Joyce e Ulisse

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Molina, Genaro –– B581759856Z.1 LOS ANGELES, CA – DECEMBER 16, 2011–– The tattered cover of a first edition printing of James Joyce’s, “Ulysses. Photographed on December 16, 2011. (Genaro Molina/Los Angeles Times) ATT PRE–PRESS: PLEASE MAINTAIN WARMTH.

Settantacinque anni sono passati, il 13 gennaio, dalla morte di James Joyce.

Ricordare questo anniversario è solo un pretesto per parlare del capolavoro dello scrittore irlandese definito una pietra miliare della letteratura del XX secolo: Ulisse.

JoyceTesto difficile e impegnativo, paradigma delle correnti avanguardiste che percorrevano il mondo anglosassone all’inizio del secolo scorso, che si prefiggevano di rinnovare il linguaggio della letteratura per venire incontro al deciso cambiamento dei tempi, ai progressi in campo tecnologico, alle nuove sfide dell’umanità.

Pubblicato nel 1922 a Parigi, era stato iniziato dall’autore nel 1914, e a grandi linee racconta la storia di una giornata-odissea dublinese che il protagonista Leopold Bloom (Ulisse) vive insieme alla moglie Molly Bloom (Penelope) e Stephen Dedalus (Telemaco). Nelle intenzioni dell’autore il testo ricalcava l’Odissea e, come aveva fatto Omero, raccontava la storia dell’uomo nel mondo.

Difficile, difficile, non so in quanti sono riusciti a finirlo… personalmente non ce l’ho fatta! Fa parte di quella lista di libri che universalmente non si riescono a finire e che tutti o quasi fingono di aver letto (insieme a Moby Dick di Melville, 1984 di Orwell, Il Giovane Holden di Salinger, La coscienza di Zeno, Gomorra,  Il nome della rosa… questa sembra sia la classifica aggiornata!).

Eppure, eppure preso a piccole dosi, un po’ alla volta non è che si finisca, ma si accetta.

Il vocabolario ricercato, il flusso di coscienza, il modo cioè di presentare i pensieri del personaggio di un romanzo così come si affacciano nella sua mente, secondo una rete di libere associazioni mentali di idee, pensieri, immagini, ricordi difficili da decriptare, se non proprio intellegibile, diventa pian piano ipnotico.

Esemplare e consigliato è il monologo interiore di Molly Bloom, otto lunghi periodi senza punteggiatura, quaranta pagine di pensieri, rimandi, flash back in cui Molly si fa conoscere attraverso un soliloquio divenuto famoso.

Una delle tante resolutions per il 2016 è proprio quella di finire Ulisse… chissà se ci riuscirò…

Uomini o ciclopi?

Ho visto una meravigliosa trasposizione teatrale dell’odissea ad opera di Robert Wilson coprodotto con il Piccolo Teatro di Milano e il National Theatre of Greece.

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Si recitava in greco moderno con i sottotitoli in alto , su uno schermo ben visibile. Una parola risuonava in moltissime scene, dato che Odisseo gira disperato per terre lontane: si tratta di philoxenia, ossia ospitalità. Per i greci antichi e moderni il termine era lo stesso: deriva da due altre parole Phila (amicizia amore) e xenos (straniero). Ospitalità vuole e voleva dire offrire amicizia allo straniero. Per Omero, il mondo barbarico e bestiale dei Ciclopi si contrapponeva a quello civile e giusto degli esseri umani,dal  momento che questi ultimi ritenevano un dovere naturale e anche un grande onore offrire ospitalità al viandante. Tutta l’Odissea è permeata di questo concetto.

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Mai come oggi il tema dell’ospitalità ci pone davanti la scelta: essere ciclopi o persone civilizzate.

Poi penso alla storia del panettiere di Kos greco di oggi ( di cui abbiamo raccontato il 12 ottobre) , che si comporta esattamente come Penelope e Telemaco: se uno straniero arriva alla sua isola, lui gli offre il pane e ogni giorno lo fa per tantissime persone. Senza chiedersi perchè, si fa cosi e basta: questo è l’atteggiamento di chi discende da Odisseo.

Questo spettacolo non va perso sarà a Milano ancora fino al 31 ottobre.