Senza titolo

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Un giallo ambientato nel mondo dell’arte contemporanea. La storia è raccontata da Frank Croce, un gallerista di successo che vive a Parigi. C’è l’atmosfera degli eventi legati all’arte, nel romanzo, inclusa quella della Biennale di Venezia nei giorni del vernissage degli artisti, con i suoi fiumi di alcool e con i collezionisti che vogliono imporsi con la propria forza economica e col desiderio di possesso. Il mondo che viene descritto è talvolta folle e delirante; a tratti sembra di rivivere atmosfere tratte dal film La grande bellezza, dove tutto si svolge in un continuo frastuono di feste e sballo. Qui, però, non siamo dentro una città italiana, ma in uno scenario internazionale con descrizioni di luoghi e situazioni, come alcune pennellate su New York, che sono piuttosto belle.

Dal momento che è un giallo, non mancano il morto e il mistero. E così, suo malgrado, il gallerista è costretto a interpretare il ruolo di investigatore; anche se è incapace di dimenticare il proprio amore per l’arte, incantandosi dinanzi alle opere di tutti i secoli e apprezzandole profondamente attraverso ogni suo senso, compreso l’olfatto: “l’olio di lino è tra tutti gli odori che mi risulta il più evocativo, così direttamente legato all’arte (…) Un profumo acre che mi proietta immediatamente nella purezza del gesto dell’artista”.

Il libro è curioso. Vi troviamo colpi di scena e soluzioni narrative intelligenti. A nostro vedere, si muove bene nell’ambito dell’arte contemporanea, dove spesso i limiti tra la realtà e finzione finiscono per confondersi.

Tommaso G.M.Nicolao, Senza titolo, Robin Edizioni

La grande bellezza

La-Grande-Bellezza-la-critiqueÈ di ieri la notizia, che ci rende assolutamente orgogliosi, che l’ultimo film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza, si è guadagnato il Golden Globe come miglior film straniero battendo la Palma d’oro a Cannes La vita di Adèle, l’iraniano Il passato, il danese The hunt, il giapponese di Miyazaki The wind rises.

Questa vittoria è il riconoscimento della vitalità del cinema italiano e spiana a Sorrentino la corsa verso l’Oscar (di cui gli auguriamo la vittoria non solo per questo suo ultimo sforzo, ma per l’intera sua filmografia).

Ho amato e odiato questa pellicola, recitata in modo supremo da un Tony Servillo in grande forma, attorniato da attori (Verdone e Ferilli per citarne due) eccezionali che, ognuno a proprio modo, hanno contribuito a creare un puzzle di situazioni e personaggi per lo più surreali.

Ero convinta che il film sarebbe piaciuto incredibilmente agli stranieri. Troppe, infatti, erano le atmosfere Felliniane e che si riferivano alla tradizione cinematografica classica italiana per lasciare indifferente la stampa, soprattutto anglosassone. Il Guardian inglese, in un articolo del settembre 2013 usava queste parole per introdurlo al suo pubblico: “Si tratta di un vero e proprio sovraccarico sensuale di ricchezza, stranezze e tristezza. Un film che sembra a volte dover svanire in un languore dissoluto, assaporando la propria noia come un tartufo. Ma più spesso da spazio al divertimento di una classe di ricchi uomini di mezza età, edonisti che sono capaci di farsi coinvolgere più dei giovani”.

Su tutto una Roma di una bellezza tragica, catturata dalla maestria del direttore della fotografia Luca Bigazzi, già con Sorrentino in altri capolavori quali, This must be tha place e Il Divo.

Ma, perché c’è un ma in tutto ciò, a noi italiani, forse il film lascia l’amaro in bocca. Si, perché la grande bellezza va a braccetto con una grande tristezza. Grande tristezza che ci trasmette l’occhio senza reticenze del regista, il quale mostra una Roma decadente, frivola, vuota di morale e di decenza. Una Roma dei palazzi del potere in cui tutto e tutti ammiccano e fingono, i cui tutto è permesso, in cui tutti appaiono ma non sono.

Il film è metafora del recente passato, è vero, ma ci auguriamo un riscatto nel prossimo futuro!