
Tutti gli uomini (oggi diremmo gli uomini e le donne) sono creati eguali. Le belle parole scritte da Thomas Jefferson nella dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America. Le parole che lo hanno fatto passare alla storia come colui che, con un tratto di penna, cambiò il giudizio di Aristotele sul fatto che certi essere umani nascono per comandare e altri solo per servire. No: tutti nascono eguali. Parole altissime. Eppure Jefferson aveva degli schiavi nella propria piantagione, a Monticello (proprio Monticello, si chiamava, dal momento che Jefferson amava l’Italia). E nemmeno pochi: ne aveva svariate decine. L’azienda di famiglia andava avanti per mezzo degli schiavi.

Il motivo era che la schiavitù, oltre che centrata sulle schifose e demenziali concezioni razziste che purtroppo sembrano non scomparire mai in questo mondo, si basava sullo sfruttamento della manodopera a costo zero. Lo stesso Jefferson in una lettera scrisse che ogni volta che nasceva un nuovo schiavo nella piantagione i suoi profitti tendevano ad aumentare.

Sfruttamento: l’altra faccia della schiavitù. Come lo sfruttamento, selvaggio che si compiva un anno fa nel Rana Plaza, in Bangladesh, dove più di mille persone – al lavoro per un salario da fame – sono morte perché le più elementari norme di sicurezza venivano costantemente ignorate.
La schiavitù e lo sfruttamento non muoiono mai: cambiano, si trasformano, ma sopravvivono nei meccanismi legati all’avidità, alla volontà di massimizzare il profitto a scapito di tutto e tutti. Abbiamo ancora tanta strada da fare per poter affermare con sicurezza che, nei fatti, in pratica, nasciamo tutti eguali.
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