Impara l’arte…

SpeedArt_couv_boiteChi trova il collegamento fra  il Monopoli, il Trivial Pursuit, Risiko, il Gioco dell’Oca e altri giochi da tavolo e Mondrian, Van Gogh, Klee, Cézanne e tanti tanti altri artisti famosi?

Il collegamento lo ha trovato, anzi creato, la Fondazione Beyeler di Basilea, che dal 21 novembre ha messo sul mercato un gioco da tavolo in cui protagonista assoluta è l’arte.

Speed art è un gioco di carte sviluppato dai designer della Carlit + Ravensburger e dal team di mediazione artistica della Fondazione Beyeler, che si prefigge di avvicinare all’arte anche i più piccoli attraverso un gioco di carte il cui scopo è quello di riconoscere per ogni opera rappresentata le somiglianze nel più breve tempo possibile. L’invito è a osservare, riconoscere e classificare, senza il bisogno di essere esperti d’arte ma solo avendo un occhio acuto e una mano rapida. Naturalmente le opere sono quelle della collezione Beyeler.

Non è la prima volta che la Fondazione Beyeler si fa promotrice di nuovi metodi per avvicinare le giovani generazioni all’arte.  Nel 2012 infatti aveva curato la pubblicazione di un divertente volume intitolato L’Art, c’est quoi ? 27 questions, 27 réponses, in cui l’approccio all’arte veniva proposto attraverso la risposta a 27 domande sorprendenti e piene di humor. Nel 2013 fu la volta di un’applicazione per smartphone ArtShaker, attraverso la quale si possono rimixare e sistemare a piacimento le proprie foto come se fossero le opere della collezione Beyeler attraverso effetti di colore, forme luce ecc.

Questo gioco divertente ed educativo fino alla metà di gennaio sarà in vendita solo presso lo shop della Fondazione e on line.

In vacanza a ritroso nel tempo

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Fondazione Beyeler

Se c’è un museo che ti fa sentire in vacanza non appena vi entri, è la Fondazione Beyeler a Basilea. Mai come in questo Museo l’architetto Renzo Piano ha saputo sfruttare e valorizzare lo spazio a sua disposizione. Le mostre vi si godono appieno e la visita è come una passeggiata dove la luce e lo spazio rendono tutto piacevole. Certo il museo lo sa e si fa pagare caro, ma ne vale sempre la pena.

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Maria Vasilyeva, Rooftops, 1915

In questo momento, e fino al 10 gennaio, c’è una mostra dal titolo un po’ lungo, che potrebbe scoraggiare. Invece è da non perdere. Si intitola: In Search of 0,10 -The Last futurism Exhibition of Panting 0,10. Vedrete la ricostruzione di una mostra che si è  tenuta a San Pietroburgo esattamente cento anni fa. La mostra si intitolava, appunto, The Last futurism Exhibition of Panting 0,10. Dopo una ricerca non facile sono state di nuovo riunite  molte delle opere  di quella mostra, fornendo una vista d’eccezione sul panorama artistico russo di quel periodo. Troverete opere legate al  futurismo e al cubismo; ma soprattutto la  mostra fu molto importante perché segnò lo spartiacque tra la ricerca artistica  di Kasimir Malevic e quella di Vladimir Tatlin. Infatti, nel 1915, i due esposero una ventina di opere ciascuno e, dopo  aver  avuto un inizio simile, si separano definitivamente per  abbracciare due modi di intendere l’arte profondamente diversi. Malevich presento’ in mostra l’opera Quadro nero su fondo bianco e traccio’ le linee dell’arte astratta, non oggettiva ma che crede nella  supremazia della sensibilità pura ( sempre nel 1915 Malevic a San Pietroburgo firmerà il manifesto del Suprematismo e enunciando così la sua poetica), mentre Tatlin, al contrario, colloco’ le sue opere in una sezione distinta, ricercando un arte che si legava alla tecnica e voleva essere legata alla vita reale e al suo uso nella società.

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The Last Futurist Exhibition of Painting, 0,10, Pietroburgo, 1915

Ancora oggi ce lo chiediamo: l’arte deve stare dentro la società e servire ad essa come voleva Tatlin, oppure deve abbandonare le immagini della realtà, la “zavorra dell’oggettività”, per toccare le vette della sensibilità pura? Sporcarsi le mani con la concretezza della realtà, come desiderava Tatlin, o cercare invece il nucleo pulsante dell’arte nella purezza dell’astrazione?

Sono passati cento anni ma in questa mostra si ritrovano temi e opere che possono considerarsi delle chiavi di volta per tanta arte dei decenni successivi e anche per l’arte di oggi.

Saison Courbet

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Gustave Courbet, Natura morta, 1862

Grazie alla collaborazione fra la Fondation Beyeler di Basilea e il Musée d’art et d’histoire di Ginevra, è stata inaugurata la Saison Courbet, un’esposizione, che si protrarrà per tutto l’autunno sino agli inizi del 2015, sui capolavori del maestro negli anni del suo esilio volontario sul lago Lemano.

Courbet fu artista molto discusso in quanto per primo ruppe gli schemi romantici in cui era incatenata la pittura del suo tempo per dedicarsi al crudo realismo che aprì le porte alle successive esperienze pittoriche degli impressionisti. Courbet suscitò scandalo, come egli stesso affermava “Ho studiato l’arte degli antichi e quella dei moderni. Non ho voluto né imitare gli uni, né copiare gli altri. Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere; fare dell’arte viva, questo è il mio scopo”. Se Baudelaire gli fornì le basi per il rifiuto dell’arte romantica, il filosofo anarchico Proudhon gli diede quelle politiche, che egli elaborò per infrangere le convenzioni accademiche. Ed ecco l’origine delle tele di grande dimensione fino ad allora destinate alla storia, alla mitologia o alla religione, che con lui invece si riempiono di personaggi di un mondo familiare e domestico (fra tutti basti ricordare il famoso Funerale ad Ornans).

Si sentiranno in debito con Courbet autori quali Cezanne, che affermó che il grande contributo dell’artista alla storia della pittura europea “è l’ingresso lirico della natura, dell’odore delle foglie bagnate, delle pareti della foresta coperte di muschio” e la sua capacità magistrale di dipingere la neve e le ombre azzurrine su di essa. Manet con la sua conturbante odalisca Olympia si pone nella scia del maestro. Si pensa addirittura che Monet lo abbia dipinto nella sua Colazione sull’erba (il personaggio corpulento in secondo piano).

Lo sforzo delle due istituzioni ha portato all’esposizione Svizzera, direttamente dal Museo d’Orsay di  Parigi, dal quale esce per la prima volta, anche l’opera forse più  famosa e controversa di Courbet: L’origine del mondo, in cui la descrizione realistica dell’organo genitale femminile non è attenuata da nessun artificio storico o letterario. Anatomicamente perfetta tuttavia sfugge allo status di immagine pornografica.

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“La capacità di produrre capolavori non esiste più”

Gerhard RichterManager Magazine, rivista tedesca, per la decima volta lo ha classificato come l’autore contemporaneo più influente sulla scena dell’arte planetaria. Nel 2013 una sua foto dipinta, Domplatz Mailand, realizzata nel 1968, è stata battuta per la bellezza di circa 29 milioni di euro. Stiamo parlando di Gerhard Richter, al quale la Fondazione Beyeler di Basilea dal 18 maggio al 7 settembre dedica la più grande esposizione di opere finora vista in Svizzera. Saranno in mostra le serie, i cicli e gli spazi creati dall’artista, grande inventore di architetture visionarie (“è un sogno che ho, che i quadri si trasformino in ambienti, che diventino essi stessi architettura”).

In 60 anni di carriera Richter ha prodotto un’opera molto variegata, di grande varietà tematica e stilistica.  Passando dalla pittura figurativa attraverso la rielaborazione delle fotografie e giungendo all’arte astratta, con le tavole colorate, le superfici monocrome fino alle composizioni generate dal computer. Ha affermato che “se i dipinti astratti mostrano la mia realtà, i paesaggi e le nature morte mostrano allora il mio desiderio”.

Interessato e attratto da tutto ciò che compone il mondo contemporaneo e dunque anche alla storia recente, Richter negli anni Settanta crea un ciclo di opere oggi esposte al Museum of Modern Art di New York: Oktober 18, 1977. Si tratta di 15 fotografie, immagini di stampa dipinte, ispirate agli avvenimenti che videro protagonista la Rote Armee Fraktion, la banda Baader Meinhof, negli anni di piombo della Germania. Anche quest’opera, fra le altre, è eccezionalmente in mostra a Basilea.

In una recente intervista rilasciata ad Hans-Ulric Obrist, critico d’arte, condirettore della Serpentine Gallery di Londra e curatore della Mostra alla Fondazione Bayeler, Richter polemizza affermando che “la capacità di produrre capolavori non esiste più “, che il termine dovrebbe essere completamente ridefinito, che nel panorama artistico attuale molto dipende dalla fortuna. “Non c’è mai stata tanta arte come adesso” e ancora “Il termine bellezza è così squalificato, anche perché tanta brutta stupidità viene spacciata per bellezza. I modelli propagandati dal cinema, dalla tv e dalle riviste propongono una bellezza falsa e vuota, ed è forse per questo che la bruttezza va così di moda. La società si sta anestetizzando” (da un’intervista all’autore di Hans Ulrich Obrist, sull’inserto Lettura del Corriere della Sera, n 128).

Parole dure, pronunciate non con dolore, da un’icona vivente.