La capacità di indignarsi

Matthew Barney, dal ciclo Creamaster
Matthew Barney, dal ciclo Creamaster

Si discute, in questi giorni, sulla capacità degli italiani di esprimere indignazione.

Riflettevo su questo e pensavo che la migliore palestra per apprendere a praticare lo sdegno potrebbe essere l’arte contemporanea.

Questa attività, infatti, da ormai più di un secolo, non manca di irritare il pubblico, provocando varie misure di risentimento. Brava, dico io, l’arte che ci tiene addestrati allo sdegno. Allora mi vengono in mente le serate futuriste, le scatole di merda d’artista del mille volte citato Piero Manzoni, oppure l’ancor più famoso Orinatoio di Marcel Duchamp o – più vicini a noi nel tempo – i video di Mattew Barney , così come le pecore vive di Menashe Kadishman. L’arte moderna e contemporanea sono un percorso utile per accrescere in noi l’indignazione.

Paul Klee, Insula Durcamana, 1938
Paul Klee, Insula Durcamana, 1938

Propongo che chi studia l’arte abbia una sezione dedicata proprio all’arte dell’indignazione, così potrebbe aiutare la società intera a praticarla. Ma poi mi domando: sarebbe sufficiente l’indignazione per cambiare le cose? Coltivandola, l’Italia migliorerebbe? Avremmo meno delusioni e meno corruzione? Ci occorre qualche altro ingrediente? All’indignazione, in verità, dovrebbe seguire il coraggio di cambiare rotta; ma per questo occorre credere che le cose potrebbero andare anche in modo diverso e dunque dovremmo abbandonare il nostro disincanto. Ed è proprio lui, il disincanto, il peggior nemico dell’indignazione. Chi può aiutarci a diminuirlo e a non dire: “tanto andrà sempre tutto allo stesso modo”? Chi può trasformare il disincanto in incanto? Rispondo a questa domanda, pensando ai quadri di Klee, alle tele di Mirò, a Licini, alle installazioni di Olafur Eliasson: la chiave ancora una volta è l’arte.

Quindi per aumentare in noi l’indignazione la mia ricetta è:

  • un corso di risveglio del senso dell’indignazione attraverso le opere d’arte moderne e contemporanee;
  • unito a un incontro metodico e continuo con opere d’arte che risvegliano in noi l’incanto e l’illusione.

L’attività dovrebbe essere condotta in modo sistematico, senza interruzioni, perché è logico: più si alza l’incanto più si abbasserà la disillusione e più forte sarà la nostra indignazione.

 

L’arte è una forma di lusso?

Thomas Struth, Art Institute of Chicago II
Thomas Struth, Art Institute of Chicago II

I musei sono spesso fonte di polemica. Il numero troppo basso di visitatori, sempre commisurato a costi ritenuti eccessivi, è un ragionamento sentito migliaia di volte. Questa volta però la polemica viene dalla Francia, o meglio dal Centre Pompidou di Metz, creato tra 2007 e 2009 ad opera degli architetti Shigheru Ban e Jean de Gastin. Il museo è nato come luogo d’incontro tra la cultura francese e la dimensione della creatività. Si basa sullo spirito del Centre Pompidou di Parigi e ha una sua programmazione indipendente e multidisciplinare, che talvolta si appoggiata anche alle collezioni del fratello maggiore di Parigi.

Centre Pompidou, Metz
Centre Pompidou, Metz

Nel Centro ci  sono, oltre alle sale espositive, un auditorium e un caffè. E’ circondato da giardini. L’architetto Shigheru Ban è un ricercatore, un innovatore, famoso per aver inventato “le case di cartone” . Il museo è costruito interamente in legno coperto con fibra di vetro; il concetto è quello di uno spazio espositivo che possa essere il più modulare ed elastico possibile e che concili l’ambiente esterno con gli spazi interni,  in “un rapporto sensoriale immediato con l’ambiente”.

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Pablo Picasso, Rideau de scene du Parade, 1917

Il Centro è nei pressi della stazione in modo da facilitarne la visita. Risultato: viene poco frequentato (i visitatori si sono dimezzati in tre anni)  e la sua sopravvivenza è a rischio, tanto che il ministro della cultura francese è corso ai ripari annunciando che verranno trasferite a Metz una serie di opere capolavoro dal Pompidou di Parigi ( come le scene realizzate da Picasso per il balletto Mercure, del 1917, oppure alcune opere di Mirò e Dan Flavin). Le opere parigine rimarranno in deposito per un paio di anni. Inoltre è stato assegnato un nuovo finanziamento al Centro di Metz, per 500.000 Euro.

Dunque, la lezione che sembra scaturirne è che per avere visitatori nei musei più periferici occorrono continui rinnovi e soprattutto opere famose che attirino turisti. Mi viene da pensare che questa scelta, quasi forzata, di doversi basare sempre su nomi e opere accattivanti è un po’ come scegliere una borsa firmata. Ma, si sa, il lusso costa caro e va alimentato con  molta pubblicità e giusta comunicazione.

Sylvie Fleury
Sylvie Fleury

Solo così orde di persone si accalcano per vedere una mostra nata, non da una ricerca o dal desiderio di aggiungere qualcosa alla conoscenza, ma solo per lo  scopo di essere un richiamo civetta, un evento da non perdere. Non possiamo fare a meno di domandarci quanto ripaghi in termini di cultura vera questo continuo spostamento di opere per attirare visitatori. Spostamento che crea anche usura nelle opere stesse. Ricordo una professoressa molto snob della facoltà di storia dell’arte dell’Università Firenze che, venti ani fa, aveva l’orrore dei primi  quadri pubblicizzati, per le mostre, sulle fiancate degli autobus e inferocita ci incitava a boicottarle.