THE HAPPY SHOW

Stefan
Stefan Sagmeister

Siamo arrivati alla fine del 2013 e quindi è tempo di bilanci. Uno potrebbe anche prendere l’occasione per chiedersi: è possibile  valutare il nostro attuale tasso di felicità?

Sembrerebbe di sì. A Parigi, in questi giorni, si è aperta una mostra  dal titolo “The Happy show”, dell’artista Stefan Sagmeister, tutta incentrata su cosa sia e che senso abbia la nostra felicità. Sagmeister, mezzo americano e per metà austriaco, conosciuto nell’arte contemporanea anche come designer grafico, ci offre un percorso interessante che permette al visitatore di esplorare in modo sia sensoriale che intellettuale il tema della felicità.

La mostra si tiene presso la Gaité Lyrique, un vecchio teatro del XIX sec., trasformato in un centro che studia i legami tra la cultura visiva e quella digitale. Un luogo per sperimentare i media, visitare mostre, giocare con i computer, studiare o ascoltare conferenze. .

stefan
Stefan Sagmeister

Tutto il percorso è pensato per far fare delle esperienze divertenti. Il visitatore, ad esempio,  è invitato a pedalare di fronte ad un grande schermo dove appaiono delle scritte e delle immagini che fanno sorridere e meditare.

Stefa
Stefan Sagmeister

E siccome lo scopo della mostra è concedere a noi il tempo di riflettere su cosa intende la nostra società occidentale per felicità, l’artista offre al visitatore anche dei numeri e delle statistiche su quanto le persone siano più o meno felici. Ne viene fuori ad esempio che  solo il 41,5 % delle donne casalinghe sono felici, oppure che il 18% degli uomini divorziati sono felici contro il 15,5% delle donne nella stessa condizione.

La mostra è arrivata dall’America a Parigi, ma dovrebbe continuare a girare per l’Europa.  E’ un invito a farci riflettere , forse come dice lo stesso artista “non troverete la felicità visitando la mostra” ma è un modo per ripensarla e questo non può che farci  un gran bene.  .

Ode al carciofo

Giuseppe Arcimboldo, L'estate,1573, Musee du Louvre, Parigi
Giuseppe Arcimboldo, L’estate,1573, Musee du Louvre, Parigi

Ognuno di noi associa una stagione in arrivo con qualcosa di buono da gustare. Da piccola, in campagna, non passava maggio che io non facessi una scorpacciata di ciliege. E a settembre? I fichi naturalmente.

Ora che vivo a Ginevra, in inverno sento la mancanza di un ortaggio che qui sembra sconosciuto: il carciofo. Per la maggior parte del tempo è introvabile e quando fa capolino nel supermercato, potete essere certi che è di qualità non commestibile. Io ci ho provato a cucinarlo, il carciofo svizzero, ma è grosso, duro e pieno di peluria al suo interno. Alla fine mi sono arresa e mi accontento di fare una scorta di carciofi buoni quando vado in Italia. Cotti, crudi e sottolio, sono una specialità per il palato.

Belli come un fiore possono anche fare bella figura in cucina, se messi dentro un vaso di fiori.

A loro dedico questa giornata grigia e dalla pioggerellina uggiosa, con una poesia scritta in loro onore da Pablo Neruda:

Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero,

ispida edificò una piccola cupola

si mantenne all’asciutto sotto le sue squame,

vicini a loro i vegetali impazziti si arricciarono,

divennero viticci,

infiorescenze commoventi rizomi

sotteranea dormì la carota dai baffi rossi,

la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino,

la verza si mise a provar gonne,

l’origano a profumare il mondo,

e il dolce carciofo lì nell’orto vestito da guerriero,

brunito come bomba a mano,

orgoglioso

e un bel giorno,

a ranghi serrati,

in grandi canestri di vimini,

marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno:

la milizia.

Nei filari mai fu così marziale come al mercato,

gli uomini in messo ai legumi con i bianchi spolverini erano i generali dei carciofi

file compatte,

voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade,

ma allora arriva Maria con il suo paniere,

sceglie un carciofo non lo teme,

lo esamina,

lo osserva controluce come se fosse un uovo,

lo compra,

lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe,

con un cavolo e una bottiglia di aceto finché,

entrando in cucina lo tuffa nella pentola.

Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo,

poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta,

del suo cuore verde.