The Artists’ and Writers’ Cookbook (II)

Nel 1961 apparve un libro assolutamente originale e oggi introvabile dedicato “all’arte dell’imperfezione in cucina” che si intitolava The Artists’ & Writers’ Cookbook. Il volume conteneva dozzine di ricette fornite da artisti e scrittori dell’epoca e del calibro di Marcel Duchamps, Georges Simenon, Pearl Buck, Man Ray, Harper Lee e tanti altri, i quali si erano divertiti a donare ricette personali, a volte vere e proprie delizie altre volte solo provocazioni, come il Menu per un giorno dadaista di Man Ray, che di commestibile aveva solo il titolo. L’introduzione al libro era stata affidata ad Alice B.Toklas, cuoca, segretaria, amante di Gertrude Stein, che a sua volta aveva pubblicato un liberatorio libro di ricette che conteneva anche il suo capolavoro, gli Alice Toklas Browines un mix di frutta, spezie, noci e… cannabis che divenne famoso in men che non si dica.

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Il libro del 1961 ha fatto da esempio ad un nuovissimo volume intitolato esattamente come il primo, The Artists’ and Writers’ Cookbook, curato da Natalie Eve Garret, artista e scrittrice, ed edito da powerHouse books, negli Stati Uniti. In questo nuovo libro di cucina di artisti e scrittori la Garrett ha raccolto i nomi famosi della scena dell’arte contemporanea quali Marina Abramović, James Franco, Jessica Stoller, Joyce Carrol Oates e tanti altri. Le ricette proposte si intrecciano con la vita e le esperienze dei loro autori. Nella selezione degli artisti e scrittori la Garret è stata attratta da quelle ricette che “coltivavano la fantasia”,  che toccavano ricordi particolari e che suggeriscono cibi immaginari. Così la ricetta suggerita da Marina Abramović per “essence drink”, “fire food” e “pain” ha un surreale fascino ultraterreno. L’artista sfida il lettore a tenere in bocca un piccolo meteorite, finché la lingua non va a fuoco e poi rinfrescarla con latte materno, quasi una pozione, da bere – come la stessa autrice raccomanda – in una “notte di terremoto”. Interessanti i “macaron allo sguardo maschile” di Jessica Stoller o la “ricetta che sfida il dolore” di Joyce Carrol Oates.

Queste e tutte le altre ricette contenute nel volume sono penetranti e sorprendenti, con storie che mescolano insieme il fare arte, lo scrivere e il cucinare. Ogni ingrediente citato, ogni colore in una zuppa, ogni parola che modifica un certo significato è una traccia di un vissuto emozionale profondo.

Il libro non è ancora stato tradotto ed è in versione inglese, ma sembra decisamente un’idea originale per un regalo di Natale.

 

 

Le ipnotiche melodie di Satie

Nell’arte si parla spesso di avanguardie, quelle correnti che interrompono la tradizione rispetto ai temi, alle tecniche, ai materiali e si pongono in antitesi con le consuetudini precedenti. Anche nella musica le avanguardie rappresentano un momento di rottura con le abitudini anteriori a volte doloroso ma sempre necessario.

È il caso della musica di Erik Satie geniale quanto eccentrico compositore di fine ‘800 (1866-1925), il quale si mise fieramente in contrapposizione con l’accademismo romantico della sua epoca. Posto sempre ai margini della musica classica, disprezzato dalla élite orchestrale del tempo, egli fu a lungo considerato privo di talento e destinato ed essere dimenticato, fino a quando John Cage non ne recuperò la musica e la memoria addirittura organizzando per lui nel 1948 un festival ad hoc al Black Mountain College. L’estetica di Cage fatta di studiata destrutturazione e la sua poetica che si può inserire in quel filone dell’arte figurativa dell’astrattismo gestuale di Pollock, Kline, e De Kooning, ben si accordano con l’opera di Satie.

Satie-erik-4ff9d0bde1749Una vita all’insegna della musica quella di Satie conosciuto per una serie di composizioni per pianoforte giovanili (Gymnopedies e Gnossienne) che hanno sempre incontrato il favore del pubblico, delicate e ipnotiche, nelle quali tuttavia erano contenute in nuce le novità che si fecero palesi più tardi. Negli anni ’20 del secolo scorso l’incontro con il gruppo dadaista di Tristan Tzara, lo portò a comporre la musica di balletti assurdi quali Parade (che nell’organico dell’orchestra prevede una macchina da scrivere) e Relâche (che include un frammento di un film in cui compaiono lo stesso compositore, Marcel Duchamp, Francis Picabia e Man Ray), ma anche un tipo di musica che lo stesso Satie definì “musique d’ameublement” musica di arredamento, riempitiva ma non assordante, che segue i rumori ambientali senza disturbarli e senza distogliere l’attenzione.

Ma ciò che Cage apprezzò e ammirò in assoluto fu un manoscritto ritrovato nell’appartamento di Satie dopo la sua morte: Vexations, una corale di 34 accordi che riporta le seguenti enigmatiche istruzioni: “per suonare a se stessi 840 volte di seguito questo motivo, è consigliabile prepararsi prima, nel più profondo silenzio, adottando una serie di immobilità”.

Eccessivo, eccentrico, irriverente, genio incompreso e precursore di nuove istanze artistiche Satie oggi é stato recuperato al suo destino e ha acquisito un posto rilevante nella storia della musica.

Le donne dell’arte

Sandra Tomboloni
Sandra Tomboloni

Questo 8 marzo lo dedichiamo alle donne dell’arte.

E per tutte ne scegliamo tre, nate in tre momenti diversi del XX secolo. Indipendenti e determinate hanno contribuito ad inventare nuovi linguaggi nel campo dell’arte.

Meret Oppenheim
Meret Oppenheim

La prima è Meret Oppeheim, nata a Berlino nel 1913. Cresce tra la Germania e la Svizzera, dove muore nel 1983. Negli anni Trenta vive a Parigi dove frequenta il circolo surrealista . I suoi primi lavori sono dipinti, disegni e resoconti di sogni. Posa anche come modella per una serie di fotografie erotiche di Man Ray .

Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936
Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936

Parlando del suo lavoro e del suo ruolo di donna nel mondo dell’arte, occorre ricordare che fu lei a incitare  le donne”a dimostrare coi fatti di non essere più disponibili ad accettare i tabù che le hanno tenute in una condizione di asservimento per migliaia di anni. La libertà non è qualcosa che viene regalato ma qualcosa che bisogna conquistare” ( da Le donne e l’arte, Taschen 2004 pag. 151). Tra le sue produzioni più ricordate sono gli object trouvés, ovvero oggetti che, trovati e trasformati per essere estraniati dal loro contesto, perdono la loro funzione d’uso e mantengono solo il valore di simbolo. Tra questi oggetti surrealisti  Le déjeuner en fourrure del 1936 rimane il più famoso: una tazzina da caffè , con piattino e cucchiaio rivestiti di pelliccia.

Niki de St Phaille
Niki de St Phaille

La seconda artista è invece la francese Niki de St Phaille. Nata nel 1930 a Parigi, Niki fece parte del gruppo dei Nouveau Realistes. Ebbe un’infanzia difficile e fuggì dalla sua famiglia. Lavorò fin dai primi anni Sessanta, con opere di assemblage e  per mezzo di happening. E’ del 1966 il suo lavoro “Hon” che significa “Essa”, in svedese. L’opera fu presentata al museo Moderna Musset di Stoccolma ed è composta da  una gigantesca scultura rappresentante una donna multicolore sdraiata con le gambe aperte. I visitatori sono invitati ad entrare attraverso la sua vagina  per vivere esperienze prenatali.  Dopo Hon, Niki continua a lavorare attorno a  figure femminili gigantesche, chiamate Nanas. Al centro del suo lavoro rimane sempre il mito del corpo femminile come luogo di mistero insondabile.

Niki de St Phalle, Hon, 1963
Niki de St Phalle, Hon, 1963

La terza artista invece è una figura a noi contemporanea. Una donna meravigliosa, piccola piccola, che vive nei dintorni di Firenze, a Pontassieve, e si chiama Sandra Tomboloni. Parlando di Sandra si deve parlare delle sue mani sempre in movimento e intente nel lavoro. Lei stessa dice: “la mia vita è come un’aereo che non decolla mai. ho paura della vita. Io ho bisogno di lavorare, il lavoro nasce per me da una necessità, quella di esserci; il mio lavoro è il mio vestito”.

Sandra riveste col pongo tanti oggetti di recupero,  lavora la creta e ricama. Il suo lavoro è come un lievito che riempie il vuoto; è la forma dei suoi pensieri e della sua fragilità. Le sue sono opere con “la febbre”; perché raccontano un flusso di immagini continuo. Il suo è un immaginario elementare, semplice; è un groviglio di colore e materia, quasi un mondo inventato che copre e riveste la realtà.

Sandra Tomboloni, prato, 2010
Sandra Tomboloni, prato, 2010

Con queste tre artiste abbiamo attraversato un secolo che ha inizialmente visto le donne escluse persino dai salotti artistici, per non parlare dall’arte stessa , per poi cominciare a lottare e riuscire ad affermarsi a pieno titolo nella storia dell’arte moderna.