Quando i big data raccontano l’arte contemporanea

Partiamo da lontano, cioè da quelli che oggi sono molto in voga e vengono definiti big data, cioè da un insieme di dati così grandi e complessi che lavorarci con l’utilizzo di un software statistico standard è impossibile. I dati, su non importa quale argomento, arrivano da diverse fonti, cosa che rende quasi impossibile associarli, ordinarli e trasformarli. Tuttavia, per giungere ad una loro lettura efficace, è necessario connetterli e trovare relazioni e gerarchie attraverso le quali pervenire a generalizzazioni utili a capire la realtà di un certo fenomeno. Gli algoritmi –  che possiamo definire un po’ semplicisticamente un “metodo sistematico”, un “procedimento” che attraverso un numero di passaggi determinato giunge alla soluzione di un  problema – sono il motore dell’interpretazione dei big data.  

Gli algoritmi si possono applicare a qualsiasi tipo di dati, anche a quelli che riguardano attività umane in cui giocano un ruolo particolarmente importante anche altri fattori difficilmente quantificabili. E l’interpretazione dei risultati conduce a sorprendenti rivelazioni. Uno dei campi più sfuggenti e difficili da quantificare perché basato sulla creatività e il talento, concetti impossibili da misurare, è il mondo dell’arte. Su quale è stato applicato un algoritmo per calcolare la reputazione e il successo degli artisti! Ne è venuto fuori un articolo pubblicato sulla rivista Science di novembre intitolato Quantifying reputation and success in art.

Basandosi su numeri quasi impossibili da gestire, ovvero 497.796 mostre in 16.002 gallerie; 289.677 mostre in 7568 musei; e 127.208 aste in 1239 case d’asta, in 143 paesi e 36 anni (dal 1980 al 2016), e setacciando questa montagna in cerca regolarità illuminanti, attraverso un processo detto markoviano, un team di ricercatori, fra i quali un’italiana – la dottoressa Roberta Sinatra – ha ricostruito la carriera artistica di 496.354 artisti. Il risultato della ricerca ha stabilito senza ombra di dubbio che più della creatività e del talento, sono altri i fattori che determinano il successo di un artista: innanzitutto debuttare in una galleria affermata e accedere precocemente a istituzioni prestigiose.  Un dato interessante è scoprire che le quotazioni di un artista passano senza dubbio attraverso il network di curatori e direttori che lo promuovono e più prestigiosi sono più l’artista avrà successo. Il 39% degli artisti che per le prime 5 mostre della loro carriera hanno esposto in luoghi con un’alta reputazione a 10 anni dall’ultima mostra, hanno continuato ad esporre in questi stessi luoghi. Di coloro invece che hanno iniziato la loro carriera in istituzioni con basso profilo solo il 14% ha continuato la propria carriera artistica.

Questa è un’interpretazioni dei dati, i quali probabilmente se fossero interrogati in altro modo darebbero risposte differenti. È inoltre interessante leggere la chiusura dell’articolo apparso su Science: “La nostra analisi si è concentrata sull’arte rilevata in gallerie, musei, o case d’asta, quindi l’arte-non-basata-su-oggetti, come le performance, è stata sotto rappresentata. Ci siamo anche concentrati sulla misurazione del  successo legato all’accesso istituzionale, ignorando altre dimensioni attraverso cui l’arte e gli artisti arricchiscono la nostra società. Eppure, anche con questa limitazione, i nostri risultati evidenziano la stratificazione del mondo dell’arte, che limita l’accesso degli artisti alle istituzioni che sarebbero vantaggiose per la loro carriera. Quantificare queste barriere e il meccanismo di accesso potrebbero aiutare stabilire politiche per dare le stesse possibilità a tutti. Ad esempio, il mondo dell’arte potrebbe trarre beneficio dall’implementazione di  sistemi a lotteria o a selezione cieca che offrano accesso a luoghi di prestigio ad artisti poco rappresentati, migliorando l’inclusione di opere e artisti trascurati”.

Secondo il team di studiosi, dunque, l’idea un po’ romantica che spesso si ha dell’artista, la cui opera viene apprezzata solo per il suo valore intrinseco, cozza contro la dura realtà dei dati, e lo zampino di figure terze e anche di una buona dose di fortuna sono fondamentali per il successo nell’arte. 

23 – 29 March 2015, #museumweek2015

twitter-museum-weekSecondo voi è possibile celebrare la cultura attraverso un social media come Twitter?

Nel 2014 una dozzina fra istituzioni culturali francesi e manager di grandi musei in collaborazione con Twitter hanno dato vita alla “settimana dei musei” alla quale l’anno scorso parteciparono più di 630 istituzioni attraverso l’intera Europa, oggi l’evento vuole diventare planetario e già 29 paesi vi partecipano attivamente.

Ma di cosa si tratta? L’idea parte dal fruitore finale del museo, della collezione, della galleria: il pubblico. Per anni infatti le istituzioni hanno lottato, inutilmente, per limitare l’accesso alle strutture con fotocamere, telefoni cellulari dotati di macchina fotografica, enciclopedie on line e tutte le diavolerie elettroniche che ci portiamo quotidianamente con noi, per evitare che le preziose collezioni venissero fotografate di soppiatto, “amate fino alla morte”, postate su Facebook, SnapChattate senza ritegno da un pubblico, cialtrone forse, ma comunque pagante. Allora che fare? Beh se il nemico non si può combattere almeno fattelo amico! Ed ecco che molti musei hanno iniziato non solo ad abbracciare la filosofia del Tweet, ma addirittura a fornire una rete wireless istituzionale in modo che il tweet divenisse una incredibile fonte di pubblicità gratuita!

Così è nata #museumweek2015.  In 7 giorni, dal 23 al 29 marzo, con 7 temi da condividere con tutti i partecipanti di ogni parte del mondo, per ogni giorno un ashtag “#” diverso:

Lunedì 23 marzo con l’ashtag #secretsMW il pubblico scoprirà la vita quotidiana, il “dietro le quinte” delle varie istituzioni e chissà magari anche qualche segreto ben custodito.

Martedì 24 marzo #souvenirsMW il pubblico sarà invitato a condividere, naturalmente su Twitter, i ricordi che hanno di una loro visita al museo.

Mercoledì 25 marzo #architectureMW il pubblico potrà scoprire la storia dell’edificio che accoglie l’istituzione, dei suoi giardini, del suo quartiere e dei suoi luoghi emblematici.

Giovedì 26 marzo #inspirationMW il pubblico potrà catturare, intorno a sé, l’arte, la scienza, la storia, l’etnografia a seconda della specializzazione della struttura.

Venerdì 27 marzo #familyMW il pubblico potrà apprezzare e provare tutto ciò che offre l’istituzione per rendere una visita in famiglia o con la scuola un’esperienza indimenticabile.

Sabato 28 marzo #favMW sarà il giorno dei colpi di fulmine! I visitatori potranno condividere – con una foto, un video – ciò che hanno amato di più del museo.

Domenica 29 marzo #poseMW tutti potranno considerare il museo come un set e mettersi al centro della scena. Pose, memi, selfie tutto è possibile!

Durante l’evento, tutti possono cogliere l’occasione per dimostrare il loro entusiasmo nei confronti del museo che stanno visitando e della cultura in generale. Servirà ad avvicinare un pubblico più vasto all’idea di museo?

 

English version 

Is it possible, in your opinion, to celebrate culture through a social media platform like Twitter?

In 2014 a dozen French cultural associations and large museums managers, through a collaboration with Twitter, came together and organised ‘Museum Week’, a project which involved 630 institutions throughout Europe joining forces on the social media website. This year Twitter is repeating their successful experiment, and expanding it worldwide, with 29 confirmed participating countries.

But what is Museum Week? The idea begins with the final ‘user’ of a museum, an exhibition, a gallery: the public. For years, institutions like museums have fought relentlessly though uselessly to limit access in their premises with cameras, cameraphones, online encyclopaedias, and all other electronic aids that, nowadays, are but a swipe of the finger away. This has always been an attempt to prevent the public from sneaking photograph inside their exhibitions, that would certainly end up on a social media platform, to prevent them from being posted on Facebook, from being SnapChatted, and from all the other online terms that have become part of our everyday vocabulary. This allowed galleries and museums to make sure that the only people able to observe the works contained would be the paying costumers. But, as they say, if you can’t beat them join them. And that is how how Museum Week was born, as many of the institutions that faced this problem started embracing the idea of dedicating a week to tweeting the ins and outs of their exhibitions, gaining ‘favourites’ in exchange for large amounts of publicity.

This is how the ongoing #museumweek2015 was created. It consists of 7 days, from March 23 to March 29, each treating a different theme to be shared with users all over the world, each represented through a different hashtag:

Monday 23 March was dedicated to the hashtag #secretsMW, in which the public was allowed to see the behind the scenes life in large institutions and museum around the world, and, who knows, maybe revealing some juicy secrets.

Tuesday 24 March the hashtag for the second day was #souvenirsMW, where the users were invited to share, through Twitter, the memories that they may have of their visit to the museum.

Wednesday 25 March revolves around #architectureMW, where users will learn of the story of the building that the museum is found in, of its neighbourhood, and of its significant landmarks.

Thursday 26 March with #inspirationMW, the user will be able to capture art, science, history and ethnography within (and depending on) the institution.

Friday 27 March will look at #familyMW, where the user will be able to appreciate and try all the  museum has to offer in order to make a family visit or school trip an unforgettable experience.

Saturday 28 March, #favMW, will be the day where users have the opportunity to share via photo or video on Twitter, what they loved most about the museum.

Sunday 29 March will be dedicated to #poseMW, where all museums taking part of the project will become photoshoot sets, and photos, selfies and group shots will be allowed.

Throughout the entirety of the event, everyone can take the opportunity to show their enthusiasm in regards to the museum that they are visiting through Twitter. Will it be useful in an attempt to introduce a larger amount of ‘users’, the public, to the idea of visiting a museum?

Cartolina

retro-della-cartolina1

download (5)

Oggi la cartolina la spediamo a Bert Volgestein e Cristian Tomasetti, della Johns Hopkins University, che hanno pubblicato sulla rivista Science il frutto delle loro ricerche.

Che la ricerca sul cancro abbia conosciuto alti e bassi, siamo tutti coscienti, addirittura ne è stato messo in dubbio l’approccio e più volte si è ricominciato daccapo, ma lo studio scioccante dei due ricercatori americani ha in sé anche un che di umoristico, almeno per chi come me ha avuto a che fare con questa malattia.

I due ricercatori della Johns Hopkins infatti sostengono che le mutazioni genetiche che intervengono casualmente nelle cellule staminali sono i principali contributori del cancro, di ogni tipo di cancro, e molto spesso sono più influenti di tutti quei fattori che fino ad oggi erano considerati primari nell’insorgere della malattia: fattori ereditari ed “esterni” quali stili di vita poco sani, inquinamento dell’ambiente in cui si vive, difetti genetici e via discorrendo.

Volgestein e Tomasetti, dunque, affermano che oltre il 66% dei tumori è frutto di “pura sfortuna”, come a dire che la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo! Certo i fattori esterni non sono assolutamente da trascurare, ma come per molte cose inspiegabili della vita, si tratterebbe solo del diavolo che ci mette la coda! Dunque per i due ricercatori per la maggior parte dei malati non ci sono “se” che tengono (se non avessi mangiato carne rossa, se non avessi vissuto in mezzo ai fumi di scappamento ecc ecc) e l’unico modo per contrastare efficacemente il cancro è il miglioramento delle tecniche preventive e di diagnosi, oltre naturalmente a ridurre al massimo gli stili di vita sbagliati, che contribuiscono certamente ad aumentare i rischi.

Posso dire una cosa? Bastava porsi la domanda che i malati di cancro si fanno ogni giorno quando si svegliano: “perché a me?” per rispondere esattamente come hanno fatto i ricercatori della Johns Hopkins…