Orlando

Orlando-7Abbiamo parlato ieri di donne che cambiano il mondo e quindi, poiché ieri è stato anche il compleanno di Virginia Woolf, cogliamo l’occasione, che ci sembra ghiotta sulla scia delle notizie di cronaca che si susseguono, per divagare su uno dei suoi romanzi, definito dalla stessa Woolf un pastiche, un divertissement: Orlando.

Dal punto di vista stilistico Orlando è un mix di generi letterari diversi: un po’ poema cavalleresco, un po’ saggio critico, un po’ biografia classica, po’ romanzo vittoriano ma è anche ricco di assonanze proustiane e naturalmente scandito dal flusso di coscienza che l’autrice andava raffinando all’epoca della stesura.

Orlando è un personaggio affascinante che attraversa, ora uomo ora donna, diversi secoli della storia e della cultura inglese, 350 anni che corrispondono al periodo fra i 16 e i trentasei del protagonista. Con questo personaggio, circondato da ironia e levità, da un che di magico e di ambiguo, la Woolf fa una satira serrata e ardita alla rigida connessione, puramente sociale, fra identità sessuale e ruolo, difendendo l’androginia insita nell’essere umano, in cui convivono aspetti femminili e maschili. Orlando è l’unico protagonista di questa favola visionaria, ma pur essendo il solo è un essere cangiante, pieno di riflessi e sfaccettature e ricco anche di differenti toni interiori che l’autrice ha saputo esplicitare attraverso l’utilizzo del melange di generi diversi. Un testo modellato sui “doppi”, sull’immagine del protagonista allo specchio: una volta uomo, una volta donna. Orlando come gran parte dei personaggi della Woolf non è racchiuso in contorni precisi, attorno a lui/lei aleggia un senso di mistero, è avvolto da un alone di incompiutezza. Orlando è uomo e donna: “In lei era proprio quel miscuglio di uomo e donna a dare al suo comportamento un carattere spesso imprevisto” un personaggio al quale ci si affeziona, ricco di poesia e di coraggio che attraversa il mondo e le epoche con passo lieve, certo, ma con orgoglio e determinazione.

Da rileggere…

Joyce e Ulisse

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Molina, Genaro –– B581759856Z.1 LOS ANGELES, CA – DECEMBER 16, 2011–– The tattered cover of a first edition printing of James Joyce’s, “Ulysses. Photographed on December 16, 2011. (Genaro Molina/Los Angeles Times) ATT PRE–PRESS: PLEASE MAINTAIN WARMTH.

Settantacinque anni sono passati, il 13 gennaio, dalla morte di James Joyce.

Ricordare questo anniversario è solo un pretesto per parlare del capolavoro dello scrittore irlandese definito una pietra miliare della letteratura del XX secolo: Ulisse.

JoyceTesto difficile e impegnativo, paradigma delle correnti avanguardiste che percorrevano il mondo anglosassone all’inizio del secolo scorso, che si prefiggevano di rinnovare il linguaggio della letteratura per venire incontro al deciso cambiamento dei tempi, ai progressi in campo tecnologico, alle nuove sfide dell’umanità.

Pubblicato nel 1922 a Parigi, era stato iniziato dall’autore nel 1914, e a grandi linee racconta la storia di una giornata-odissea dublinese che il protagonista Leopold Bloom (Ulisse) vive insieme alla moglie Molly Bloom (Penelope) e Stephen Dedalus (Telemaco). Nelle intenzioni dell’autore il testo ricalcava l’Odissea e, come aveva fatto Omero, raccontava la storia dell’uomo nel mondo.

Difficile, difficile, non so in quanti sono riusciti a finirlo… personalmente non ce l’ho fatta! Fa parte di quella lista di libri che universalmente non si riescono a finire e che tutti o quasi fingono di aver letto (insieme a Moby Dick di Melville, 1984 di Orwell, Il Giovane Holden di Salinger, La coscienza di Zeno, Gomorra,  Il nome della rosa… questa sembra sia la classifica aggiornata!).

Eppure, eppure preso a piccole dosi, un po’ alla volta non è che si finisca, ma si accetta.

Il vocabolario ricercato, il flusso di coscienza, il modo cioè di presentare i pensieri del personaggio di un romanzo così come si affacciano nella sua mente, secondo una rete di libere associazioni mentali di idee, pensieri, immagini, ricordi difficili da decriptare, se non proprio intellegibile, diventa pian piano ipnotico.

Esemplare e consigliato è il monologo interiore di Molly Bloom, otto lunghi periodi senza punteggiatura, quaranta pagine di pensieri, rimandi, flash back in cui Molly si fa conoscere attraverso un soliloquio divenuto famoso.

Una delle tante resolutions per il 2016 è proprio quella di finire Ulisse… chissà se ci riuscirò…