Musica per l’anima

Uno studio condotto dal professor Bijörn Vickhoff, musicologo dell’Università di Göteborg in Svezia, afferma che coloro che cantano in coro sono talmente connessi gli uni agli altri da sincronizzare non solo il respiro, che è dato dal tempo e dalle pause della musica, ma addirittura il battito cardiaco.

Il canto è una forma di regolare e controllata respirazione poiché inspirazione ed espirazione sono scandite dalla musica. Ciò offre lo stesso effetto della respirazione dello yoga, aiuta il relax e fornisce un beneficio cardiaco.

Cantare oltre a ridurre lo stress, dunque, agisce sul sistema immunitario potenziandolo, fa vivere più felici e più a lungo. Insomma il detto “canta che ti passa” pare abbia dei fondamenti scientifici.

Alla luce di questo studio vale la pena, allora, di considerare un’istallazione audio dell’artista Janet Cardiff, del 2001 intitolata Forty Part Motet, esposta a lungo alla Tate Modern di Londra, nei Tanks,  le cisterne industriali nel ventre dell’edificio, che una volta ospitava una centrale elettrica.

La Cardiff ha rielaborato in chiave moderna e con un vistoso supporto tecnologico il brano corale del XVI secolo Spem in Alium del compositore inglese Thomas Tallis, con l’aiuto del Salisbury Cathedral Choir.

(Tallis) mise a spartito il testo con un organico grandioso: 8 cori, ciascuno nella struttura tipica della polifonia inglese a 5 voci (soprano, mezzo, controtenore, tenore, basso): in tutto 40 voci. 

Per un’esecuzione fedele del brano Tallis aveva previsto 8  gruppi diversi e autonomi, distribuiti in punti differenti di una cattedrale, in modo che l’ascoltatore fosse avvolto completamente dal canto corale, trovandosi esattamente al centro di esso (la sacra musica).

La Cardiff ha cercato di riprodurre esattamente lo stesso effetto polifonico, amplificandolo, grazie alla registrazione di 40 diverse tracce – una per ogni corista – e posizionando i 40 altoparlanti in cerchio, in modo che il visitatore possa camminare tra i diffusori per ascoltare sia le singole voci, sia l’intero suono coinvolgente del mottetto.

L’istallazione permette ben di più. Così come concepita ci si può quasi intromettere nella sfera intima e personale di ogni cantore, ascoltare le imperfezioni della voce, le sfumature che inevitabilmente si perdono nell’esecuzione corale, addirittura sentire, prima dell’interpretazione, le chiacchiere o i colpi di tosse per schiarirsi la voce.

Il corpo del visitatore diventa anch’esso uno strumento attraverso il quale la musica viene reinterpretata, diventa esso stesso opera d’arte. L’istallazione suggerisce come il suono possa costruire fisicamente uno spazio in modo scultoreo e come uno spettatore possa scegliere di fare un percorso attraverso questo spazio fisico ma, al tempo stesso, virtuale. L’artista scrive

Le persone hanno bisogno di questa liberazione emotiva, hanno bisogno di di avere questa capacità di trovarsi nel momento e di sentire il senso di presenza e spiritualità che musica come questa comporta.

L’esperienza che si prova davanti, o meglio, nel mezzo di questa opera d’arte non è semplicemente sensoriale, ma profondamente emozionale. Nonostante l’ambiente asettico, privo di luce naturale, al cospetto di tanta tecnologia, il carattere manifestamente sacro della musica tocca profondamente la dimensione più intima del visitatore. Qui, a dispetto di tutto, l’opera acquisisce un’energia emotiva ed estatica che scuote profondamente ciò che di spirituale e sacro è sedimentato nel nostro io più profondo.

Note e colori

Jaquet-Droz Pendule automate aux oiseaux chanteurs dans une cage accaompagnés de six mélodies (ca. 1785)
Jaquet-Droz Pendule automate aux oiseaux chanteurs dans une cage accaompagnés de six mélodies (ca. 1785)

Tra arte visibile e arte udibile intercorre una connessione sinestetica? Cioè possono le percezioni provenienti da due sensi (l’udito e la vista) mescolarsi? Può uno stimolo uditivo, il suono, provocare una reazione chiara e delineata di un altro senso, la vista?

Mozart ad esempio vedeva nella musica, in ogni singola nota, colori differenti.

Kandinsky da parte sua voleva “rendere visibile l’invisibile” rinnovando l’arte in modo che divenisse pura fusione sensoriale esplorando la relazione esistente fra suono e colore. Egli giunse a usare termini musicali per descrivere le proprie opere e le definì “composizioni” e “improvvisazioni ” in cui il suono veniva fissato sulla tela attraverso il colore.

La mostra promossa dalla Fondazione Prada, Art or Sound che si aprirà il 7 di giugno a Venezia a Palazzo Correr, può aiutare, se non a rispondere a quegli interrogativi, a trovare una via per comprendere il rapporto che intercorre fra  arte visibile e udibile.

“Concepita come un’indagine attraverso il passato e il nostro presente, Art or Sound ha l’obiettivo di analizzare lo sviluppo di un dialogo produttivo e articolato. Affronta le problematiche del rapporto tra arte e suono e degli aspetti iconici dello strumento musicale, nonché del ruolo dell’artista musicista e degli ambiti in cui arti visive e musica si sono incontrate e confuse… Il progetto analizza lo sconfinamento tra produzioni artistiche e sonore, tra musica e arti visive, con l’idea di  evidenziarne il costante scambio, senza ricercare inutili classificazioni” (Repubblica online, 10 marzo 2014).

Il percorso espositivo partirà dal Seicento per giungere ai giorni nostri attraverso gli strumenti musicali creati con materiali impropri o preziosi, per passare alle scatole musicali, ai dispositivi con suoni e luci dell’Ottocento, agli Intonarumori di Luigi Russolo

L’ultima parte della mostra sarà dedicata alle ricerche recenti per le quali sono presenti artisti come Christian Marclay, Janet Cardiff, Martin Creed e Doug Aitken, Anri Sala, Athanasios Argianas, Haroon Mirza, Ruth Ewan e Maywa Denki.