You say you want a Revolution?

you-say-you-want-a-revolution-records-and-rebels-1966-70-at-the-victoria-and-albert-museum_the-beatles-illustrated-lyrics-revolution-1968-by-alan-aldridge-iconic-images-alan-aldridge_8a344b466d049505d

E’ tempo di revival è tempo di riflettere sugli anni Sassanta. Ci ha pensato il Victoria and Albert Museum con una bella mostra intitolata You Say You Want a Revolution? che rimarrà aperta fino a febbraio 2017.

Visitarla è un piacere. Si viene immersi nel colore, nelle frasi scritte sui muri, nelle immagini e negli oggetti d’epoca. Non manca il video sul festival di Woodstock.proiettato da più pareti per offrire un’esperienza tridimensionale . E poi ci sono i cimeli dei Beatles, le minigonne e le copertine dei  dischi.you-say-you-want-a-revolution-victoria-and-albert-museum-5

Vi si raccontano le lotte per i diritti civili e si percepisce un’energia forte che credeva di riuscire a cambiare il mondo e migliorarlo un po’. Poi, prima di uscire, l’ultima stanza ci dà un assaggio veloce di cosa avrebbe fatto seguito a quegli anni. Scorrono le immagini e non so perché mi colpisce una vecchia clip della Coca Cola: in poche parole inneggia agli stessi ideali del decennio appena trascorso, ma presentandoli in modo subdolo vicino al prodotto da comprare.

E’ bastato poco tutto è finito dentro l’immagine di una bottiglia di Coca Cola.

mv5bnziymzq2ntqtmwuyyi00ngvilwewmmutndixn2i5y2mwnwm3xkeyxkfqcgdeqxvyntm2ntg3nzg-_v1_sy1000_cr006741000_al_

In questi giorni sono stata a vedere il film I’m Daniele Blake e mi ritrovo davanti all’immagine dell’Inghilterra di oggi. Penso che la generazione del protagonista,  ormai in là con gli anni è stata giovane negli anni Sessanta e ha respirato le utopie di allora. E adesso li ritrovo come Daniel Blake: un uomo spiazzato, emarginato non in grado di restare inserito in una società che non lo sente perché corre su binari troppo lontani da lui , le istituzioni non lo ascoltano anzi lo schiacciano con la burocrazia dettata dalla nuova tecnologia. Daniel è diventato un codice da inserire nel computer.

  Cosa è successo?  Chi gli ha tolto la dignità? dove sono finiti quegli ideali che in mostra mi davano coraggio ed ottimismo? .

Apro la televisione tra poco è Natale, tra poco la pubblicità del panettone mi dirà qualcosa e mi ricorderà come si vive bene dove esistono i valori come la condivisione, la solidarietà e il rispetto per l’altro.

I favolosi quattro

thebeatles_eightdaysaweek_a4

Il film “The Beatles: Eight Days a Week” è arrivato anche nelle sale di Ginevra. Assieme alle mie due figlie, di 17 e 19 anni, siamo state a vederlo. Ho fatto un po’ fatica a spiegare loro che il regista, Ron Howard, era il personaggio di Rickie Cunningham della serie televisiva Happy Days: non ne sapevano niente e questo te la dice lunga di quanto siano lontane dagli anni Sessanta.

richiecunningham
Ron Howard in Rickie Cunningham

Il Film-documentario nasce con la collaborazione fra Paul McCartney, Ringo Star e le vedove Yoko Ono Lennon e Olivia Harrison. Dura due ore e al termine è possibile rimanere seduti per vedere  30 minuti di un concerto dal vivo, mai mostrato prima. Il tempo ci è volato, il documentario ha ricucito una trama di episodi fatta di tantissimi filmati, di fotografie che ripercorrono la storia del gruppo, ma anche delle scene tratte dai loro trasferimenti, con i fans in delirio che si strappano i capelli ai concerti, con le loro personalità e l’energia che sapevano trasmettere. Insomma, ci è piaciuto: a tutte e tre. Immancabili, le scene del concerto dal tetto della Apple, la loro casa discografica, nel entro di Londra, con la gente che si ferma per strada, o esce dalle finestre dei palazzi vicini per riuscire a vederli da vicino. Sono incredibili i quattro: completamente diversi da quelli degli albori: coi capelli lunghi, paludati in un abbigliamento che prefigura gli ani settanta (Lennon e Harrison indossano due pelliccioni), cantano e suonano Get Back con un’energia unica.

Nel film ci sono anche delle belle testimonianze; alcune toccanti, come quelle dell’attrice nera Whoopi Goldberg, che spiega il significato di partecipare ad un loro concerto per una ragazza nera come lei,  tra migliaia di bianchi:  per lei i favolosi quattro furono fonte di ispirazione e coraggio. E in effetti i Beatles rifiutarono, in tournée nel sud degli USA, di suonare in locali per soli bianchi (ci sono delle scelte che ti mettono alla parte dei giusti davanti alla storia).

220px-whoopi_comic_relief_cropped
Whoopi Goldberg

Dal documentario si comprende bene perché decisero di ritirarsi dai concerti e lavorare solo in studio, sulla musica: la popolarità e la macchina dei concerti erano divenute un peso esistenziale. E a quel punto che loro passano al genio, con albums che rivoluzionano la musica pop e non solo. Questo nel documentario è ben spiegato. Divengono produttori di pezzi musicali senza tempo. In certi momenti si prova grandissimo rispetto per questo gruppo di giovani che improvvisamente si sentono investiti di capacità fuori dal comune e le mettono a frutto.

Appena uscite, con le figlie, ci siamo confrontate sul mito dei Beatles e ci siamo accapigliate sul fenomeno  One Direction, una band di pochissimi anni fa dalla popolarità enorme fra gli adolescenti.

imgres
One Direction

E’ partita subito la polemica: una figlia li accostava ai Beatles per la velocità con cui sono arrivati al successo, il numero dei fan e il numero dei dischi venduti; l’altra non accettava neanche di metterli a confronto, accusando i One Direction  di essere stati solo un prodotto commerciale. Io non riuscivo a pendere né per l’una né per l’altra : come si possono comparare due fenomeni intercorsi a mezzo secolo di distanza l’uno dall’altro? Anche il documentario ci fa capire che il tutto è contestualizzato in un’altra epoca. Erano gli anni del baby boom,  il mondo era pieno di giovani che praticamente non avevano conosciuto la guerra e che volevano il cambiamento, con quella stessa energia che oggi vedo – mi viene di pensare mentre rientriamo in macchina – negli occhi e nella determinazione di tutti quei giovani che attraversano il Mediterraneo per scappare dall’Africa  venire da noi in Europa. Anche loro vogliono un mondo diverso, ma non possono cercarselo a casa.

22 Aprile, Earth Day

earth dayOggi, 22 aprile, si celebra l’Earth day, la giornata internazionale della Terra. Teniamolo con cura in mente perché le cose non vanno affatto bene! Oggi ricorre infatti il 45esimo anniversario di questo evento e ancora poco si fa per il nostro pianeta, oltre a spolparlo, distruggerlo e inquinarlo.

La storia di questa data cammina di pari passo con la storia del movimento ambientalista. La giornata della Terra nasce infatti nel 1970, negli Stati Uniti, in un momento in cui il fermento delle novità era scandito dagli ultimi album dei Beatles, dalla prodigiosa chitarra di Jimi Hendrix e dalla melodia inarrivabile di Bridge Over Troubled Water di Simon & Garfunkel. Gli States cercavano faticosamente di uscire da una guerra disastrosa, quella del Vietnam, in cui era stata decimata la nuova generazione di americani e le proteste studentesche erano all’ordine del giorno. Tuttavia l’attenzione non era ancora focalizzata sull’ambiente ed erroneamente la maggior parte della gente credeva che un po’ di “pollution” fosse lo scotto da pagare per il benessere. A cambiare le cose fu un libro Silent Spring di Rachel Carson del 1962 (Feltrinelli, 1999), venduto in più di 500.000 copie.

Nella prefazione del 1999 scritta da Al Gore si legge: “Il libro di Rachel Carson, pietra miliare dell’ambientalismo, è la prova innegabile di quanto il potere di un’idea possa essere di gran lunga più forte del potere dei politici”. La Carson, biologa marina, lucidamente descrisse l’impatto distruttivo dei pesticidi, e per prima parlò della necessità di portare rispetto all’ambiente che ci circonda (il Silenzio della primavera nel titolo del libro si riferisce al silenzio che si avverte nei campi in primavera dovuto all’avvelenamento di molte specie animali).

Nel 1970 il senatore del Wisconsin Gaylord Nelson, ispirato dai movimenti studenteschi anti-guerra, coinvolgendo altri rappresentanti politici  promosse un teach-in nazionale che coinvolse 20 milioni di americani. Da allora ogni anno il 22 aprile si celebra il giorno della Terra. Ci uniamo al messaggio del segretario delle Nazioni Unite Ban-ki Moon il quale in questo giorno speciale chiede “che ognuno di noi sia cosciente dell’impatto che le nostre scelte hanno sul pianeta e cose tale impatto potrà significare per le prossime generazioni”

“The world’s greatest rock ‘n’ roll band”

Come erano
Come erano

Brian Jones, Mick Jagger, Keith Richards, Charlie Watts e Bill Wyman. Chi sono? Sicuramente avrete riconosciuto i Rolling Stones, che da sempre si autodefiniscono “The world’s greatest rock ‘n’ roll band”.

Il 16 aprile 1964, 50 anni fa, usciva il primo LP della band londinese, The Rolling Stones, e fu subito battaglia con un’altra band altrettanto famosa, i Beatles.

Insomma come dire il Pop garbato, accattivante, orecchiabile, contro il Rock sguaiato, nevrotico, perfettamente incarnato dal frontman della band, il satanico Mick Jagger.

Come sono oggi senza Brian Jones, morto nel '69 in circostanze poco chiare, devastato dall'alcool e dalla droga
Come sono oggi senza Brian Jones, morto nel ^69 in circostanze poco chiare, devastato dall’alcool e dalla droga

Il disco, che li lanciò verso il successo planetario, è la rielaborazione di grandi classici del rhythm and blues e del rock ‘n’ roll, tra cui Route 66 e I Just Want To Make Love To You di Dixon, Carol di Berry e I’m A King Bee di Slim Harpo, contiene inoltre il primo brano firmato Jagger & Richard: Tell Me.

Una leggenda vivente!