Sembra impossibile che in un periodo così breve questa tecnologia, inizialmente inventata presso il CERN di Ginevra dal fisico britannico Tim Berners-Lee per mettere in contatto più velocemente gli studiosi, abbia rivoluzionato in modo così radicale le nostre vite.
La decisione del CERN infatti di concedere gratuitamente la tecnologia web a tutti “consentì la diffusione esplosiva di Internet” come ha sottolineato il web manager del CERN Dan Noys.
Per festeggiare questo storico avvenimento lo staff del CERN ha deciso di restaurare la prima pagina web, la prima “homepage” della storia: una pagina bianca con testo in nero con una serie di “collegamenti ipertestuali” visibile al seguente indirizzo web http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html
Lo scopo è quello di mostrare alle nuove generazioni le origini di Internet, Diamo anche l’indirizzo web del documento che ufficialmente offre la possibilità di utilizzo della nuova tecnologia https://cds.cern.ch/record/1164399.
A coloro di noi che hanno la nostra età tutto ciò in qualche misura commuove. Le nuove generazioni invece considerano questi “pezzi “ di storia realmente preistorici.
Per un problema tecnico, uno di quelli tanto incomprensibili quanto irrisolvibili (router, modem, adsl…?) siamo rimasti tagliati fuori dal mondo. Il collegamento Internet infatti è collassato e abbiamo passato le ultime ventiquattro ore “offline”.
Prontamente contattato il costumer service della società telefonica, il brillante individuo dall’altra parte della cornetta, dopo aver eseguito la sequenza standard di scongiuri, pronunciato antiche parole magiche di protocollo e indossato il copricapo da stregone non ha potuto fare altro che constatare che la nostra connessione internet era foutue. Ma va’? Niente panico però, nel giro di due o tre giorni tutto tornerà nella norma… AAAARGH! Come due tre giorni? Come si fa?
Dopo questa notizia, le deluge. Adolescenti e “donne sull’orlo di una crisi di nervi”. Allertati parenti, amici e soprattutto il figlio lontano (che “no, purtroppo non torneremo online fino a venerdì almeno… non ti preoccupare.”) abbiamo predisposto (chi più chi meno) gli animi ad una angosciante attesa.
In casa si è scatenata la “sindrome da abbandono”. La figlia adolescente dopo aver passato mezzora a braccia conserte in stato semi catatonico, si produce in un bizzarro balletto con numero di “hackeraggio” (non vogliatemene, so che le parole sono importanti, ma non saprei proprio quale altro termine usare) aggirandosi per casa cercando di agganciare la rete di qualche ignaro vicino.
Il figlio di mezzo dopo il primo momento di sgomento arguisce i vantaggi di una momentanea sospensione della comunicazione con la scuola e si adatta sornione (tanto può connettersi con il telefono…).
Quanto a me sono stretta immediatamente dal senso di disorientamento e mi sale l’angoscia per la repentina “dipartita” dal mondo virtuale (come farò con il blog, le mail, i contatti ecc ecc).
La disavventura di ventiquattro ore mi ha dato l’occasione di pensare a quanto, tutti o quasi, siamo diventati dipendenti dalla rete, tanto che non ci ricordiamo neanche più come facevamo a vivere prima di prendere l’abitudine di controllare la nostra vita e quella degli altri “on line”. Risulta inconcepibile come potessimo restare “non connessi” e vivere senza attingere continuamente a questo serbatoio senza fondo di nefandezze e ben di dio insieme. Le potenzialità delle rete ci sovrastano, l’amiamo e la odiamo insieme, essa ha il potere di farci sentire onnipotenti e allo stesso tempo insignificanti formiche.
… e allora? Allora ho cucinato senza il tutor on line, non ho letto le ultime angoscianti notizie dal mondo prima di coricarmi, mi sono goduta un film interessante parlandone con la mia famiglia, non ho controllato che tempo ci sarebbe stato oggi.
Ci è piaciuta molto l’iniziativa che si chiama Nonnet: orti urbani digitali che si tiene in Campania. Voluta e sostenuta da Legambiente e Mondo digitale, il progetto prevede uno scambio alla pari intergenerazionale. In poche parole, dal 2010 mentre i cittadini pensionati di Succivo e di Eboli, insegnano agli studenti campani la coltivazione biologica i ragazzi a loro volta sono i loro tutor per l’alfabetizzazione digitale. E’ un baratto, gli anziani insegnano a zappare e a curare la terra i giovani insegnano loro ad esplorare la rete internet.
L’iniziativa coinvolge per ora oltre 60 orti e a noi è piaciuta moltissimo perchè ci sembra un esempio semplice di volontariato dove si unisce la tradizione e l’innovazione e si apre una strada alla coesione sociale.
Siamo “shopaholic” e affetti da un bisogno compulsivo di fare acquisti? Non riusciamo a trattenerci neanche davanti al computer? La nostra carta di credito scotta?
In quanti ci siamo iscritti a gruppi d’acquisto via Internet? E in quanti abbiamo creduto di poter concludere realmente buoni affari, pagando una cena, un trattamento estetico, un soggiorno termale o una messa in piega il 60/70 % in meno rispetto al valore di mercato (soprattutto qui in Svizzera romanda)?
Innanzitutto per chi non sa di cosa stiamo parlando ecco brevemente di che si tratta.
Esistono siti web che vendono coupons online a prezzi strepitosi. Veri e propri “gruppi di acquisto”, essi si basano su un semplicissimo principio: più gente compra un bene o un servizio, meno questo bene o servizio viene a costare.
Le offerte sono divise per città e, affinché esse possano “realizzarsi”, devono essere sottoscritte da un numero minimo di persone, se tale condizione non si realizza, i responsabili dei siti si impegnano, con varie modalità, a restituire le somme versate.
Il giro é miliardario, e apparentemente tutti ne traggono profitto: gli utenti, che beneficiano di sconti inimmaginabili; le ditte che offrono i coupons che godono di una enorme visibilità e possono farsi notevole pubblicità; i network, che, naturalmente, si occupano di vendere i coupons, guadagnando in percentuale.
Da qualche tempo però i siti di “social shopping” subiscono pressioni e proteste da parte di utenti scontenti e delusi.
Su Facebook nascono sempre più di frequente gruppi che raccolgono testimonianze e lagnanze. La lista dei disservizi più frequenti è lunga: rimborsi difficili, ritardi nella fornitura, scarsa assistenza alla clientela, mancanza di qualità di chi offre i servizi o ancora peggio, per i possessori di coupons, trattamenti con standard inferiori rispetto ai clienti paganti.
In Italia dove, non è una novità, i problemi sono sempre un po’ più gravi, addirittura gruppi di consumatori hanno dato vita a “class actions” che a gran voce chiedono “vendetta”. La notizia recente, è che per evitare il peggio, si sta procedendo velocemente verso la firma di un codice etico con regole chiare che metta al riparo i consumatori dalle cosiddette “fregature”.
Anche qui in Romandia esiste un mondo sommerso di scontenti…
Se sei un “social shopping dipendente” condividi con noi la tua esperienza (positiva o negativa) per aiutarci a capire se… ne vale davvero la pena!