E’ tempo di luci

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Valerio Berruti, Luci d’artista , Torino

Qualcuno le ha già messe sui balconi, sull’albero e ogni centro cittadino ha già i suoi ornamenti luminosi per le strade. La luce una parte importante nella nostra vita.

La luce è un elemento fondamentale  anche nella storia dell’ arte da prima ospite dentro le opere poi anche come opera d’arte in sé.

E’ una  luce diffusa quella che fa emergere da uno sfondo notturno Maria, Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci .

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Leonardo da Vinci, Vergine delle rocce, 1483-86

Proviene da sinistra la luce dipinta da Jacopo Pontormo nella pala della Visitazione: è essa che rende quasi fluorescenti le vesti di Santa Elisabetta e delle donne nell’incontro con Maria.

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Pontormo, La Visitazione, 1528-30

Un notturno illuminato da una luce bianca e lunare quella dipinta nella Pietà da Sebastiano del Piombo nel 1517  oppure le figure costruite dalla luce come nell’Ultima cena di Tintoretto  (1592-94)

La luce diventa protagonista nella celebre Conversione di San Matteo del Caravaggio dipinta nel  1601: essa rappresenta la forza di Dio.

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Sebastiano del Piombo, Pietà, 1518

La luce è atmosfera di un tramonto nelle tele di Claude Lorrain, come nel Porto al tramonto o intima rivelazione nei quadri di Jan Vermeer.

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Claude Lorrain, Porto al tramonto, 1639

La luce investe anche gli oggetti delle nature morte e nel periodo del romanticismo aggiunge mistero alle composizioni spettacolari e fantastiche della natura, come nel caso di William Turner o nel caso dei sogni visionari di Johann Heinriche Füssli.

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Johann Heinriche Füssli,Sogno del pastore, 1793

In questa carrellata di luce nel 1909 Giacomo Balla dipinge Lampada ad arco. Un lampione che illumina la notte. Si esalta la potenza e la bellezza della luce artificiale. E’ nata una luce nuova: tutto cambia, le città cambiano le nostre percezioni sono diverse. I futuristi lo sentono e lo anticipano.

Sarà Lucio Fontana che realizzerà la prima opera fatta di luce . Piegando un tubo di neon crea una forma sospesa , un grande arabesco che nel 1951 presenta alla IX Triennale di Milano.

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Dan Flavin,365 Houston

Da questo momento non ci si ferma più: l’opera d’arte entra nello spazio e lo spazio si fa molte volte luce. Basta guardare l’opera di Dan Flavin, negli anni Sessanta oppure le parole luminose di Maurizio Nannucci. Chi ha visto la grande luce di Olafur Eliasson  ovvero l’installazione alla Tate The Weather Project (2003) non se la dimentica più.

Luce naturale, luce artificiale nessuno di noi può farne a meno.

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Olafur Eliasson,The Weather Project, 2003

Quando il disegno ti salva la vita

zebra crossingPer la prima volta fu Leonardo da Vinci ad utilizzare l’anamorfosi per disegnare sulle pagine del Codice Atlantico il viso di un bambino e un occhio. Questa tecnica risale all’epoca di Leonardo, ma fu codificata solo nel ‘600, quando la disciplina perse quella patina magica che aveva acquistato nel tempo e si diffuse non solo fra gli artisti, ma anche fra gli architetti. Si tratta della creazione di disegni distorti, a prima vista indecifrabili e mostruosi che sono intellegibili solo se approcciati da particolari angolature, distanze o riflessi nello specchio, si tratta di un processo geometrico  e come tale soggiace a certe precise regole.

Esempi di questa tecnica ce ne sono tanti. Fra i più famosi il dipinto “Gli ambasciatori” di Hans Holbein (1533), in cui fra le due figure degli ambasciatori in basso, si distingue una forma incomprensibile che si palesa solo guardando il dipinto da destra e da una certa distanza, si tratta di un teschio, un “memento mori”. Agli inizi del XVII secolo Emmanuel Maignan, dipinse sulla parete del convento di Trinità dei Monti a Roma, un affresco lungo 6 metri. Da vicino all’apparenza si tratta di un semplice quanto bizzarro panorama costiero con vele e abitazioni all’orizzonte, ma osservato alla fine del corridoio ci si accorge che in realtà raffigura san Francesco di Paola inginocchiato in preghiera!

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Oggi gli esempi più spettacolari di arte anamorfica prospettica sono realizzati da artisti di strada, che realizzano opere incredibili. E a questo proposito è di qualche giorno fa la notizia che in India questo tipo di illusione ottica è stata sperimentalmente adottata dal Ministero dei Trasporti sulle strade del sub continente per costringere gli automobilisti a rallentare, per diminuire il numero di incidenti sulle strade!

Pronti a giocare?

GiocondaCosa c’è di più poetico, affascinante e misterioso del volto di una donna dipinto da un artista?

Guardate questo video realizzato con la tecnica digitale del “morphing” e cercate di riconoscere non solo i dipinti ma gli artisti coinvolti.

Naturalmente vince chi ne riconosce di più, in palio, però c’è solo la soddisfazione di aver  riconosciuto lo stile dell’artista e il nome dell’opera…

Buona fortuna!

“Natura non rompe sua legge”

Non tutti sanno esattamente che cos’è il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.

Si tratta della collezione di manoscritti e disegni di Leonardo (1750 disegni su 1119 fogli) che meglio ci è stata tramandata e che meglio rappresenta gli ultimi 40 anni della vita di Leonardo da Vinci come scienziato e intellettuale. Dopo l’ultimo restauro (oltre 40 anni fa) il Codice, conservato nei caveux della Biblioteca Ambrosiana di Milano, era stato rilegato in fascicoli. Nel 2007 si era sparsa la notizia che su di esso erano comprase temutissime macchie nere, attribuite allora alla muffa. Le suore benedettine di Viboldone, sotto il controllo dell’Istituto Nazionale di Patologia

del Libro, della Commissione Vinciana e con il sostegno delle analisi effettuate alla Sapienza di Roma, ebbero l’incarico di procedere alla sfascicolazione del volume vinciano, riportandolo alla forma che aveva assunto nel ‘500. Infatti, nel XVI secolo il pittore Pompeo Leoni era riuscuto a radunare molto materiale degli studi di Leonardo e fra gli altri circa 2000 fogli isolati e di varia grandezza, che l’artista organizzò in due grossi album: uno con i disegni artistici, divenuto proprietà dei reali d’Inghilterra e attualmente citati come Fogli Windsor, l’altro contenete disegni di carattere prettamente meccanico e geometrico, che prese il nome di Codice Atlantico. Al termine del lavoro di sfascicolazione e ricomponimento operato in due anni dalle suore benedettine, la Biblioteca Ambrosiana con il contributo della  Fondazione Cardinale Federico Borromeo e della Banca Popolare di Bergamo ha programmato fra il settembre del 2009 e il giugno del 2015 ventiquattro mostre tematiche dedicate al grande Leonardo da Vinci utilizzando i fogli del Codice Atlantico.

Il 12 giugno si è aperto il dodicesimo evento curato dal professor Pietro Carlo Marani e da una carissima amica la dottoressa Rita Capurro, che si è occupata anche del catalogo della mostra.

La dodicesima esposizione intitolata Leonardo scienziato della terra è dedicata alle incredibili intuizioni e ai disegni riguardanti lo studio del pianeta.

Nel catalogo leggiamo «L’approccio vinciano agli studi sulla terra considera gli elementi connessi alla sua forma, dimensione e relazione con altri corpi celesti. […] Quando egli affronta lo studio della terra si pone in un atteggiamento in primo luogo di osservazione e misurazione, in un’ottica che potremmo definire più propriamente geografica. […] Quando invece approfondisce aspetti più propriamente delle scienze geonomiche, lascia emergere un’attenzione specifica all’osservazione integrata a considerazioni intuitive, secondo un metodo che appare molto affine agli studi nostri contemporanei di scienze della terra. […] ».

La mostra come le precedenti, si protrarrà per tre mesi ed è suddivisa in due sezioni: la prima presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana – Sala Federiciana, Piazza Pio XI, 2, e la seconda presso la Sagrestia Monumentale del Bramante, ingresso da Via Caradosso, 1.

C’è molto da imparare dai disegni a volte visionari di questo ambientalista ante litteram, che ha fatto dell’osservazione e della comprensione della natura l’arma del suo sapere, il punto di partenza per la comprensione non solo dello spazio fisico che circonda l’uomo, ma della natura umana stessa.

Il mistero dell’affresco perduto….

Gli ingredienti per un grande giallo ci sono tutti.

Un affresco scomparso, uno studioso ossessionato dal dipinto perduto, un indizio sibillino posto in un angolo dell’affresco che potrebbe aver ricoperto il capolavoro, fatto da una bandierina con una scritta enigmatica: «cerca trova».

Parliamo dell’affresco della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci, di cui da secoli si sono perse le tracce.

Il dipinto è appunto una celebrazione della battaglia combattuta ad Anghiari e vinta dai Fiorentini nel 1440 contro i Milanesi. La battaglia fu di poca rilevanza bellica, tuttavia di grande importanza politica, in quanto i fiorentini non persero la sovranità sulla loro terra (Machiavelli la ricorda con queste parole ironiche : “Ed in tanta rotta e in si lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì che un uomo, il quale non di ferite ne d’altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto spirò”).

Poiché la battaglia consacrò Firenze a grande potenza egemone nell’Italia centrale, i Magistrati della città, e precisamente Pier Soderini, Gonfaloniere della Repubblica, nel 1503 assegnò a Leonardo da Vinci il compito di dipingerla in un grande affresco, su una delle pareti della Sala del Gran Consiglio di Palazzo Vecchio. Questa prestigiosa commessa diede a Leonardo la possibilità di sperimentare nuove tecniche pittoriche, che tuttavia si rivelarono fallimentari. Infatti il dipinto fin da subito risultò compromesso a causa di un complesso processo di essiccamento. Sebbene lo stesso Leonardo non volle terminare l’affresco, tuttavia esso fu conservato per alcuni anni e i suoi contemporanei poterono ammirarlo o, per lo meno, ammirarne i cartoni, se è vero che Rubens lo riprodusse nel dipinto oggi conservato al Louvre e Biagio di Antoio poté farne uno studio, che oggi è alla National Gallery of Ireland di Dublino.

A metà del 1500 i governo fiorentino decise un rinnovamento della grande sala e i dipinti esistenti furono rimpiazzati dall’opera del Vasari. A questo punto si persero le tracce dell’affresco, immaginando che l’opera fosse irrimediabilmente perduta, cancellata per fare posto alla nuova decorazione.

Ma l’ingegner Maurizio Seracini fondatore del CISA3 (Center of Interdisciplinary Science for Art, Architecture and Archaeology) dell’Università della California di San Diego, non la pensava così. E questo caparbio personaggio per trent’anni ha percorso una strada differente alla ricerca di tracce dell’antico affresco di Leonardo.  L’ingegnere, convinto che il dipinto (o parte di esso) debba trovarsi proprio nel luogo dove era stato destinato, ha compiuto nel corso degli anni una serie di delicati rilevamenti che sembrano dargli ragione. Raggiunto recentemente attraverso una sonda il muro sottostante al dipinto del Vasari, sono stati raccolti dei campioni interessanti. L’ulteriore analisi su un campione di colore nero ha rivelato la compatibilità di quest’ultimo con il colore nero utilizzato per la Gioconda e per il San Giovanni del Louvre.

Il mistero dunque continua e noi, assuefatti agli intrighi di Dan Brown, aspettiamo con ansia il risultato delle ricerche chiedendoci però, e anche un tantino preoccupati, se l’affresco perduto dovesse veramente trovarsi sotto il dipinto del Vasari, che si potrà fare?