Chiacchiere del Lunedì

 

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Julien Ries nella prefazione al suo Trattato di antropologia del sacro affermava: “Nel corso di ogni tappa della sua storia l’uomo religioso è creatore di cultura, ma in cambio la sua esistenza porta anche l’impronta della cultura nel cui ambito si svolge” (J. Ries, TAS, p.1, Jaca Book, Milano 1991). Quale migliore frase per commentare un articolo di A. Di Costanzo e A. Roncato apparso su Repubblica online e intitolato Sacro web, internet è un luogo di culto: santi e patroni diventano social!

Gli autori compiono un’analisi abbastanza dettagliata del boom religioso sul web: “Dirette streaming, app dedicate e webcam al servizio della fede. Per raggiungere i devoti in ogni angolo del pianeta, i grandi santuari e le piccole diocesi usano la Rete. Il mezzo che più di tutti abbatte le barriere di spazio e tempo”. Insomma lo spazio sacro che un tempo era legato ad un luogo ben definito (il luogo del culto) si allarga oggi a dismisura per dare la possibilità a tutti i credenti di accedervi comodamente seduti da casa. Prova ne sono il portale creato per i Miracolo di San Gennaro, che in breve tempo ha contato oltre i due milioni di contatti, o il sito della Basilica di Assisi che dà l’opportunità di visitare la tomba del Santo attraverso una web cam. Senza parlare dei 9 account ufficiali del Papa su Twitter (divisi per lingua), che contano oltre 15 milioni di followers/fedeli. Si calcola che ogni piccolo post in lingua spagnola di Papa Francesco viene ritwittato ben 11mila volte, per darvi una misura quelli di Obama in media sono ritwittati “solo” 1400 volte.

Dunque lo spazio sacro si allarga a dismisura al punto di contenere virtualmente tutta la comunità religiosa… ma, mi chiedo, il pericolo non è quello di diventare spettatori passivi come avviene per un evento sportivo? E che valore ha la presenza “virtuale” del fedele che non presuppone nessuna difficoltà se non quella di collegarsi via web, magari con una bibita in mano? Dove va a finire il retaggio di secoli fatto di preghiera in comune, di presenza, di commozione davanti ad un rito religioso?

Ma i tempi cambiano, no?

Pronti a ballare?

Vogliamo continuare questa settimana che si preannuncia triste e grigia mettendo un po’ di musica? Vi dispiace se ci dedichiamo a quella un po’ demenziale, tipo il motivetto che ti entra in testa e non ti abbandona più?

Allora parliamo della star del momento che canta la hit del momento… Mi riferisco a Psy, artsita coreano, che con il suo tormentone Gangnam Style ci sta facendo impazzire.

Affrontiamo però l’argomento seriamente, inannazitutto parlando del nuovo pop coreano, il cosiddetto K-pop (abbreviazione per Korean pop) che sta all’origine del Gangnam Style. Questo tipo di musica nasce alla fine del secolo scorso, al termine degli infiniti conflitti che avevano visto la Corea del Sud protagonista di indicibili sofferenze, quando questa eccezionale nazione decide di reinventarsi. Il nuovo livello di vita rende i coreani più propensi al divertimento. Nascono dunque, in un tessuto sociale in fermento,  a livello artistico, nuovi modi di esprimersi alcuni dei quali si rifanno alla tradizione occidentale, che però viene completamente reinterpretata in chiave neo-orientale, ovviamente non tutti allo stesso livello quanto a originalità e creatività.

Sulla scia delle boys bands occidentali nascono infatti boys bands coreane composte da innumerevoli cantanti e ballerini, funanbolici e istrionici.

Il magazine americano Rolling stone dà la seguente definizione di K pop  «il K pop è una miscela di musica occidentale alla moda e pop giapponese ad alta energia, che attacca le orecchie di chi ascolta con ganci ripetuti, si eprime a volte in lingua inglese, fondendo canto e rap ed enfatizzando le performance visive».

Torniamo a Psy, non più giovanissimo, conosciuto fino a questa estate come cantante, rapper, ballerino e produttore solo nell’ambiente coreano e definito oggi dal segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon «un uomo che con la sua energia può aiutare ad uscire dalla palude della crisi mondiale». Mica male no? Il suo video su you tube è naturalmente virale ed é di oggi la notizia che è stato cliccato 805 milioni di volte. Da luglio, quando è uscito il suo motivetto, è stato ballato non solo in tutto il mondo, ma da tutto il mondo (persino il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, durante la sua campagna elettorale promise che lo avrebbe ballato privatamente a Michelle una volta rieletto alla Casa Bianca). Non si contano i flash mob che l’hanno utilizzata come colonna sonora!

Noi ve lo vogliamo mostrare ballato da un danzatore di eccezione, che con questo video ancora una volta ha sfidato il governo del suo paese, per sottolineare quanto sia importante la libertà dell’arte e dell’artista.

Vi presentiamo dunque Ai Weiwei che danza Gangnam Style di Psy. Godetevelo!

Chiacchiere del lunedì

Michelle, Barack e l’America

Ce lo siamo studiato a fondo il discorso di Michelle Obama alla Convention democratica. Una vera opera d’arte. Il Washington Post lo ha definito il più devastante attacco al candidato repubblicano Romney, che nel discorso non viene nominato nemmeno una volta.

Così abbiamo commentato:

– Il discorso di Michelle Obama, sicuramente scritto da un ghost writer eccezionale, sulle prime è sembrato a chi lo ha ascoltato, il discorso di una donna innamorata del proprio compagno e lontano miglia dai riflettori della politica. Michelle ha parlato del presidente in quanto marito e uomo ricordando le umili origini di entrambi e il duro lavoro fatto da loro stessi e dalle loro famiglie per arrivare al vertice. Obama insomma ne esce marito fedele e padre ineccepibile, incarnazione del “sogno americano”. Tuttavia dietro a tutto ciò c’é, trovo, una precisa volontà politica: quella di porre Obama in contrapposizione al candidato repubblicano, che al termine del discorso di Michelle ne esce come una persona privilegiata, nato in una famiglia ricca, lontana dai problemi degli americani, che non ha dovuto lottare per la realizzazione dei propri sogni, e tutto ciò senza nominarlo una sola volta! Geniale…

-Siamo d’accordo, brava Michelle. Mi piace tanto questa donna: sicura come una guerriera, non vive né all’ombra del marito né in competizione con lui, insieme fanno squadra. Questa coppia mi convince anche perchè mi è sembrato che la loro relazione non  esclude gli altri, e quindi  nella loro storia c’è ancora posto, cosa rara in questi giorni, per le loro radici e per i nonni.Quando ha detto che suo padre malato ogni giorno le sapeva donare un sorriso mi ha ricordato il sorriso e la malattia di mia madre, e poi quando ha  affermato  che il punto per Obama non è quanto guadagna ma la differenza che riesce a fare nel migliorare la vita degli altri mi ha fatto pensare a mio marito e al suo impegno in Africa.  A questo punto per poco non mi commuovo ormai ipnotizzata dall’ottima comunicazione politica e dalle potenti onde  del video.

– Si, si tutto vero, ma che volpona!!! O meglio, che volponi quelli dello staff del presidente. Se hanno fatto salire le lacrime a te che neanche voti, pensa a quanto sono state dirompenti le parole della First Lady sulle masse di americani e americane. Brava, brava, ma a me viene sempre in mente il film Le Idi di Marzo. I responsabili della comunicazione nulla lasciano al caso, nessuna spontaneità è ammessa (sebbene pubblicamente esibita attraverso il sorriso di Michelle)… del resto questo è il gioco della politica! Forse sono troppo cinica? Comunque di donne come Michelle. o Illary (non la moglie di Totti… la Clinton) ne avremmo veramente un  gran bisogno!

-Preferisci i responsabili della comunicazione di Ann Romney quando le fanno affermare: “(…) come mio marito mi riportò sana e salva a casa dopo il nostro primo ballo così accompagnerà l’America fuori dalla crisi”.

– … senza parole!