Le ipnotiche melodie di Satie

Nell’arte si parla spesso di avanguardie, quelle correnti che interrompono la tradizione rispetto ai temi, alle tecniche, ai materiali e si pongono in antitesi con le consuetudini precedenti. Anche nella musica le avanguardie rappresentano un momento di rottura con le abitudini anteriori a volte doloroso ma sempre necessario.

È il caso della musica di Erik Satie geniale quanto eccentrico compositore di fine ‘800 (1866-1925), il quale si mise fieramente in contrapposizione con l’accademismo romantico della sua epoca. Posto sempre ai margini della musica classica, disprezzato dalla élite orchestrale del tempo, egli fu a lungo considerato privo di talento e destinato ed essere dimenticato, fino a quando John Cage non ne recuperò la musica e la memoria addirittura organizzando per lui nel 1948 un festival ad hoc al Black Mountain College. L’estetica di Cage fatta di studiata destrutturazione e la sua poetica che si può inserire in quel filone dell’arte figurativa dell’astrattismo gestuale di Pollock, Kline, e De Kooning, ben si accordano con l’opera di Satie.

Satie-erik-4ff9d0bde1749Una vita all’insegna della musica quella di Satie conosciuto per una serie di composizioni per pianoforte giovanili (Gymnopedies e Gnossienne) che hanno sempre incontrato il favore del pubblico, delicate e ipnotiche, nelle quali tuttavia erano contenute in nuce le novità che si fecero palesi più tardi. Negli anni ’20 del secolo scorso l’incontro con il gruppo dadaista di Tristan Tzara, lo portò a comporre la musica di balletti assurdi quali Parade (che nell’organico dell’orchestra prevede una macchina da scrivere) e Relâche (che include un frammento di un film in cui compaiono lo stesso compositore, Marcel Duchamp, Francis Picabia e Man Ray), ma anche un tipo di musica che lo stesso Satie definì “musique d’ameublement” musica di arredamento, riempitiva ma non assordante, che segue i rumori ambientali senza disturbarli e senza distogliere l’attenzione.

Ma ciò che Cage apprezzò e ammirò in assoluto fu un manoscritto ritrovato nell’appartamento di Satie dopo la sua morte: Vexations, una corale di 34 accordi che riporta le seguenti enigmatiche istruzioni: “per suonare a se stessi 840 volte di seguito questo motivo, è consigliabile prepararsi prima, nel più profondo silenzio, adottando una serie di immobilità”.

Eccessivo, eccentrico, irriverente, genio incompreso e precursore di nuove istanze artistiche Satie oggi é stato recuperato al suo destino e ha acquisito un posto rilevante nella storia della musica.

Arte e vita – Arte che vive

Pierre Huyghe, Zoodram, 2004
Pierre Huyghe, Zoodram, 2004

Non sarà difficile per chi ama frequentare l’arte del XX secolo trovare una relazione stretta tra arte e vita. Far coincidere arte e vita è stato uno dei temi centrali del secolo scorso; gli artisti nel tempo lo hanno praticato in modo diverso cominciando dal en plein air degli impressionisti, per passare poi ai collage di Picasso e al colore sgocciolato di Pollock e arrivare fino agli happening di Fluxus, magari passando dall’orinatoio di Duchamp.   C’è un momento, però, nella storia dell’arte della seconda metà del XX secolo, in cui l’arte non coincide veramente con la vita, ma l’artista è interessato a dare vita all’opera d’arte. Mi spiego meglio: dagli anni Sessanta si assiste alla ricerca di una forma d’arte che sia essa stessa vita . Per me questo è il significato profondo dell’arte povera, una forma di arte che quasi promanava dall’energia della materia e che esprimeva la sostanza delle cose.

Interesse per le cose viventi, rendere l’opera d’arte un organismo vivente che viva la mutazione e il cambiamento: questo senz’altro è il lavoro dell’artista francese Pierre Huyghe che in questo momento ha una retrospettiva al Centre Pompidou a Parigi.

images
Pierre Huyghe, Untitled, 2011

Egli esplora l’arte e le sue leggi, i segni del tempo e  i cambiamenti biologici delle cose. Chi infatti potrà visitare la sua mostra vedrà come il suo lavoro  è fatto di tanti materiali e tecniche diverse: ciò che cerca è lo stato in cui un’opera diventa un organismo in continua metamorfosi e cambiamento, quasi un mondo che si autogenera e varia nel tempo e nello spazio, indipendentemente dalla presenza degli spettatori. Colpisce ad esempio A Way in Untilled, una scultura di una donna sdraiata  con la testa coperta da un alveare di api.  La statua è diventata il luogo per le api, che si sono appropriate della forma e che ora vivono dentro essa. Oppure il lavoro Zoodram, acquari dove vivono invertebrati e ragni marini che l’artista ha scelto per i loro comportamenti e per le loro forme. Dentro gli acquari convivono con paesaggi insoliti: teste di muse, forme surreali di architetture. In mostra potrete anche imbattervi in un cane bianco con una zampa rosa . Si legge nel depliant della mostra: “ la mostra è aperta a delle forme di vita che normalmente sono vietate. Ragni e formiche tracciano le proprie linee negli spazi  acquatici dove trovano rifugio, delle api costruiscono i loro alveare e un cane circola”.

Pierre Huyghe, Centre Pompidou
Pierre Huyghe, Centre Pompidou

Dentro la mostra ti senti  in un mondo vivo e anche a te è richiesto di agire come nell’opera Atari Light, del 1999, dove il soffitto è programmato per trasformarsi in una scacchiera e il pubblico è invitato a giocarvi muovendo le pedine con dei telecomandi.

La mostra curata da Emma Lavigne è aperta al Centre Pompidou fino al 6 gennaio 2014, poi andrà al Ludwig Museum di Colonia  e poi al LACMA di Los Angeles.