L’arte contemporanea è cosa per pochi?

Jenny Holzer,
Jenny Holzer, San Diego, 2007

Un’opera d’arte è sempre lo specchio di un determinato periodo storico.

Ognuno di noi vivendo in una città mette in relazione il proprio corpo con l’ambiente in cui vive. Camminando percepiamo varie sensazioni: caldo, freddo, ruvido, ripido, vuoto; tutte informazioni che arrivano poi al cervello. E così la piazza che attraverso ogni mattina, o il muro lungo il quale cammino, si imprimono nella mia mente e si trasformano in linguaggio.

Accade proprio questo anche ogni volta che lo spazio urbano accoglie una nuova opera d’arte: è un’occasione di arricchimento che regala una ulteriore chiave di lettura della città. L’opera potrà certo provocare anche disorientamento o reazioni contrastanti, ma sicuramente facilita il rafforzamento del senso di appartenenza a una collettività. In questo senso, l’opera d’arte contemporanea non non ha mai una mera funzione decorativa.

Christo
Christo, Wrapped Reichstag,1995

Eppure da un po’ di tempo stiamo assistendo ad una nuova ingiustizia, forse poco grave, direte voi se comparata alle molte in atto, pero’ più’ subdola perché passa inosservata: quando si investe in arte si urla allo scandalo e allo spreco. Le critiche sembrano quasi affermare che l’arte non è cosa per tutti ma solo  per una piccola elite che ha tempo da perdere e denaro da spendere.

Niente di più ingiusto per tutti. Le opere d’arte contemporanee pensate per le nostre città sono un investimento per il futuro, verranno assorbite dalle nostre menti e ci trasformeranno come ogni cosa con cui entriamo in contatto. Più le nostre città saranno luoghi per incontri con le forme e con il pensiero creativo e più le nostri menti e i nostri corpi vivranno una qualità di vita migliore.

Arte pubblica e cultura pop

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Mai come in questo periodo sono andati più di moda i morti viventi. Vittorio Zucconi su La Repubblica di venerdì scorso ci ha addirittura informato che, negli Stati Uniti, il Pentagono, ha finanziato un progetto (nel 2009) chiamato “Progetto 8888”, finalizzato a preparare un piano di difesa anti-zombie. Le mie figlie, ahimè, sono affascinate dalle saghe sui vampiri che, partite con Twiligth, sembrano non cessare di riprodursi in forma di romanzi per adolescenti.

Forse è per anche per questo che non mi sono stupita quando ho ricevuto un invito per l’inaugurazione di   una nuova scultura permanente, collocata in una delle più grandi piazze di Ginevra: Plainpalais. Titolo della scultura. Frankie a.k.a The creature of Doctor Frankenstein. L’opera in bronzo è realizzata dal gruppo Klat (un collettivo di tre artisti fondato a Ginevra nel 1997).

All’’attenzione delle nuove generazioni per i temi dark e gotici, si deve aggiungere che a Ginevra è legata in modo particolare a Frankenstein dal momento che la storia fu scritta da Mary Shelley durante un suo soggiorno in questa città.

Klat, Frankestein, Geneva 2014
Klat, Frankie a.k.a The creature of Doctor Frankestein, Geneva 2014

L’inaugurazione è stata all’altezza dell’horror contenuto nella storia originale. Verso le nove di sera, con contorno di una musica appropriata, è stata svelata la scultura del mostro, subito colpita da una ripetuta scarica elettrica. Grazie a due trasformatori ad alta tensione sono riusciti a creare dei fulmini che sono  piaciuti molto a tutti i presenti. I fulmini si intrecciavano tra loro e colpivano l’opera dando vita alla scultura.

La moda e la cultura cinetelevisiva in cui tutti siamo immersi ha fatto da cornice a tutta la serata, perché come scrisse David Foster Wallace: “La cultura pop è la rappresentazione simbolica in cui la gente già crede”. Basta pensare al piano del Pentagono per sincerarsene.

Ma proporre per arte ciò in cui la gente già crede è mistificante, non è arte, è divertimento facile in cui ci si trova a nostro agio. Invece l’arte è qualcos’altro: uno stimolo al dubbio e alla rimessa in discussione, un invito a vedere in modo diverso le cose del mondo.

Comunque da oggi una nuova “opera pubblica” è installata a Ginevra .