuiscono a quelle personalità religiose particolarmente illuminate che si sono distinte per riflessione teologica, divulgazione della dottrina e santità di vita.

Ma torniamo a Ildegarda. Nata da famiglia nobile, di salute estremamente cagionevole, fin dall’infanzia venne mandata in convento e affidata alle cure di una giovane monaca aristocratica, Jutta di Sponheim, prese i voti giovanissima (intorno ai 17 anni) e visse una lunga e laboriosa vita monacale, producendo non solo scritti di una lucidità encomiabile, ma anche musica sacra di una bellezza celeste.

Vi starete chiedendo a questo punto perché parlare oggi proprio di Ildegarda. Ne voglio parlare perché le sono particolarmente affezionata. Fa parte del mio bagaglio culturale e già ne conoscevo l’opera e ne rispettavo il lavoro prima ancora che fosse proclamata Dottore, ma soprattutto perché, nonostante la lontananza temporale, Ildegarda è un esempio di come una donna sebbene sola, malata, monaca, in un contesto assolutamente maschile possa far sentire la sua voce forte e chiara, portando avanti con lucidità la sua causa a dispetto di chiunque cerchi di metterle i bastoni fra le ruote.

Ultimo sgambetto fatto a questa eccezionale figura storica prima ancora che religiosa, in ordine di tempo, é la teoria secondo la quale Ildegarda soffriva di “scotoma scintillante” cioè dell’emicrania accompagnata dall’aura che provoca allucinazioni, quelle stesse allucinazioni che Ildegarda avrebbe scambiato per messaggi divini. Prima degli attacchi di emicrania infatti l’aura porta alla percezione di oggetti scintillanti o forme geometriche rilucenti con molti angoli, che in effetti potrebbero coincidere con le descrizioni della “pioggia di angeli” o della “Città celeste” fatte dalla santa. Le sue descrizioni della luce splendente di Dio piuttosto che della sua presenza luminescente sono tutte prove della effettiva possibilità di una patologia del genere, tanto che Oliver Sacks nel su libro sull’emicrania porta Idelgarda ad esempio, concludendo che molto probabilmente la santa soffriva di questo disturbo.

Come spesso accade è un problema che sta fra fede e scienza.

Ma quand’anche si stabilisca che le visioni di Ildegarda siano state in realtà allucinazioni, è altrettanto palese che questa patologia diede senso e forma alla sua vita e, a sua volta, seguendo la sua educazione e la sua profonda religiosità, tale malattia fu da lei innalzata spiritualmente, a dimostrazione di una forza d’animo e di una fede non comuni. Ildegarda rese la propria debolezza un’arma appuntita con la quale fustigò il malcostume della sua epoca. E in questo è da prendere ad esempio.

Un’ultima parola vorrei spenderla sulla musica da lei composta o meglio sui canti gregoriani attraverso i quali Ildegarda, diceva, ci si può avvicinare nel miglior modo alla divinità. Un canto, quello gregoriano che é una monodia strettamente legata ai testi sacri, una melodia che si fa preghiera e che tocca le più profonde corde del cuore. Provate ad ascoltare!

Che donna eccezionale!