La famiglia: una palestra di vita

Leggevo qualche giorno fa l’articolo di Concita de Gregorio su La Repubblica, dal titolo Global family, dedicato alle nuove tipologie di famiglia e in modo particolare al tema della lontananza.

Lontani i mariti dalle mogli, o viceversa, per ragioni di lavoro, lontani i nonni che ormai sono ridotti a godere dei nipoti attraverso lo schermo del computer: l’articolo era una carrellata delle famiglie di oggi.

Torno proprio oggi dall’Italia, dopo aver trascorso un paio di giorni con tanti “pezzi” della mia famiglia di origine, lasciati quando siamo partiti.
Come italiani in transito conosciamo per esperienza personale gli effetti della lontananza e il valore dell’appartenenza; ultimo aspetto, questo, da coltivare anche per i nostri figli che stanno costruendo la propria identità.

Infatti la famiglia di origine lontana è molto spesso, per chi sta all’estero, un legame che aiuta a ricordare chi sei.

Ho un’amica che, dopo aver perso entrambi i genitori e non avendo più parenti nel proprio paese, ha sofferto contemporaneamente il lutto per le persone perse e il lutto per la perdita del legame con  il proprio paese.

La famiglia, dunque, come palestra di vita: se poi è grande come la mia e ha un’ampia varietà umana al suo interno, l’esercizio sportivo te lo fa fare davvero. E cosi’, come è facile non aver voglia di andare in palestra, a volte quando si vive all’estero ci si fa cogliere dalla  pigrizia, in occasione di avvenimenti che consentirebbero un ritorno. Si vorrebbe rimanere dove siamo. Ma io so che ogni volta, quando ti sei di nuovo immerso nelle tue radici, torni indietro più tonico e felice.

E allora  ben venga l’amore a distanza ma attenzione agli strappi, la prossimità con le proprie famiglie, anche se è sempre più corta, è una pratica che non deve subire troppe trasformazioni.

Storie private ormai di tutti

Ilaria, una giovane e bella ragazza ventenne, arriva a Lucca nel 1403 per andare sposa al nobile Paolo Guinigi, signore della città. La cerimonia si tiene nella chiesa di San Romano e si festeggiano le nozze per tre giorni e tre notti. La moglie dà alla luce il primo figlio, Ladislao ,assicurando l’erede al casato,  ma muore durante il parto della seconda figlia, Ilaria la minore. Le cronache raccontano che la sua morte causò un grande dolore al marito, il quale decise di far realizzare un sarcofago rappresentante la moglie addormentata nel sonno eterno, con l’intento di metterlo nella cattedrale di San Martino.

L’arte può aiutare a placare il dolore? Paolo Guinigi chiamò uno dei più grandi artisti del suo tempo, lo scultore Jacopo della Quercia,  che realizzò un capolavoro della scultura quattrocentesca.

Ilaria venne rappresentata su un basamento di marmo decorato da putti e festoni. Ha gli occhi chiusi ma  sul volto non si vede la morte, la giovane infatti sembra dormire vestita con un abito elegante e raffinato. La testa è appoggiata su un cuscino e l’abito è rialzato ai piedi, dove lo scultore ha posto un piccolo cane, simbolo della fedeltà coniugale.

Quando il casato dei Guinigi cadde in disgrazia il sarcofago venne spogliato di tutti i riferimenti familiari, come lo stemma e l’iscrizione dedicatoria. Ma nessuno toccherà la figura di Ilaria, così sublimemente addormentata e bella: in breve tempo, questa figura angelica divenne quasi sacra per i lucchesi . Tutti sentivano il desiderio di vederla e sfiorare il suo corpo di marmo.

Potenza dell’arte: un’opera nata per consolare un dolore personale, venne spogliato dei suoi riferimenti storici e di appartenenza e divenne il simbolo di una città.

Così, passeggiando per Lucca pensavo al suo volto e ai tanti volti dell’arte. Pensavo ai coniugi Pandofini, al volto della Monnalisa e a quello immortalato da Andy Warhol di Marylin Monroe . E riflettevo su come l’arte può andare oltre  anche gli eventi della storia.

A proposito del digiuno…

Può apparire bizzarra la scelta di inserire questo post nella categoria “che gusto c’è” dal momento che vogliamo trattare di un argomento che è all’opposto del cibo: il digiuno. Abbiamo deciso di inserirlo qui perché il digiuno può essere inteso non solo come un dovuto riposo fisiologico dell’organismo, che attraverso di esso si depura da tossine e veleni, restituendo un rinnovato gusto per il cibo, ma anche come una possibilità di controllo su se stessi per evitare di divenire schiavi del superfluo.

Sul digiuno desideriamo fare una riflessione che non si concentri sui motivi dietetici o pseudo tali che ci spingono a patire la fame abbracciando improbabili diete, ma neppure sul suo tragico contrario, la mancanza di cibo dovuta a povertà o carestia, e neppure sul digiuno come arma di contestazione o protesta.

Vorremmo focalizzare la nostra attenzione sul digiuno che attraversa trasversalmente culture e religioni ed è presente fin dalla notte dei tempi nella storia dell’umanità, senza dare giudizi sulla bontà o meno di questa pratica, ma semplicemente tratteggiandone i caratteri.

Partiamo dunuqe da una definizione che ne chiarisce il significato, con digiuno voglio intendere quella “astinenza temporanea totale o parziale dal cibo, per lo più per scopi religiosi e con diverse motivazioni” ( M. Schnedider, voce Digiuno, in Nuovo dizionario delle Religioni, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1993). Il digiuno infatti ha acquistato a seconda della latitudine delle popolazioni, delle loro credenze e della loro cultura, funzioni e significati differenti.

La prima e più antica è la funzione APOTROPAICA del digiuno, cioè attraverso la sua pratica si può tenere distante o addirittura annullare l’influenza maligna. Con il digiuno infatti ci si protegge da emanazioni dannose di cibi e bevande e con esso si riesce a scacciare la possibilità di rimanere vittime di eventi catastrofici.

Altra funzione del digiuno è quella CATARTICA: esso rappresenta la purificazione del corpo prima o dopo azioni particolarmente importanti. Ci sono poi la funzione ETICA – digiuno come sacrificio, espiazione o automortificazione – ed ESTATICA – digiuno come rafforzamento di quelle energie che mettono l’individuo a diretto contatto con la divinità. Infine il digiuno può essere la manifestazione esteriore del LUTTO, come accadeva tradizionalmente fra gli antichi egizi.

Ancora, esso può essere praticato in gruppo (il Ramadan) o da soli (per purificarsi dai peccati), in tempi e giorni stabiliti (la Quaresima) o in modo estemporaneo come atto di umiltà e penitenza. Infine, in molte culture e religioni, di fronte all’estremizzazione delle forme di digiuno si è giunti a consigliarne una “interiorizzazione” in forma di “preghiera attraverso il corpo”.

Che sia rituale, dietetico, disintossicante il digiuno da sempre è presente nella storia dell’uomo.