Non sparate sull’artista!

Di arte si può morire… È quanto sostiene Dylan Kerr scrittore e curatore di Brooklyn in un simpatico articolo che si sofferma sulla pericolosità di alcuni materiali largamente utilizzati dai più famosi artisti. Se spesso abbiamo parlato dell’arte che salva la vita è ora di aprire una parentesi su come la può mettere in pericolo.

Iniziamo dal cadmio avete presente i colori brillanti delle opere di Paul Gauguin o Max Ernst? Ebbene questa sostanza, scoperta da un chimico Tedesco nel 1817, era alla base di moltissimi colori e grazie ad essa tali colori divenivano resistenti alla luce e difficilmente degradabili nonostante i raggi del sole. Purtroppo oggi sappiamo che l’esposizione al cadmio è decisamente tossica e accresce in modo esponenziale il pericolo di cancro e affezioni alle reni e al fegato, è inoltre portatrice di un problema respiratorio grave detto “cadmium blues”, una sorta di influenza perenne.

Altra sostanza altamente tossica e largamente utilizzata dagli artisti è stato l’arsenico, con il quale si produceva una tonalità di verde smeraldo particolarmente brillante, conosciuta come Verde Scheele. Si utilizzava in larga scala soprattutto nella produzione di tappezzerie. Infatti William Morris, figura centrale del Movimento Arts and Crafts, creatore di disegni di tappezzeria divenuti iconici, ne usò a piene mani procurando ad ignari clienti problemi fisici così gravi che, quando venne riconosciuta la pericolosità dell’arsenico, dovette utilizzare altre tavolozze di colori eliminando quel tipo di verde dai suoi disegni.

Arriviamo poi alle pitture a base di piombo e alla follia di Vincent Van Gogh. Sebbene non si possa assolutamente affermare che fu il colore da lui utilizzato a creargli problemi neurologici, inclusa la depressione e il delirio, tuttavia è pensabile che l’avvelenamento causatogli da piombo contenuto nelle pitture ne compromettesse l’equilibrio forse già instabile.

Che dire poi degli scultori che usano resine sintetiche o lana di vetro? Questi materiali possono causare bruciature, reazioni allergiche e serie irritazioni a pelle e occhi. Senza parlare di Damien Hirst e della formaldeide usata per conservare squali, mucche e pecore che può causare leucemia o cancro al cervello dopo prolungate esposizioni. Infine un pensiero ai pezzi di metallo affilati… vere e proprie armi pronte ad affettare l’artista.

Insomma vita d’artista, vita pericolosa!

Tele umane a spasso per Londra…

“Se la montagna non viene a Maometto, allora Maometto va alla montagna” è un detto antico, che non è supportato da nessun versetto del Corano, ma che probabilmente ci giunge da un saggio di Francis Bacon del XVI secolo. Pragmatici gli anglosassoni vero? Tanto che, alla notizia che quasi un quarto della popolazione britannica non sa che Van Gogh dipinse I girasoli o che Roy Lichtenstein creò Whaam! una famosa galleria di Londra ha immaginato un modo assolutamente originale per incoraggiare il pubblico ad abbordare in qualche modo il mondo dell’arte.

Ma facciamo un passo indietro, una recente indagine ha rivelato che su un campione di 2000 adulti britannici, tre su cinque hanno un rapporto carente o addirittura inesistente con l’arte. Inoltre il 44% è convinto che l’arte sia materia per le elite e uno su dieci è intimidito dalle gallerie d’arte. Insomma un disastro!

La sfida era dunque quella di rendere lo straordinario mondo dell’arte accessibile ad un numero maggiore possibile di persone. Rise Art, una piattaforma online di arte, ha ideato e realizzato un modo del tutto anti convenzionale per promuovere l’arte: cinque versioni viventi di altrettanti capolavori dell’arte mondiale, dipinti da una body painter vincitrice di premi internazionali, Sarah Attwell, sul corpo nudo di cinque modelli che per un’intera giornata si sono aggirati nel centro di Londra, nella metropolitana e sul Millennium Bridge.

Chissà se le opere, tutte famosissime (Van Gogh con I girasoli, Munch con L’urlo, Picasso con Donna seduta, Roy Lichtenstein con Ragazza con fiocco nei capelli, Mondrian con Composizione con rosso, blu e giallo), riconoscibili nonostante le curve dei modelli, hanno incuriosito e incoraggiato qualche impassibile britannico ad entrare in un museo o in una galleria d’arte per ammirare le opere d’arte su una vera tela.  Solo il tempo ci dirà se l’iniziativa ha avuto seguito.

Impara l’arte…

SpeedArt_couv_boiteChi trova il collegamento fra  il Monopoli, il Trivial Pursuit, Risiko, il Gioco dell’Oca e altri giochi da tavolo e Mondrian, Van Gogh, Klee, Cézanne e tanti tanti altri artisti famosi?

Il collegamento lo ha trovato, anzi creato, la Fondazione Beyeler di Basilea, che dal 21 novembre ha messo sul mercato un gioco da tavolo in cui protagonista assoluta è l’arte.

Speed art è un gioco di carte sviluppato dai designer della Carlit + Ravensburger e dal team di mediazione artistica della Fondazione Beyeler, che si prefigge di avvicinare all’arte anche i più piccoli attraverso un gioco di carte il cui scopo è quello di riconoscere per ogni opera rappresentata le somiglianze nel più breve tempo possibile. L’invito è a osservare, riconoscere e classificare, senza il bisogno di essere esperti d’arte ma solo avendo un occhio acuto e una mano rapida. Naturalmente le opere sono quelle della collezione Beyeler.

Non è la prima volta che la Fondazione Beyeler si fa promotrice di nuovi metodi per avvicinare le giovani generazioni all’arte.  Nel 2012 infatti aveva curato la pubblicazione di un divertente volume intitolato L’Art, c’est quoi ? 27 questions, 27 réponses, in cui l’approccio all’arte veniva proposto attraverso la risposta a 27 domande sorprendenti e piene di humor. Nel 2013 fu la volta di un’applicazione per smartphone ArtShaker, attraverso la quale si possono rimixare e sistemare a piacimento le proprie foto come se fossero le opere della collezione Beyeler attraverso effetti di colore, forme luce ecc.

Questo gioco divertente ed educativo fino alla metà di gennaio sarà in vendita solo presso lo shop della Fondazione e on line.

Chiacchiere del lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Furbi o bischeri?

Siamo in Toscana. Ho letto sabato scorso su La Repubblica la preparazione di una mostra fiorentina che si inaugurerà mercoledì prossimo 16 aprile a Palazzo Panciatichi dedicata ad un presunto quadro di Van Gogh dal titolo “Il fienile protestante”. Il quadro  esposto nel 2012 a Recanati aveva già suscitato non poche polemiche, perché è di attribuzione molto incerta.

Il fienile protestante opera attribuita a Van Gogh
Il fienile protestante opera attribuita a Van Gogh

Ho pensato quindi ad un aspetto che per un toscano è di pragmatica:  si tratta di furbi o di bischeri? la questione sembra ancora sub iudice; però emerge che si citano prove improbabili ( tracce di sangue, impronte, capelli dell’artista) e smentite autorevoli, anche in chiave critica. Si capisce bene che la polemica continuerà anche perché – se conferma ci fosse- il valore dell’opera sarebbe molto ingente.

Il toscano già a suo tempo scafato dalle false teste di Modigliani che coinvolsero illustri specialisti ( ma che poi fecero ridere mezzo mondo), è legittimato a chiedersi : ma si tratta di furbi ( coloro che hanno scoperto questo ignoto capolavoro) o di bischeri ( che cercano di gabellare con inidonei mezzi una crosta) ? il Medioevo fiorentino – se volgiamo restare in loco- conosceva gli uni e gli altri: i primi scrisse il Boccaccio sono quelli che hanno la “saviezza” che sanno vivere e cavarsela anche a scapito dei “pecoroni” come Calandrino. gli altri sono i membri dell’illustre famiglia dei Bischeri, che non vollero vendere al Comune le case da demolire per edificare il nuovo Duomo.Subito dopo il complesso  bruciò: ed ai Bischeri rimase un pugno di mosche. Ma anche l’attributo che ancora non onorevolmente li ricorda.

Il ragazzo con il panciotto rosso

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Il ragazzo con il panciotto rosso di Paul Cézanne è tornata da pochi giorni in Svizzera. L’opera, rubata quattro anni fa a Zurigo, è stata ritrovata in Serbia. Non si sa molto del suo ritrovamento: le autorità non hanno voluto spiegare dove e come ciò sia avvenuto.  Il dipinto fa parte di un gruppo di quattro tele che vennero rubate alla Fondazione Emil G.Bührle di Zurigo il 10 febbraio 2008: oltre alla tela di Cézanne sparirono Il  Campo di papaveri a Vétheuil, di Monet, Il Ramo di castagno di Van Gogh e  Ludovic Lepic e le sue figlie, di Degas. Le prime due vennero ritrovate dopo un settimana abbandonate dentro ad una macchina vicino alla fondazione,  mentre l’opera  di Degas  non è ancora riemersa.

Ogni ritrovamento di opere d’arte fornisce motivo di festeggiare a tutti.

Tra i furti del secolo scorso più noti rimane quello della GiocondaQuando la mattina del 23 agosto dl 1911 Vincenzo Peruggia, pittore e decoratore italiano, portò via la Gioconda levandola dalla cornice  e nascondendola sotto il cappotto, tutto il mondo ne fu scioccato. La faccenda venne seguita da tutti i giornali e la notizia del furto dilagò. L’opera rimase nascosta per più di un anno. Se ne ebbe notizia solo grazie a una lettera inviata a un antiquario fiorentino. Nella lettera il ladro si diceva disposto a renderla all’Italia in cambio di cinquecentomila lire, pretese come rimborso spese. Sostenuto dal conservatore fiorentino degli Uffizi, l’antiquario in questione si dichiarò interessato all’offerta, così Pontiggia prese il treno da Parigi e portò l’opera a Firenze. Gallerista e conservatore, dopo aver appurato che l’opera era l’originale,  chiamarono la polizia e fecero arrestare il ladro. Il governo italiano poi rispedì la Gioconda al Louvre.

Un’altra opera, che ha visto ben due furti nell’arco di dieci anni, è l’Urlo di Munch, che si trova a Oslo; l’opera infatti è stata rubata prima per tre mesi nel 1994 poi ancora una volta nel 2004.

L’Italia che di ruberie e sottrazioni illecite, anche con opere spedite all’estero, ne ha viste molte ha  redatto una Banca dati dei Beni Culturali illecitamente sottratti, per orientare e facilitare le indagini delle autorità.

Fa onore al nostro paese la figura di Rodolfo Siviero, che visse a Firenze e fece dell’inseguimento e del recupero delle opere d’arte italiane rubate dai nazisti durante il Secondo Conflitto Mondiale la ragione principale della sua esistenza. Era quasi un agente segreto e tutta la sua opera si concentrò prima nel contrastare ed impedire la cessione delle opere e poi nel recuperare ciò che era sparito in mani naziste. Il museo in quel caso più colpito fu quello degli Uffizi che fu praticamente svuotato. Tra le opere più importanti salavate si ricorda l’Annunciazione del Beato Angelico, il dipinto si trovava nel convento francescano di Montecarlo presso San Giovanni Valdarno. Siviero saputo in anticipo che i tedeschi avevano deciso di prendere l’opera, la portò via e la fece nascondere prima dell’arrivo dei militari.

Oggi la sua casa è diventata un Museo, si trova sui Lungarni di Firenze e conserva la sua collezione. L’opera di Siviero rimane di esempio per  quella parte di Italia che ha a cuore il proprio patrimonio culturale.