Orrore in Kenya

Testa d'ostaggio,1945
Jean Fautrier, Testa d’ostaggio,1945

Dopo un week end di sangue che ha portato alla morte di tanti tanti civili indifesi in due differenti parti del mondo, oggi non ce la sentiamo di affrontare altri argomenti e lasciamo la parola a chi veramente conosce la situazione, almeno in Africa, per un aggiornamento di prima mano.

Un attentato terroristico, odioso e vigliacco come tutti gli atti di terrorismo, ha colpito il Kenya. Lo abbiamo visto tutti in televisione e su internet. L’attacco a un centro commerciale frequentato dalla comunità internazionale di Nairobi è un modo per colpire il Kenya, che è il centro logistico per il business e il turismo in Africa Orientale e che è intervenuto  militarmente in Somalia per riportare la pace. I terroristi sono infatti riconducibili all’organizzazione somala di al shabab, una delle più scellerate cellule della galassia di Al Quaeda. E adesso l’Africa è al centro delle strategie di Al Quaeda: è un continente con povertà e soldi al tempo stesso: gente disperata e risorse. Molti paesi presentano caratteristiche fisiche favorevoli a nascondersi: baraccopoli, deserti, montagne. Nel Sahel Al Quaeda si riorganizza: dopo l’intervento francese in Mali i suoi guerriglieri si stanno riorganizzando a cavallo di Mali, Libia, Algeria e Niger. In Africa Orientale c’e’ la Somalia, enorme hub che cerca adesso di espandersi nella regione. E il panorama è più vasto. Sarà mica che Al Quaeda ha scelto la via dell’Africa come hub per il proprio sviluppo. Avremo tanti Afghanistan in Africa? Per il momento il Kenya reagisce bene. Combatte, lotta. Ma una cosa è certa per le classi di governo africane: la lotta al terrorismo passa anche dallo sviluppo e dalla lotta alla povertà. Levare braccia al terrorismo, vuol dire eradicare la disperazione, la povertà estrema. Se non si comincia a portare lavoro in Africa e a gestire bene gli stati, ci troveremo davanti a una realtà inconcepibile.

Life in the Slum

Ho un figlio che ama guardare il mondo attraverso l’obiettivo della macchina fotografica… Lo guarda con i suoi occhi da adolescente e riesce a catturare aspetti della vita di tutti giorni, della natura, di tutto ciò che lo circonda attingendo al suo ricco mondo interiore, all’entusiasmo della sua età e grazie agli stimoli che, da ragazzo “fortunato” ha ricevuto e riceve quotidianamente. Ha aperto un blog che raccoglie le sue fotografie, possiede un bell’apparecchio fotografico e soprattutto ha la stima e l’approvazione di genitori fieri dei suoi interessi.

Per questa ragione sono rimasta affascinata da un’iniziativa di una onlus italiana che opera a Deep sea, slum di Nairobi, che si chiama AfrikaSi, la quale promuove e coordina programmi di assistenza sanitaria di base, alfabetizzazione e formazione, e con il contributo volontario di artisti professionisti e sponsor organizza eventi di sensibilizzazione e promozione della cultura africana.

Ciò che mi ha colpito, è la mostra inaugurata a Venezia l’11 maggio scorso, che si protrarrà fino a fine luglio, intitolata Life in the slum. Through our eyes, dove viene esposta l’opera di ragazzi dello slum che hanno realizzato fotografie del loro mondo, della loro realtà. A volte tragiche e drammatiche, a volte divertenti o commoventi, esse sono sempre piene di poesia e mostrano la vita nello slum attraverso gli occhi di chi la vive. Sebbene le immagini siano catturate attraverso una fredda lente di vetro, rimangono ricche del colore, dell’umanità, della vita dell’Africa.

Questa raccolta fotografica di 30 scatti, che approderà dopo Venezia in Turchia e infine negli Stati Uniti, è il risultato di una lunga e bella storia iniziata nel 2005 nello slum Deep Sea, una delle più di duecento baraccopoli che circondano la capitale del Kenya, grazie al coinvolgimento di Adriano Castroni, già fotografo di moda per Valentino e creatore dell’agenzia pubblicitaria TheSign.

In Africa Castroni ha creato con AfrikaSi il laboratorio Zinduka (in swahili “evoluzione”) in cui insegna ai ragazzi dello slum fotografia, grafica e sviluppo fotografico. L’obiettivo era di dare a questi ragazzi ancora prima di una professionalità una speranza nel futuro.

Il messaggio che arriva forte e chiaro da questa esperienza è che nonostante tutto anche i ragazzi delle baraccopoli di Nairobi, sebbene fra mille difficoltà hanno una speranza, una piccola possibilità di scelta che ci fa sperare in un futuro diverso almeno per alcuni di loro. Ciò che non hanno avuto per una coincidenza di nascita possono ottenerlo con tanto lavoro, determinazione e l’aiuto di persone come Castroni pronte a dare una mano gratuitamente, alimentando con la loro professionalità e dedizione quella scintilla creativa presente in tutte le nuove generazioni, anche le meno fortunate!