Milionidipassi // Millionsteps

CA2dwFrWUAAFHsGCosa hanno in comune i deserti africani, i boschi della Serbia, le montagne dello Yemen, le strade del centro america, le isole greche e le banchine dei porti siciliani? Sono percorsi da milioni di persone in fuga. In fuga dalla guerra, dalla violenza, da un posto e da una situazione che non è più sostenibile. Mai come in questo periodo, sostiene l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, il numero delle persone in “movimento” e stato così alto.

“Immagina di camminare per giorni, settimane o mesi nel deserto o nella neve, o di attraversare il mare agitato dentro un gommone in cerca di un posto sicuro. Questo incubo è la realtà per più di 51 milioni di persone nel mondo, costrette a fare milioni di passi per sopravvivere. Di questi, 16 milioni sono rifugiati, più di 33 milioni sfollati interni e circa 1,2 milioni richiedenti asilo.

Avevano tutti una vita normale, molti di loro avevano un lavoro. Hanno dovuto lasciare tutto perché intrappolati in un conflitto o una guerra. Non hanno avuto altra scelta se non fuggire perché attaccati o minacciati”

Sono queste le parole introduttive della nuova campagna di Medici senza Frontiere, #milionidipassi, voluta per sensibilizzare l’opinione pubblica alla tragedia di interi popoli nelle zone più remote del pianeta.

Utilizzando le foto di calzature scattate dalla fotografa americana Shannon Jensen a partire dal 2012, che ha documentato l’esodo di dimensioni bibliche delle popolazioni del Sudan verso una agognata tranquillità, Medici senza frontiere documenta la propria presenza fra queste genti alle quali fornisce non solo le necessarie cure mediche e le vaccinazioni, ma l’assistenza psicologica, il cibo, l’acqua potabile puntando il dito sull’inadeguatezza degli aiuti istituzionali.

Dunque queste scarpe logore, piccole, grandi, spaiate diventano il simbolo di un’umanità martoriata e in viaggio e un appello disperato affinché vengano

  • stabiliti “canali regolari per consentire alle persone di cercare protezione in modo sicuro. La chiusura delle frontiere e la mancanza di vie legali e sicure per raggiungere l’Europa costringe, infatti, le persone a intraprendere viaggi pericolosi mettendo a rischio la loro vita nelle mani di bande criminali senza scrupoli”.
  • ripristinato “un adeguato dispositivo di soccorso in mare. Pur non essendo la soluzione al problema, non si può permettere che la miopia e l’egoismo dell’Europa diventino un alibi per l’inazione dell’Italia. Il mare che bagna le nostre coste non può trasformarsi per sempre in un cimitero”.
  • garantite “adeguate condizioni di accoglienza” e previsti “piani per la gestione dell’emergenza alle frontiere che permettano a chi fugge di vivere dignitosamente durante il viaggio verso un futuro più sicuro”.

 

English Version

What do African deserts, Siberian woods, Yemenite mountains, Central American roads, Greek islands and Sicilian boating docks have in common? The fact that, every year, they are treaded by millions of people fleeing their homes. Fleeing from wars, from violence, from places where the situation is no longer tolerable. Never, according to the UNHCR (United Nations High Commission for Refugees), has the world seen so many people fleeing toward a better life.

“Imagine walking for days, weeks, or months in desert sand or in snow, or crossing high seas in unsafe dinghies, looking for a safe-haven. This nightmare is a reality for 51 million people worldwide, forced to take a million steps to survive. Amongst these, 16 million are refugees, over 33 million are IDPs (internally displaced persons), and about 1.2 million are asylum seekers.

They all lead normal lives, many of them had jobs. They had to run from everything they had because they were trapped in a conflict or war. They had no choice but flee because they felt menaced, or were in some way attacked”

These are the words leading the new campaign by Medici senza Frontiere Italia, or the Italian equivalent of Doctors without Boarders (MsF), appropriately titled #milionidipassi (millions of steps), working to teach people about the tragedy that many peoples around the globe are suffering.

Using photographs of shoes, taken by American photographer Shannon Jensen during the mass immigration of Sudanese nationals towards tranquillity started in 2012, MsF documents its presence between these newly nomadic people, to whom it provides necessary medical care and vaccinations, as well as psychological assistance, food, and potable water, meanwhile scorningly pointing its finger at the inadequate aid from international organisations.

These shoes, then, whether consumed, small, large, or mismatched, become a symbol of a battered, nomadic humanity, yelling for aid in order to achieve:

  • the creation of ‘regular channel to allow for people to seek refuge in a safe manner. The closing of borders and the lack of legal ways to reach Europe forces desperate people to undertake difficult and treacherous journeys, putting their lives in the hands of organised crime’.
  • the revival of ‘adeguate sea rescue operations. Although not being the solution to the problem, we cannot allow the shortsightedness and the selfishness of the European Union to become an alibi for Italy’s lack of action. The water that wets our coasts cannot be turned into a cemetery’.
  • the granting of ‘adeguate welcoming conditions’ and ‘plans for dealing with emergencies at borders that allow fleeing people to live with dignity during their journey to a brighter and safer future’.

“Fiori metallici dell’infinita infamia umana…” (M. Ovadia)

MK.ASI.118Il 4 aprile è la Giornata Internazionale di sensibilizzazione al problema delle Mine e dell’assistenza alla lotta anti-mina, evento riconosciuto e promosso dalle Nazioni Unite.

Le statistiche parlano di un morto a causa delle mine antiuomo ogni trenta minuti, in quei paesi, e sono ben 62, in cui esse sono o sono state usate. La maggioranza delle vittime sono civili, soprattutto bambini e donne. Il problema è vastissimo, si calcola che per sminare l’Afghanistan, tenendo i ritmi fino a qui usati, ci vorrebbero 2400 anni!

Se scorriamo velocemente i puri dati ci rendiamo conto della complessità della situazione: le mine antiuomo posate e inesplose nel mondo ammontano ad oltre 100 milioni, ancora oggi sono 15.000 le persone mutilate o uccise ogni anno, il costo medio di una mina è assurdamente basso (poche decine di euro), il costo medio per disattivarle con professionisti, cani addestrati, mezzi tecnologici ecc. è attualmente di oltre 5000 euro a ordigno. Si calcola che nel mondo esistano ancora 160 milioni di mine antiuomo che fanno parte dell’arsenale bellico dei paesi che non hanno firmato il Trattato di Ottawa – la Convenzione sul divieto d’impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione, entrato in vigore nel 1999 e purtroppo non ratificato da tutte le nazioni – e non sono state distrutte (stima del 2012).

“La mina antiuomo è un’arma semplice, tecnologicamente elementare e molto economica, essa viene studiata per ferire, mutilare o uccidere indiscriminatamente chiunque ne causi la detonazione e tutte le altre persone che si trovano in prossimità. Una volta posata sul terreno rimane attiva per decenni” (tratto dal sito Stopmine.it) per combattere chissà quale nemico immaginario.

E almeno le mine uccidessero in modo pulito o, come si diceva un tempo, “chirurgico”! invece no, “lacerano, accecano, sbrindellano, cancellano parti di vita, creano voragini di antimateria, progettano il non-uomo” (M. Ovadia, Prefazione al libro di G. Strada, Pappagalli verdi, Cronache di un chirurgo di guerra, Feltrinelli, Milano 1999, p.8). Tutto ciò in barba agli sforzi di migliaia di persone impegnate in prima linea in questa assurda battaglia.

Quest’anno poi la giornata è consacrata al ruolo importantissimo che giocano le donne anche nella soluzione di questo tragico problema. Sono le donne infatti che negli scenari di guerra e degenerazione mostrano come proteggersi, aiutano le vittime e partecipano allo sminamento.

Ma ancora oggi 14 paesi (Usa, Cuba, Russia, Egitto, Iran, Iraq, Burma, Cina, India, Corea del Nord e del Sud, Pakistan, Singapore e Vietnam) continuano a rifornire gli arsenali dei signori della guerra.

Michelangelo Pistoletto a Ginevra: Il Terzo Paradiso

Michelangelo Pistoletto
Michelangelo Pistoletto, Terzo Paradiso

Venerdì mattina alle 11 a Ginevra , l’artista MIchelangelo Pistoletto, nella grande piazza di Plainpalais , presenterà  una performance dal titolo “Terzo Paradiso”,  con l’aiuto di 500 ragazzi delle scuole superiori  ginevrine. L’evento organizzato dalla fondazione Pistoletto e dall’ONU rientra nell’avvenimento “Forest for fashion”.

La performance è uno degli eventi con cui il Centre d’Art Contemporain di Ginevra festeggia  i quarant’anni di attività ricordando anche la mostra personale dell’artista che si tenne nel museo nel 1984.

Michelangelo Pistoletto, sino dagli anni Sessanta uno dei principali esponenti  della scena artistica italiana, ci ha insegnato a guardare all’atto artistico come a un momento di vissuto reale, un punto di incontro di relazioni umane e materia; gesto e forma che ogni volta sprigionano un’energia primaria, impulso di ogni atto creativo. E quella che vedremo a Ginevrà, sarà proprio un’azione creativa, in cui  l’intelligenza umana entra in contatto con  l’intelligenza della natura attraverso il dipanarsi di un segno che ricorda  il simbolo de l’infinito. Questo segno, usato per la prima volta dall’artista nel 2003, è legato al progetto che ha occupato la sua vita creativa negli ultimi anni, chiamato Terzo Paradiso e spiegato da lui stesso come segue: “Il progetto del Terzo Paradiso consiste nel condurre l’artificio, cioè la scienza, la tecnologia, l’arte, la cultura e la politica a restituire vita alla terra. Terzo paradiso significa il passaggio ad un nuovo livello di civiltà planetaria. Indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza. Il terzo paradiso è il nuovo mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilità in questo frangente epocale. Con il nuovo segno di infinito si  disegnano tre cerchi, quello centrale rappresenta il grembo generativo del Terzo Paradiso”. (brano tratto da Wikipedia Il Terzo Paradiso).

Michelangelo Pistoletto, Terzo Paradiso
Michelangelo Pistoletto, Terzo Paradiso

Il Terzo Paradiso dunque è un moto continuo che non può cessare di mettere in atto azioni ogni volta diverse ma con lo stesso obiettivo. Alla Biennale di Venezia nel 2005 si è presentato  come un luogo di incontri e di scambi tra persone e culture. In un’altra occasione invece è  diventato materia per un libro che Pistoletto ha scritto nel 2010 edito da Marsilio e ora a Ginevra si mostra sotto forma di performance.

Quando nel 2007 Pistoletto riceve a Gerusalemme il Wolf Foundation Prize in Arts si legge che il premio è stato conferito “ per la sua carriera costantemente creativa come artista, educatore e attivatore, la cui instancabile intelligenza ha dato origine a forme d’arte premonitrici che contribuiscono ad un nuova comprensione del mondo”.

Attivatore, ecco la parola giusta per lui,  perchè Pistoletto non è solo un artista, il suo lavoro ci sveglia e riattiva aspetti emotivi, formali e intellettuali assopiti.

Come capite a questo punto siamo molto curiosi e lo attendiamo in piazza a Ginevra.search

… ci piace

Ci piace, ma si poteva fare di più, l’accordo sottoscritto ieri a Ginevra per tentare di normalizzare la situazione della Siria. Sebbene Kofi Hannan, negoziatore fra le parti in causa avesse suggerito una più severa risoluzione dell’ONU che favorisse la transizione a un governo nazionale, impedendo ad Assad di parteciparvi, il veto di Mosca ha fatto fare marcia indietro, dimostrando i troppi interessi della Russia in Siria.
Finalmente, sebbene viziata da questo compromesso, pare che la comunità internazionale si sia accorta delle stragi e delle centinaia di morti che questo strascico della “primavera araba” ha creato in quella regione.

Da donna a donna

Asma AssadA metà aprile è stato postato su You Tube un importante appello. Le mogli degli ambasciatori tedesco e britannico presso l’ONU a New York, Huberta von Voss Wittig e Sheila Lyall Grant, si sono messe personalmente in gioco inviando una lettera pubblica alla moglie del leader siriano Bashar al-Assad, Asma, pregandola di intervenire presso il marito per fermare il massacro che si sta perpetrando nella regione.

Il video di quattro minuti si rivolge direttamente alla moglie del premier nata ed educata in UK, che é sempre stata attiva nella promozione della figura all’estero di Bashar. Icona di bellezza ed eleganza, Asma era il volto rassicurante che fungeva da trait d’union fra il regime medio orientale e l’occidente. Attivissima presso il suo popolo, all’inizio del 2012 aveva stupito tutti supportando, attraverso una lettera al Times di Londra, la dura linea repressiva del marito.

Alcuni osservatori ne avevano giustificato l’atteggiamento affermando che come moglie di un premier non avrebbe potuto e dovuto fare altro… ma la storia è piena di donne che con coraggio si sono ribellate allo staus quo innescando circoli vituosi. È prerogativa femminile.

Il filmato su You Tube è duro, molto duro, e invita tutti a firmare questa lettera. Il video è capace di toccare le corde del cuore di una donna, rende più vicino lo strazio di madri, mogli, sorelle che giorno dopo giorno si vedono sottrarre dalla guerra le persone amate senza avere la possibilità di fermare il bagno di sangue.

Non so se Asma in questo momento può e vuole ascoltare le parole di altre donne, ma credo che un atto di amore incondizionato verso il proprio popolo, come solo una donna può fare, con un appello pubblico contro la violenza di questi ultimi mesi, potrebbe aiutare a riportare un po’ di pace in questa terra martoriata.