La La Land che divertimento!

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Non sono l’unica a dirlo e  forse vincerà addirittura l’Oscar ma La la Land è proprio un bel film. E’ ciò che ti aspetti da una serata al cinema. Un musical coi controfiocchi. Jazz, come sottofondo: perché il vero musical, quello che ti prende per la pancia e ti fa venir voglia di ballare, ha sempre e solamente il ritmo scappato del jazz. Balletti che richiamano gli anni ruggenti di Fred Astaire e Ginger Rogers, piuttosto che Gene Kelly. Il protagonista (un Ryan Gosling spettacolare) è un pianista che ricorda Bill Evans, ma rappresenta tutti quanti i jazzisti: quel popolo di geni che ha cambiato la musica. Lei, la bellissima Emma Stone, fa trasparire una galleria di dive, senza identificarsi con alcuna di esse, perché quegli occhi magnetici non si erano mai visti. Una storia romantica, un ritorno indietro a tanti film che porti nel cuore e con cui sei cresciuto. Esci che non ti sei neanche accorto del tempo trascorso. Segui il tuo sogno e credici fino in fondo, sembra dire il film.

Anche il gioco dei colori, in ogni ambientazione, mi ha anche colpito: in dei momenti mi sembrava di vedere la luce di Edward Hopper oppure la tavolozza dei rossi, dei blu e dei verdi di Chagall con Bella e Marc Chagall stesso che volano, amanti, alti nel cielo.

Qualcuno mi ha detto che sono esagerata e qualcuno lo ha definito un “filmettino” leggero e anche troppo sopravvalutato: non  mi sento d’accordo. E’ un film leggero come possono essere leggeri i quadri di Joan Mirò, dove dietro alle forme colorate e libere si sentiva sprigionare  l’energia positiva e divertita dell’artista.

Quando poi, tornando a casa, ho scoperto che il  regista Damien Chazelle , di cui tra l’altro avevo già visto un altro lavoro (Wiplash), ha solo 32 anni, sono rimasta davvero sorpresa; a dire il vero sono rimasta di stucco.

Bravissimo Chazelle: chissà quante altre belle cose ci farà vedere.la-la-land

Shirley

dal film Shirley di Gustav Deutsch
dal film Shirley di Gustav Deutsch

Carpire il mistero di un capolavoro è sempre stato uno dei motivi per i quali ci avviciniamo ad un’opera d’arte. Ciò mi è tornato alla mente in maniera evidente guardando un film. Non un film qualsiasi, ma un lavoro totalmente incentrato sull’opera del pittore statunitense Edward Hopper, che mette in scena e dà vita, con attori, a 13 dei suoi quadri più celebri. Si intitola Shirley e il regista è Gustav Deutsch.images

Si sa che mettersi davanti a un quadro vuol dire godere di un piacere estetico capace di condurti verso le profondità, i reconditi recessi, anche i misteri, come dicevamo sopra, sottostanti la pura superficie dipinta. Insomma, io credo che ogni volta che ci mettiamo davanti a un quadro ci venga spontaneo domandarci cosa ci sia dietro, cosa abbia pensato l’artista in quel momento o perché quel pittore abbia mai scelto una data immagine da rappresentare.

Immaginate di mettervi davanti alle opere di Hopper, che descrivono momenti di quotidianità intima e assieme astratta dal tempo – un po’ come accadeva, secoli prima, al pittore olandese Joannes Vermeer. Sono caratterizzate da una sorta di atmosfera intima, dalla luce di un particolare momento e dalla presenza di personaggi colti in un attimo, che ci invita quasi a entrare nella cornice per seguire una storia. Niente di più favorevole per una trasposizione cinematografica, che comunque richiede sensibilità di artista per non essere banale. Certo, niente di assolutamente nuovo: anche l’opera di Vermeer è stata scelta dal cinema di recente, ma il film si è concentrato su un solo quadro.

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Il film su Hopper, invece, scorre attraverso 13 sue tele, che divengono quadri di vita interiore e di relazione dipanandosi così in una vera e propria storia personale, quella della figura femminile più ricorrente nei suoi quadri (la Shirley del titolo). Una storia che si intreccia con la storia americana dagli anni Trenta ai Sessanta: attraverso il quadro si percepisce la vita nel periodo successivo alla grande depressione, con le profonde divisioni razziali e sociali, per attraversare Manhattan in alcuni suoi scorci ormai parte del nostro immaginario collettivo, e passare poi al dopoguerra con il maccartismo, fino a sfociare nella luce del civil rights movement, con la marcia di Washington del ’63 e lo storico discorso del reverendo King.

La protagonista attraversa questa storia in pittura e perviene ad una catarsi, dalla quale, proprio come il suo paese, risorge proiettandosi verso una nuova vita.images