Una donna forte con un portamento nobile e fiero, così ricordo l’artista Magdalena Abaknaowicz . L’ho conosciuta quando ero una ragazzina e ho scritto su di lei la tesi di laurea. L’ho scelta perché il suo lavoro non ammetteva fronzoli: era diretto, come un pugno nello stomaco.
Le sue folle di uomini senza testa, gusci di iuta e poi di bronzo, mi sembravano monumenti su guerre e sofferenze passate. Ricordo che per la ricerca stavo con lei, nel suo studio di Varsavia, scandagliando i suoi ricordi: il periodo della guerra, la madre ferita da un’arma da fuoco, l’arrivo del comunismo, la perdita di tutto, anche della grande casa in cui era nata. Si considerava fortunata di aver perso tutto perché riusciva ora a dare il giusto valore alle cose e non ne sentiva più l’attrazione.
Ha cominciato tessendo grandi forme, che guardavano alla natura : erano gli Abakan, grandi strutture tessute, appese e quindi sospese in aria, dentro cui ci si poteva nascondere. Ricordavano grandi foglie, o forme primordiali. Il suo lavoro ha sempre girato attorno al tema natura-essere umano: cercava, ad esempio, i punti di contatto tra un arto ferito e un albero tagliato, tra un braccio e un albero, tra un fossile e la pelle umana.
Pochi giorni fa l’artista Magdalena Abakanowicz è morta e il suo paese d’origine, la Polonia, l’ha ricordata come una delle più importanti rappresentanti della propria cultura . Cara Magdalena ci mancherai tanto. Quell’ultima installazione che ho visto a Venezia, sull’ Isola di San Giorgio, due anni fa, di oltre cento figure di iuta senza testa, non mi ha fatto pensare a guerre passate: l’immagine di quelle figure umane, in gruppo, grandi e piccole, in atto di camminare o ferme, mi sembrava il nostro presente; mi richiamava alla mente i fantasmi di tutti coloro che in questi anni hanno cercato di scappare dalla guerra e dalle atrocità per arrivare da noi, ma non ce l’hanno fatta e sono annegati o morti nel deserto.