Now you see me

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Maurizio Cattelan, Milano

L’opera d’arte pubblica nasce per qualificare un luogo? Deve servire per scuotere i cittadini dalla loro routine quotidiana? Ha ancora senso pensarla come un monumento da innalzare? Ma se non celebra più, è giusto che dissacri?

Quante opere pubbliche ci sono nelle nostre città, quante sculture e installazioni? Sono opere che sono state commissionate; ma poi quale è stato il loro destino? Troppo spesso dimenticate, non ricevono la dovuta attenzione e la cura necessaria per la loro conservazione. In questi anni, poi, sono fioriti gli interventi di street art nelle città.  Ha senso cercare di conservare queste opere, installate in modo furtivo? Non è passato molto tempo dalla polemica di Blu, a Bologna: l’artista che ha cancellato i suoi murales, per impedire che fossero strappati e portati al sicuro in un museo ( Articolo del 15 marzo 2016). 

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Dani Karavan, Calenzano Firenze

Ci sono artisti che nelle città, negli spazi aperti, vogliono sorprenderci dando vita ad un’illusione, a qualcosa di impossibile da immaginare. Queste opere in genere puntano alla meraviglia e gli artisti stessi non vogliono farle durare nel tempo. Penso all’attesa che si sta creando per l’ultima grande installazione di Christo: prenderà vita sul lago di Iseo il 18 giugno. Si intitolerà The Floating Piers, sarà una grande piattaforma che ci permetterà l’impossibile: camminare sul lago .imgres-3

 Gli artisti, quando lavorano nelle piazze, lungo le strade, sono coscienti  che il loro lavoro verrà a  contatto con la città, con i suoi abitanti. Quindi nel loro fare quotidiano e nel progetto  cercano una relazione con l’occhio di chi, attraversando ogni giorno uno spazio, lo vedrà per la prima volta  in modo diverso.

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Richard Serra, Fulcrum, Liverpool

A volte l’arte pubblica è più forte dell’arte presentata nei musei, proprio  per la casualità dell’incontro. Un esempio di questo è il coinvolgimento del pubblico con la scultura di Jaume Plensa,  a Chicago, o il fascino irresistibile della fontanta di Niki de Saint Phalle e Jean Tinguely, omaggio a Igor Stravinsky, che si trova a fianco del Beaubourg, a Parigi.

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Jaume Plensa, Chicago

Se qualcuno vive vicino ad un’opera pubblica o ne ha una che gli sta particolarmente a cuore, può partecipare al concorso dal titolo Now You See Me! 

E’ il secondo anno che è stato indetto, è un concorso per cortometraggi dedicato ad opere pubbliche nel mondo .  Chiunque può offrire la sua visione dell’opera, raccontare come si colloca nel tessuto urbano e farci scoprire qualcosa di più .  I cortometraggi  selezionati verranno proiettati al Louvre, a Gennaio 2017, durante la Giornata internazionale dei film d’arte. Questo concorso oltre a mettere in risalto la qualità dei video permetterà anche di raccogliere documenti di opere pubbliche presenti nel mondo; non sarà un censimento ma una scoperta davvero interessante e nuova nel campo dell’arte.

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Niki de Saint Phalle e Jean Tinguely, Parigi

Chi vuole partecipare potrà farlo entro il 31 agosto. Chi ne volesse sapere di più  www.nowyouseeme.org

Le Louvre, autrement…

paris louvreNick Glass, giornalista e corrispondente da Parigi per la CNN, ha potuto incontrare e intervistare il nuovo direttore del museo più famoso del mondo: il Louvre, che oltre a dovere la sua notorietà all’oggettiva ricchezza e bellezza del suo patrimonio, nell’ultimo decennio ha accresciuto la sua fama (come se ce ne fosse stato bisogno) grazie anche al (discutibile) successo planetario del Codice da Vinci di Dan Brown.

È apparso sulla scena il nuovo direttore del Louvre, il 49enne Jean-Luc Martin, insediatosi nell’aprile scorso, il quale pur giungendo da una famiglia assolutamente nella media, con grande umiltà e dopo grande fatica e studio è giunto alla testa di un’istituzione unica nel mondo. Il giornalista ci rivela che per comprendere i bisogni delle centinaia di migliaia di visitatori che invadono le sale di questo imponente palazzo (visitato ogni anno da 9,7 milioni di turisti), egli ha voluto, come prima cosa, compiere una visita da comune cittadino, convinto che la peggiore trappola per un professionista dell’arte è proprio la sua professionalità che inevitabilmente lo spinge a vedere la realtà solo da un certo punto di vista, lasciandolo cieco e sordo ai bisogni del pubblico. Questa esperienza, che lo ha portato a dover subire tre ore di fila prima di raggiungere le biglietterie e l’ingresso, lo ha spinto ad una profonda riflessione sulla necessità non tanto di incrementare i numeri (quelli sono esorbitanti e comunque in continua crescita), quanto piuttosto di migliorare l’esperienza del visitatore. La visione di Martin è quella di un museo in cui ognuno possa trovare il proprio spazio, che non sia un luogo per le sole elites in grado di comprendere e apprezzare le opere d’arte. Un museo con meno code, più servizi, più accoglienza in cui il visitatore possa veramente fare un’esperienza culturale e sensoriale unica. Sebbene la maggior parte del pubblico si trovi nelle sale del Louvre per ammirare i capolavori eterni come la Monna Lisa, la Venere di Milo o la Vittoria Alata di Samotracia, l’imperativo deve essere la valorizzazione anche delle altre collezioni del Museo, di quel patrimonio nascosto alla vista che conta oltre 430.000 opere gelosamente conservate nei sotterranei del complesso.

Martin si spende senza posa, nella scia dei suoi predecessori, per promuovere il « brand Louvre », non solo in patria, ma anche all’estero. È recente l’apertura di una sorta di succursale del Louvre a Lens, nel cuore di quel territorio detto Bassin Minier francese, che la presenza del museo reinventa e riqualifica.

Il museo sarà presente anche laddove c’è « fame » e denaro per accogliere le opere del Louvre. Infatti nel 2015 è prevista un’altra nuova apertura con 300 opere da Parigi, questa volta ad Abu Dahbi, negli Emirati Arabi Uniti, i quali hanno pagato per il nome Louvre la bellezza di 400 milioni di euro.

Riuscirà il nostro eroe a portare cultura e bellezza in ogni casa del pianeta? Saremmo contenti se riuscisse almeno a dimezzare le code chilometriche che durante un breve soggiorno nella capitale francese ci portano a cancellare il Louvre dalla lista dei musei da visitare…

I musei si espandono: il nuovo Louvre a Lens

E così i musei si sdoppiano, aprono succursali. E più sono ospitali e più vengono visitati diventando luoghi dove trascorrere il proprio tempo e divertirsi. La prima succursale se la è inventata la Solom R. Guggenheim Foundation quando nel 1997 aprì a Bilbao lo spettacolare museo di Frank Gehry: ricordate il clamore e il successo che ne seguì? Ebbene il Guggenheim ha poi ha continuato la sua espansione e, sempre nel 1997, ha aperto un’ altra sede a Berlino. Prossimamente ne aprirà una ad Abu Dhabi, mentre la sede di Venezia merita considerazioni diverse perché è stata, più che una nuova sede, l’assorbimento di un museo che doveva rimanere veneziano e italiano.
Frank Gehry, Museo Guggenheim, Bilbao
In genere sono musei nuovi realizzati da architetti importanti come nel caso del nuovo Centro Pompidou, sorto a Metz, nel 2010, per opera dell’architetto giapponese Shigeru Ban. Il Centro ospita mostre con opere prese in prestito dalle collezioni del Museo d’arte moderna di Parigi.

È di questi giorni la notizia di una nuova sede distaccata aperta da un grande museo. Ancora una volta in Francia, questa volta ad opera del Louvre. Infatti, dal 12 dicembre, sarà possibile visitare una sua succursale nella città di Lens, nella Francia del nord. Il Museo è stato costruito dagli architetti giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, che lavorano assieme sotto il nome di SANAA.
Louvre, Lens
Si tratta di una realizzazione enorme: più strutture espositive, la principale delle quali è un hangar lungo 120 metri, realizzato in alluminio e vetro, di grande eleganza e armonia. E’ stato chiamata la Galleria del tempo perché strutturata lungo una linea temporale (una time line) che si dipana all’interno di essa, accompagnando il visitatore dall’antichità sino al secolo appena trascorso. Conserva opere provenienti per la maggior parte dal Louvre (il diciannovesimo secolo è rappresentato da quelle del Museo d’Orsay, naturalmente) che vi rimarranno per cinque anni. Vi è poi uno spazio a pareti mobili per esposizioni temporanee e vi è anche uno spazio (una specie di grande scatola in vetro) pensato per esposizioni di storia e cultura locale. La luce naturale prevale e la struttura può regolarne la quantità in entrata.
Tutta questo fermento ci fa venire la voglia di mettersi in viaggio. Ma, al contempo, ci assale il dispiacere che l’Italia non partecipi a queste rivoluzioni culturali; anzi spesso si lascia scappare anche ciò che di grande ha nel suo territorio.