Immaginatevi 100 maschere diverse per epoca e provenienza (Africa, Oceania, Asia, America) antiche e più recenti, da apprezzare per le forme bizzarre, per i materiali e gli scopi tutti diversi per cui sono state create: un panorama sul mondo sul tema del rappresentarsi e mostrarsi. Per immergervisi basta visitare il piccolo museo della grande collezione Barbier Muller, nel centro antico della città di Ginevra. Qui infatti si è aperta da poche settimane la mostra Masques à dèmasquer che rimarrà visitabile fino al prossimo 16 settembre.
In questo percorso non vi mancheranno le sorprese e rimarrete colpiti dagli accostamenti più insoliti. Per farvi un esempio, una maschera tradizionale di carnevale dei Grigioni è collocata vicino ad una maschera da hockey degli anni ’70 del secolo scorso. E così maschere tradizionali africane sono state accostate a maschere moderne, ricavate da scatole di latta. Forme, colori, smorfie e tratti del viso molto diversi tra loro, che però hanno lo stesso scopo: quello di coprire il volto come se ciò potesse concederci la possibilità di andare oltre i limiti concessi all’essere umano.
Qualcosa in più da sottolineare: se vi affrettate ad andarla a visitare potete partecipare anche ad un gioco pensato per i visitatori. Infatti, fino al 21 marzo, si può giocare con alcune didascalie della mostra. Chi indovina quelle sbagliate verrà estratto a sorte per un premio speciale offerto dal museo. Non pensate di poter vincere cercando di trovare le didascalie corrette nel catalogo della mostra perché, ahimè, il catalogo verrà reso disponibile solo alla fine del concorso!
Secondo voi era davvero necessario istituire un ufficio per la tutela delle pari opportunità maschili?
Ebbene è quello che ha fatto La Direzione della Giustizia e degli Interni del Canton Zurigo, che mercoledì ha nominato il primo incaricato «alle questioni maschili in Svizzera», affermando così la volontà di concentrarsi sui problemi legati all’universo maschile con l’obiettivo di raggiungere una vera e definitiva parità fra uomini e donne.
A capo dell’ufficio ci sarà uno psicologo e sociologo impegnato in prima persona nella causa degli uomini e dei padri, promotore della «Festa dei padri svizzeri». L’ufficio nella persona di Markus Theuner, a partire dal primo luglio prossimo, dovrà occuparsi di ciò che può discriminare gli uomini e appianarlo. Si dedicherà in primo luogo alla battaglia intrapresa da quei giovani che vogliono dedicarsi a un lavoro per il quale vengono priviegiate le donne (scusate ma a me viene in mente ormai solo la ricamatrice…), ma anche ad aiutare tutti quei padri e mariti che sono in difficoltà nel concilire casa e lavoro.
Sacrosanto è sostenere i diritti di tutti quei papà che nelle cause di divorzio si vedono sottrarre i figli, che diventano spesso per la donna un arma di ricatto incredibilmente efficiente, e, per fortuna, associazioni che li tutelano sono nate un po’ dappertutto nel mondo, con risultati non sempre convincenti poiché si continua nella tendenza a privilegiare i diritti delle mamme.
Ma, ad esclusione dell’ultimo validissimo argomento, era proprio necessario creare un’istituzione ad hoc per la tutela delle pari opportunità maschili? Soprattutto in Svizzera dove, come in gran parte del mondo, il lavoro femminile a parità di livelli fatica ad essere retribuito nella stesso modo, le donne hanno avuto il diritto di votare solo nel 1971 e dove si percepisce, per carità nelle vecchie generazioni, un soffuso, ma neanche troppo, senso di superiorità maschile?
Per favore fatemi un piacere, fate un semplice esercizio e sostituite al termine «maschile » il termine «femminile» in tutto questo post, otterrete così un perfetto manifesto feminista anni settanta…
… ci piace che Francesco Bandarin, vicedirettore del settore cultura dell’Unesco abbia inviato una lettera al Governo italiano, esprimendo preoccupazione per i rischi dovuti al folle traffico delle navi da crociera a Venezia. In undici anni questo traffico è aumentato del 300 per cento. Sembra che ora ci sia la volontà di trovare una soluzione d’emergenza per evitare che queste enormi navi passino dal centro. Allora speriamo che il fronte NO ALLE GRANDI NAVI possa vincere. Ricordiamo che queste grandi navi da crociera oltre a spostare enormi masse d’acqua rischiando di danneggiare le fondamenta dei canali e delle case inquinano moltissimo con i loro gas di scarico.
(La notizia l’abbiamo ripresa dal Giornale dell’arte, febbraio 2012, n.317 p. 8 articolo di A.S.C. intitolato Mai piè navi in Laguna!)
Oggi ricorre un anno dal disastro nucleare nella centrale nucleare di Fukushima.
E allora eccoci ancora una volta a parlare della Terra, delle nostre abitudini e la necessità di cambiare se vogliamo preservarla per le generazioni future. Non è facile cambiare ma orami è chiaro che lo dobbiamo fare senza indugiare troppo. Allora eccoci qui di nuovo a cercare di capire cosa sta succedendo e cosa dovremmo fare, trovare gli spunti e le ragioni per questo cambiamento.
In Svizzera come vi avevamo già segnalato partirà la VII Edizione del Festival du film vert un festival che si terrà in molte città tra cui anche Losanna, Nyon e Ginevra e per la prima volta anche in Francia a Ferney-Voltaire. Il festival nasce per presentare al pubblico una selezione di film che trattano la questione legata all’ambiente, allo sviluppo sostenibile e ai rapporti Nord- Sud del mondo. Tra tutti i film quello scelto per essere presentato in tutte le sale della Svizzera e si intitola DIRT! (proiettato il 17 marzo a Nyon) una fiaba africana che è stata nominata per il Premio Tornesol du Documentaire Vert 2012. Chi volesse seguire i film del festival può comprare i biglietti on-line e trovare tutte le programmazioni sul sito www.festivaldufilmvert.ch
E poi vogliamo ricordarvi la nostra adesione come italianintransito all’evento L’ora della terra organizzato dal WWF per la giornata del 31 marzo. In quell’occasione il mondo proverà a spengersi per un’ora, e così faremo anche noi. Un gesto simbolico lo so ma che vuole affermare la volontà di lottare contro i cambiamenti climatici e aderire alla strada della sostenibilità. Quindi chi fosse interessato può aderire anche lui e leggere tutto suwwf/oradellaterra/index.aspx
Spengi tutto quello che hai per un’ora, più siamo più la Terra respirerà e ci stupiremo che un piccolo sforzo avrà un grande effetto.
Un film documentario di 30 minuti circa, intitolato Kony 2012, circola sul web da qualche tempo, ed è diventato un vero e proprio «viral hit». Ma a dispetto di alcuni filmati virali precedentemente messi in rete su veri o presunti vizi dei divi di Hollywood o sulle figuracce di politici famosi, che hanno divertito milioni di visitatori, si tratta di un video tragicamente attuale che è stato visto su You Tube circa 10 milioni di volte in pochi giorni.
Si tratta di un filmato realizzato da Jason Russell, regista americano, su un particolare aspetto del poco conosciuto conflitto che devasta l’Uganda fin dal 1980, messo in rete come campagna di sensibilizzazione dal gruppo umanitario Invisible Children e centrato sulla piaga dei bambini soldato.
Ma facciamo un passo indietro per cercare di capire meglio la situazione presentata nel video. Nel documentario, attraverso la terribile esperienza di un ragazzo di nome Jacob, si parla della figura di Joseph Kony, comandante supremo della Lord’s Resistance Army, movimento di resistenza da lui stesso creato, che combatte affinché l’Uganda diventi un paese basato sui 10 Comandamenti. Ricercato per crimini di guerra dalla International Criminal Court (ICC), per mantenere sempre efficienti i suoi effettivi, Kony ha rapito nel corso degli anni migliaia di bambini (circa 30.000) costringendoli a diventare combattenti per la sua causa o schiavi sessuali. La sua arma di persuasione è innanzitutto la paura che incute nei piccoli e anche un certo alone di misticismo che è riuscito a creare attorno alla sua figura, alimentato dall’imposizione di seguire rigide regole e rituali sacri, oltre all’utilizzo di droghe e alcool. Kony si sente unto dal Signore e basa l’intera sua campagna militare sulla necessità di purificare il suo popolo, non solo usando riferimenti biblici per giustificare lo sterimio della sua stessa gente (si parla di 400.000 morti, ma i numeri non possono essere accertati), ma anche affermando di avere un rapporto diretto con lo Spirito Santo, con il quale comunica per volontà di Dio.
La LRA nella figura di Kony è accusata di atrocità in ben quattro paesi africani: Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centro Africana e Sudan del Sud. Visto il carattere prevalentemente «regionale» della guerra portata avanti da Kony (nonstante le incredibili atrocità commesse) gli osservatori pensano che con la cattura del capo ribelle si potrebbe giungere rapidamente alla fine di questo assurdo massacro.
Ma il problema è che nessuno sembra essere in grado di trovare Joseph Kony che si è reso invisibile, un vero e proprio fantasma che si muove continuamente su un territorio vastissimo, colpendo violentemente, ritirandosi e sparendo nel nulla, tanto che nessuno conosce più neanche il suo attuale aspetto.
Lo scopo di Invisible Children è dunque proprio quello di «rendere Kony famoso» per arrivare alla sua rapida cattura.
Inevitabilmente il video per l’emozione che ha suscitato e per la fama che ha riscosso ha portato con sé una scia interminabile di critiche sui modi della campagna, sui reali scopi dell’associazione, che sul web è stata addirittura accusata di «aver manipolato fatti per scopi strategici». Tutte critiche alle quali Invisible Children ha risposto postando spiegazioni e ulteriori puntualizzazioni in un lungo articolo che invitiamo a leggere.
Noi abbiamo pensato di fare nostra la causa, dando visibilità al video realizzato da Invisible Children sul nostro blog e invitando tutti i nostri lettori a guardarlo.
Siamo infatti certi che, sebbene il Sig. Kony non sia l’unica piaga africana e sicuramente il fatto di non essere ancora stato catturato, dopo più di un ventennio di attività eversiva, non sia solo dovuto alla sua scaltrezza ma anche alla connivenza di governi e personaggi influenti, guardare in faccia l’orrore e divenirne consapevoli sia già un inizio di cambiamento.
“Tutte le streghe sono donne: è un fatto (…) le vere streghe sembrano donne qualunque, vivono in case qualunque, indossano abiti qualunque e fanno mestieri qualunque” scriveva Roald Dahl nel primo capitolo del suo divertente libro Lestreghe scritto nel 1987.
È vero, è un fatto ed è sempre stato così. Volete sapete perché? Perché per secoli siamo state considerate solo un terreno di conquista o una preda di guerra. Niente recriminazioni, ma oggi 8 MARZO è il momento giusto per ricordare, partendo magari dalla considerazione che l’ignoranza, la superstizione e le tradizioni sono state per lungo tempo la causa di tante vessazioni e feroci errori.
Un ricordo spolverato potrebbe essere l’occasione per visitare la mostra che si tiene al Castello di Chillonsul lago Lemano dal titolo La Chasse aux sorciéres dans le Pays de Vaud (XV-XVII sec.).
Una mostra originale e insolita che consigliamo.
Qui infatti potrete vedere tanti documenti, immagini e oggetti utilizzati per perseguitare tanta povera gente accusata di stregoneria, e scoprire anche che lo stesso castello fu utilizzato come prigione per quelle stesse persone, mentre erano in attesa di giudizio. Dalla mostra risulta che nel Canton Vaud ci sia stata, tra il XV e il XVII secolo, una spietata caccia alle streghe: sembra che la
Svizzera abbia avuto il trise primato della più lunga e duratura persecuzione con il maggior numero di persone incriminate e giustiziate in rapporto al numero degli abitanti. Per dare un’idea più precisa dello sciagurato (e inumano) fenomeno, basti pensare che, tra il 1595 e il 1601, circa 40 persone vennero ammazzate a Chillon perché accusate di stregonerie: di esse ben 35 erano donne…
Una volta vista la mostra, che lascia di stucco per la feroce volontà persecutoria che animava autorità civili e religiose assieme (i curatori lasciano intendere che nei paesi ove solo – o prevalentemente – le autorità religiose si dedicarono a questo orrore, il numero dei casi di persone giustiziate, in rapporto alla popolazione, fu minore), ci si può dedicare al castello, che è sempre bello e capace di suscitare interesse e curiosità anche nei visitatori più giovani. Vi troverete anche un nuovo percorso interattivo molto vario e interessante che va dalle audio guida, ai video ed alcune sorprese espositive che non mancheranno di suscitare il vostro divertimento.
Ad accogliervi nel primo cortile troverete anche un’opera contemporanea: un omaggio ai tanti morti perseguitati dall’infamia della caccia alle streghe. L’opera è composta da tanti rami con attaccate targhe che recano i nomi delle persone morte bruciate: soprattutto donne, come dicevamo, ma anche uomini e bambini.
E allora per finire TANTI AUGURI donne e OCCHI APERTI affinchè la caccia non venga mai riaperta!
Marzo ci offre l’occasione di ricordare il talento di un attore che in questo mese trent’anni fa, a causa dei suoi eccessi, perse prematuramente la vita a 33 anni, incapace di fronteggiare i propri fantasmi interiori.
Parliamo di John Belushi attore, cantante, comico di origine albanese, ma nato negli States.
Chi non ricorda Animal house, 1941 attacco a Hollywood o il capolavoro indiscusso The Blues Brothers? La pellicola è unfilm “on the road”, in cui i protagonisti, John Belushi e Dan Aykroyd attraversano l’America nel tentativo di rimettere insieme la vecchia band per racimolare il denaro necessario ad evitare la chiusura dell’orfanotrofio in cui sono cresciuti. Quasi un vero e proprio musical, la colonna sonora interpretata da grandi cantanti (Aretha Franklin, Ray Charles, James Brown fra gli altri) ancora ci accompagna sulle strade dei nostri viaggi.
Belushi è stato un grande comico, capace di intrattenere e divertire solo con un gesto. Gli bastava ammiccare in camera, ripetere frasi strampalate all’infinito per trasformare la situazione in un “cult”.
All’inizio degli anni ottanta contro una dilagante tendenza al “buonismo” di un certo cinema americano, la sua stella dissacratoria brillò sotto la guida di grandi registi. Belushi fu il ragazzaccio ribelle che mandava a gambe all’aria le convenzioni, colui che si faceva beffe di buon gusto e bon ton e che stroncava sul nascere il politically correct.
La critica cinematografica Emanuela Martini, a vent’anni dalla scomparsa del comico scriveva sul Sole 24 ore: “Belushi non sarebbe potuto nascere negli anni Novanta: troppo offensivo, troppo grasso, troppo disgustoso, troppo misogino, troppo brusco. Ma, forse, è come se non fosse mai morto (…) le sagome dei Blues Brothers sono un simbolo anche per i giovanissimi. Più amato di James Dean, che però era bello ed era “dannato”. Non basta essere vissuti in fretta ed essere morti giovani. È che Belushi aveva un’energia e una libertà che bastavano anche per le generazioni successive. Che forse è vero (come dicono i suoi compagni in Animal House) che la guerra è finita e l’hanno vinta gli altri (il rettore). Ma è anche vero, come urla Belushi, che la guerra finisce quando la facciamo finire noi, che sono ancora le risate a seppellire il mondo e a fare a pezzi la pellicola” (Il Sole 24 ore, 3 marzo 2002).
Abbiamo scelto una clip tratta dal film più rappresentativo del lato istrionico di Belushi The Blues Brothers, diretto da John Landis, quando finalmente i protagonisti dopo miglia e miglia di viaggio, dopo aver di nuovo riunito la mitica band finalmente approdano sul palco per la loro esibizione.
Brava Chiara Pelossi, brava perché il tuo libro di pancia,di cuore…da ridere (autorinediti) mi ha svagato e, cosa sempre più difficile, almeno per me, mi ha fatto ridere.
Lo consiglierei a chi volesse trascorrere un paio di ore rilassanti. Alla fine della storia ti sei divertita: è un po’ come quando siamo andate a vedere il diario di Bridget Johnes al cinema e abbiamo pensato: ecco, era proprio quello che mi ci voleva stasera per andare a letto tranquilla. Attenzione però: se, al contrario, quel genere di umorismo non fa per voi, allora lasciate perdere perché Lina, la nostra protagonista, assomiglia molto alla sventurata Bridget. Nel mio caso, confesso di provare sempre una certa simpatia per le donne che sanno ridere di se stesse e che mettono in conto, senza preoccuparsene più di tanto, di fare anche delle figuracce.
Chiara Pelossi, autrice ticinese esordiente, si presenta nel libro come scrittrice per passione e divertimento. Chi volesse saperne di più può guardare il suo sito www.chiarapelossi.com
Un’altra cosa che mi ha colpito infine è che parte del ricavato della vendita del libro sarà devoluto all’Associazione Alessia, di Vernate (Svizzera), che si occupa di dare sostegno ai bambini malati e alle loro famiglie.
E allora Chiara continua così, perchè questo è un bel modo di coltivare una passione.
A venti minuti di auto da Zurigo si trova la cittadina di Winterthur, la sesta in ordine di grandezza in Svizzera. Winterthur ha conosciuto un rapido sviluppo economico nel XIX secolo grazie alle fabbriche di motori, locomotive e alle industrie tessili. Questa ricchezza diffusa ha prodotto mecenati che hanno dato un incredibile impulso alla vita culturale della città.
Ma non è della città che vogliamo parlare, quanto di un suo museo che dalla sua istituzione, nel 1993, a oggi ha acquisito fama mondiale e che da solo varrebbe una visita al Canton Zurigo.
Si tratta del Fotomuseum, il Museo di fotografia, che con l’invidiabile media di sei/otto mostre l’anno ha acquistato grande prestigio nel panorama mondiale dei musei fotografici, guadagnandosi una posizione fra i 10 migliori musei di questo tipo nel mondo e divenendo il primo assoluto in Europa.
Catalogo della mostra su Diane Arbus
Nel museo si guarda alla fotografia “come arte ma anche come documento”. Alla base del programma espositivo stanno tre orientamenti fondamentali: il primo è il concetto di galleria d’arte per i fotografi e gli artisti contemporanei, il secondo il concetto di museo tradizionale che raccoglie le opere di maestri del XIX e XX secolo; il terzo è il concetto di museo storico/culturale e sociologico della fotografia come tecnica applicata ai più differenti campi, dall’architettura alla moda, all’industria.
Dal 3 marzo al 28 maggio di quest’anno il Fotomuseum dedica una mostra a Diane Arbus. «Questa mostra di duecento fotografie offre l’opportunità di esplorare le origini, la portata e le aspirazioni di una forza del tutto originale nel campo della fotografia. Essa comprende tutte le fotografie «icona» dell’artista così come molte altre che non sono mai state esposte al pubblico, fra esse anche i primi esempi del lavoro della Arbus, che dimostrano già la sua caratteristica sensibilità».
Torni a casa e trovi le luci accese senza nessuno, a volte pensi che tuo figlio annegherà sotto la doccia aperta ormai da più di mezz’ora e senti, dentro di te, che non si possono comprare, ogni anno, tutte le nuove tecnologie che il mercato ci propone. Vorresti però saper spiegare al meglio perché non si può. Nel farlo, cerchi di non cadere nelle solite banalità, ma devi ammettere che anche tu che non sai molto e allora, per non arrenderti, puoi affidarti a chi è più esperto di te e da tempo organizza, promuove e fa conoscere temi quali, l’energia,l’ambiente, la sicurezza alimentare, la protezione sociale.
Consapevoli di dover andare a traino di chi ne sa di più, come italianintransito abbiamo deciso di aderire all’evento L’ora della terra, organizzato dal WWF, il 31 marzo. In quella occasione, il mondo proverà a spengersi per un’ora, e così faremo anche noi. Un gesto simbolico lo so ma che vuole affermare la volontà di lottare contro i cambiamenti climatici e aderire alla strada della sostenibilità. Quindi, chi fosse interessato può aderire all’iniziativa e leggere tutto suwwf/oradellaterra/index.aspx
E poi sempre in tema con la Terra e la sua salvaguardia ci piaceva evidenziare che da noi in Svizzera molto presto partirà la VII Edizione del Festival du film vert un festival che si terrà in molte città tra cui anche Losanna, Nyon e Ginevra e per la prima volta anche in Francia a Ferney-Voltaire. Il festival nasce per presentare al pubblico una selezione di film che trattano la questione legata all’ambiente, allo sviluppo sostenibile e ai rapporti Nord- Sud del mondo. Tra tutti i film quello scelto per essere presentato in tutte le sale della Svizzera e si intitola DIRT! (proiettato il 17 marzo a Nyon) una fiaba africana che è stata nominata per il Premio Tornesol du Documentaire Vert 2012. Chi volesse seguire i film del festival può comprare i biglietti on-line e trovare tutte le programmazioni sul sito www.festivaldufilmvert.ch