Storie di camminatori ed esploratori: Ippolito Desideri e il Tibet

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Chi conosce Simone Cipriani riconosce che questo articolo è opera sua e sa bene  quanta passione in questi anni ha avuto per la storia di Ippolito Desideri e il Tibet:

Altopiano del Tibet : un deserto d’alta quota circondato da montagne bianchissime. Ogni tanto vi si apre una valle, che si insinua fra i monti, verdissima d’estate, intasata di neve d’inverno. Due tizi camminano piano. Non è un’immagine tratta dalla brochure di un’agenzia di trekking. Siamo a inizio ‘700.  I camminatori sono due gesuiti italiani. Uno di loro passerà alla storia : Ippolito desideri . È  il primo vero studioso occidentale della civiltà tibetana e forse il primo consapevole esempio di ciò che oggi chiamiamo dialogo interreligioso.

Ippolito arriva in Tibet attraversando il Trans-Himalaya . Passa dal Ladakh, una valle incantata, oggi rimasta nei confini dell’India. Lì incontra la cultura tibetana (ancora oggi il Ladakh lo chiamano Piccolo Tibet). Capisce che questa religione a lui sconosciuta ha qualcosa di profondamente interessante. E che deve andare a Lhasa, capitale non solo culturale, per capire di cosa si tratti. E allora via, attraverso valichi altissimi e camminando in bilico su orridi che farebbero paura a un Messner, sbuca in Tibet occidentale : il mitico Guge. Regno antico, dove un altro gesuita – il De Andrade – aveva soggiornato, senza grande fortuna. E poi, camminando su carovaniere consumate da piedi mal calzati e dal gelo, col viso scorticato dal vento, attraversa quelle steppe che sembrano toccare un cielo sconfinato e arriva a Lhasa. E’ il 1716.

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Dipinto tibetano su stoffa (thangka), XVI-XVII sec.Tibet:Tsang 

Vi regnano i mongoli, arrivati a seguito delle lotte e delle rivalità fra le varie chiese buddiste (che governavano anche il territorio). Un abate geniale, capo della chiesa dei Gelug-pa, li ha chiamati in aiuto, tempo addietro, ottenendo protezione e il titolo di Dalai Lama: maestro oceanico, ossia dalla saggezza sconfinata come il grande mare. Quella chiesa è adesso prevalente e professa un ritorno al Buddismo diremmo più filosofico (si definiscono : i virtuosi).   Ippolito dunque deve studiare se vuole entrare in dialogo. E gli viene naturale: un po’ perché è una mente fina e ha studiato al Collegio Romano, un po’ perché i gesuiti praticano l’inculturazione, ossia il calarsi nella cultura locale per portare il proprio messaggio. Si installa nella grande e magnifica università monastica di Sera (distrutta nel XX secolo da un branco di delinquenti imbecilli durante la rivoluzione culturale – il Tibet è occupato dalla Cina) e studia, studia, studia. Ne esce con la conoscenza perfetta del Buddismo tibetano, centrato su una filosofia finissima, nata in India diversi secoli prima. Lo descrive, in testi che rimangono il primo esempio di studio comparato delle religioni. Pochi occidentali, nella storia, hanno capito quell’universo mentale e culturale come ha fatto  lui. Uno dei più grandi orientalisti di ogni tempo, il mitico Giuseppe Tucci, spese parole di assoluta ammirazione per descrivere l’opera di questo gesuita. E Tucci era un tipo che aveva imparato l’ebraico e il sanscrito da ragazzo, per divertirsi.

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Francesca Bonardi, Tucci a Mustang Nepla, 1952, Museo d’Arte Orientale Giuseppe Tucci, Roma

Ma le belle cose finiscono : Santa Madre Chiesa è preoccupata per le stranezze dei riti ai quali questi gesuiti, presi dall’inculturazione, si lasciano andare. Infuoca a Roma la disputa sui riti cinesi! Gli altri Ordini ne hanno le scatole piene dei gesuiti e del loro potere. La Compagnia di Gesù è in disgrazia. E così, nel 1721, arriva un messaggio: padre Desideri, rientri ! Ordine perentorio, che attraversa monti e valli con mercanti e altri missionari e riporta il Nostro indietro. Mica è facile tornare a Roma: un viaggio di anni, attraverso l’India, dove Ippolito soggiorna a lungo e si busca la malaria (le febbri terzane, come si diceva allora). Continua a scrivere. Lascerà testi importantissimi, oggi riscoperti appieno.

Ippolito, però, non tornò più in Tibet. Il Tibet come terra di missione venne affidato ai Cappuccini, che di dialogo e Buddismo non capivano un tubo. Lo rimpianse per il resto dei suoi giorni.

Oggi, a Roma, siede sul soglio papale un altro gesuita. Anche lui è in favore del dialogo e della reciproca comprensione. Ha appena incontrato leader buddisti in un suo bel viaggio. Ippolito ne sarebbe assai contento:  vi vedrebbe la bellezza della sua Chiesa, quella che lui amava.

Se volete saperne di più, c’è una mostra, su di lui, nella sua città natale : Pistoiadownload-1

( La Rivelazione del Tibet mostra a cura di Enzo Gualtiero Bargiacchi, Andrea Cantile, Oscar Nalesini, Massimiliano Alessandro Polichetti, Palazzo Sozzifanti  fino al 1 gennaio). 

 

Din Don Dan

Fra-Martino-1Ci sono degli oggetti che uniscono: ci uniscono con il nostro passato ma anche con le culture lontane da noi. Uno di questi oggetti è la campana.

“Stai in campana” diceva mia nonna quando mi voleva mettere in guardia. E poi come posso dimenticare la canzoncina su quel simpatico San Martino campanaro ? Cantavamo con doppi e tripli cori che immancabilemtnte storpiavamo la melodia.

Una mia parente era piena di campane, le collezionava e le teneva tutte esposte sui muri di casa.

Non c’è dubbio la campana ha un fascino particolare a volte anche un significato doloroso come la grandissima campana realizzata a Trento nel 1924 dedicata ai caduti della prrima guerra mondiale. Per realizzarla fu usato il bronzo dei cannoni e fu collocata a Rovereto sul colle di Miravalle.

Campana dei caduti, Rovereto
Campana dei caduti, Rovereto

Forse le campane più belle che mi sono rimaste in testa come legame con il passato e presente furono quelle installate da Yannis Kounellis neil 1993 in una bellissima mostra presso Palazzoo Fabbroni. a Pistoia. In quel caso le campane installate dall’artista  dialogavano con il romanico delle chiese di Pistoia e tornavano alla luce come simbolo delle nostre radici più profonde.

Untitled 2006 Jannis Kounellis born 1936 ARTIST ROOMS  Tate and National Galleries of Scotland. Lent by Anthony d'Offay 2010 http://www.tate.org.uk/art/work/AL00186
Untitled 2006 Jannis Kounellis born 1936 ARTIST ROOMS Tate and National Galleries of Scotland. Lent by Anthony d’Offay 2010 http://www.tate.org.uk/art/work/AL00186

Ho un marito che ha nostalgia delle campane che al mattino lo svegliavano quando viveva in italia, nel centro storico della sua piccola città.

In effetti le campane col loro suono, marcano il nostro vivere, un paesaggio, un territorio. danno spessore spirituale ad un ambiente. In altri luoghi invece hanno un significato diverso, penso  al Tibet dove le campane   sono piccole e il loro suono richiama il concetto di vacuità e si legano  al budismo praticato in quei luoghi.

E infine mi vengono in mente gli artisti Robert Morris e Claudio Parmiggiani: Nell’opera Melancolia II .hanno lasciato in un bosco di bamboo degli oggetti sparsi: una ruota, una colonna, un poliedro, una sfera e assieme una campana di bronzo “elementi che tracciano un percorso nel tempo”.

Robert Morris, Caludio Parmiggiani, Melancolia II
Robert Morris, Caludio Parmiggiani, Melancolia II

Per finire, spesso  è meglio uscire dalla campana di vetro, sconnettersi dal wi-fi e  cantare a più voci din don dan.

Di monaci e sacrestani

monaco che si da fuocoEnzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, ha pubblicato (su La Sampa del 16 dicembre) un bell’articolo sui monaci tibetani che si immolano nelle fiamme per protestare contro il genocidio cinese in Tibet. Bianchi ha giustamente inquadrato il gesto in un’antichissima tradizione del Buddismo : quella di asceti che si donano, attraverso un sacrificio estremo, per il bene degli altri. Al tempo stesso, pero’, il priore di Bose ha sottolineato come questo atto abbia una valenza non solo religiosa ma anche civile. I monaci testimoniano la volontà di difendere certi valori, come la libertà e il rispetto delle coscienze, a qualsiasi prezzo, ma nell’ambito di una scelta non violenta che addirittura cerca di estinguere il male compiuto su di essi con la scomparsa del proprio corpo.

Subito ne è nato un dibattito, con i soliti esponenti cattolici prontissimi a ribadire la posizione della Chiesa che, pur rispettando le motivazioni che hanno portato al gesto, disapprova che ci si tolga la vita. Questi sacrestani non si rendono conto che il priore di Bose non voleva interrogare la Chiesa, con le sue legittime posizioni, ma le coscienze di noi tutti sui genocidi e sulle ingiustizie del nostro tempo, in particolare su quelli compiuti in Tibet. Che poi il Tibet fosse al momento dell’invasione cinese una teocrazia è vero, ma che si debba per questo giustificare un genocidio è idiota anche solo pensarlo. In Svizzera, da noi, vivono in esilio tanti monaci tibetani e ci sono tante associazioni per i diritti e la libertà del Tibet. Che bello vivere in un posto che accoglie questo popolo coraggioso.