L’idea, macchina che crea l’arte

Continuiamo il nostro viaggio ideale durante queste feste di Natale. Dopo Roma e la Galleria Borghese, propongo  di scendere a Napoli dove, dal 15 dicembre, si è aperta una mostra dal titolo “Sol Lewitt e i suoi artisti”. Sua è la frase che dà il titolo a questo articolo.

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Sol Lewitt potrebbe risultare, a chi non è avvezzo all’arte contemporanea, un’artista tosto da comprendere e da assimilare, almeno al primo incontro. Anche se cosi’ è, io vi proporrei comunque di non scoraggiarvi, perché questo personaggio americano, teorico dell’arte minimale e concettuale fin dagli anni Sessanta, è un caposaldo dell’arte contemporanea.  Egli si dedicava a pensare e riflettere su tutte le possibilità di espressione offerte dalle della forme geometrihe primarie.  Se andate a vedere il suo lavoro non cercate il racconto; lui non ha mai  da raccontarvi un fatto o da lasciare  traccia del suo punto di vista:  ha studiato tutta la vita per offrirci tutte le possibilità combinatorie delle  forme geometriche, come ad esempio il cubo. Sol Lewitt ci lascia le norme, le combinazioni delle forme, come quando si dedica a quantificare e rappresentare tutte le possibilità di rappresentare due linee che si incontrano.

Non cercate il sentimento facile quando andate a vederlo, ma la struttura fondante dei segni che accompagnano la nostra vita. La sua opera fondata su rigorosi calcoli matematici  è in ultimo  la trasposizione delle sue pratiche di logica. Il pensiero di Sol Lewitt è il pensiero di un teorico di un filosofo che ha la forza di rifondare i principi dell’arte.

Sol Lewitt
Sol Lewitt

Allora vedrete linee spezzate, in bianco e nero e a colori, cubi, forme geometriche seriali in progressione. Non disperate e cercate la logica matematica di questi progetti. E se vi domanderete come hanno fatto a trasportare le opere sulle pareti del museo ricordatevi che l’artista non ha mai dipinto direttamente tutto il suo lavoro.  Lui esprime il suo progetto, descritto minuziosamente, per poi lasciare  ai suoi assistenti il compito di eseguire l’opera. A loro dovevano essere sufficienti le sue direttive . Ciò che conta nel suo lavoro è il concetto, l’idea, non la realizzazione.

E ciò che mi piace di più è che l’idea è di tutti e rimane nell’aria per sempre.

La mostra resterà aperta fino al 1 aprile ed espone anche la sua collezione di opere di altri artisti.

Oro e luce in attesa del Natale

Beato Angelico, Annunciazione, 1433-34, Museo Diocesano di Cortona
Beato Angelico, Annunciazione, 1433-34, Museo Diocesano di Cortona

Continuiamo ad immaginarci di avere tempo e denaro in questi giorni di Natale. Cosi’ andiamo a Lens e dopo aver visitato la nuova succursale del Louvre, da poco inaugurata nella cittadina francese, potremmo partire alla volta di Roma per vedere, nella Galleria Borghese, l’Annunciazione del Beato Angelico. L’opera arrivata dal Museo Diocesano di Cortona sarà visibile fino al 10 febbraio.

L’occasione della mostra è l’iniziativa L’arte della fede, ossia cinque incontri (questo è il primo) con altrettanti capolavori della storia sacra.

Sono passati molti anni da quando ero bambina e con mio padre ero solita andar per musei, ma non posso dimenticare l’effetto e la curiosità che suscitarono in me le piccole cellette del Convento di San Marco a Firenze, affrescate dal Beato Angelico qualche anno dopo aver completato l’Annunciazione di Cortona (1433-34).

Beato Angelico, monaco domenicano, ha dedicato tutta la vita a raccontare attraverso la pittura un atto astratto e poco rappresentabile fisicamente, ovvero il senso della fede e della spiritualità. Guardando l’opera che brilla di oro e lucentezza ci pare di cogliere nell’angelo e in Maria un’intimità e un accordo che fissa un patto di unione e pace per l’umanità.

Due, appunto, sono gli elementi preminenti nell’opera: l’oro che luccica e la luce che abbaglia. L’oro come astrazione dalla realtà , tipico nell’arte medievale, e la luce come diretta emanazione di Dio.

Provate ora a fare un salto e pensate all’arte contemporanea. Più precisamente a due artisti diversi,  ma con qualcosa in comune nella ricerca di una dimensione altra da quella terrena. Pensate al lavoro di Yves Klein, ai suoi monocromi come i Monogold degli anni Sessanta.

Yves Klein, Monogold
Yves Klein, Monogold

L’artista stesso ha scritto : “ho creato degli stati di pittura immateriale”. Ancora, spiegando le sue opere monorome e la scelta di usare un solo colore, ha scritto “ con il colore io provo un sentimento di assoluta identificazione con lo spazio , mi sento veramente libero”.

Un altro artista contemporaneo a cui penso guardando l’Angelico è stato Dan Flavin , l’artista minimalista americano che ha utilizzato, come materiale del suo lavoro, la luce al neon che un po’, come nel caso di Klein, diventa un monocromo. Una luce che pero’, nel suo accendersi, si espande nello spazio e avvolge lo spettatore.  Non è certo un caso se a Milano l’artista è stato invitato poco prima di morire per lasciare un opera fatta di luce nella Chiesa di Santa Maria Annunciata.

Dan Flavin, Chiesa Rossa, Milano, 1996
Dan Flavin, Chiesa Rossa, Milano, 1996

E’ come se Klein e Flavin avessero rinunciato di raccontarci il fatto dell’Annunciazione per trasportarci, uno con l’oro e l’altro con la luce, dove ci ha condotti l’Angelico con la sua magnifica opera.

E’ davvero poi così lontana l’arte contemporanea dal suo passato?