Pere al vino

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Mettiamo che siate come me, vi piaccia avere amici in casa, e cucinare  ma quando arrivate a decidere per il dolce avete un probelma con il lievito e le ricette non vengono mai come vorreste. Ecco allora un’alternativa facile che ho sperimentato e funziona:

8 piccole pere Kaiser

150 gr. di zucchero

2dl d’acqua- succo di limone- cannella

1/2 bicchiere vino rosso leggero

Sbucciate le 8 pere lasciando intatti i piccioli, immergetele in acqua (dove avrete spremuto il limone). Mettete in una casseruola 150 gr di zucchero con 2 dl. d’acqua. Fate sciogliere bene lo zucchero sul fuoco basso, poi immergete le pere, unite a piacere cannella e cuocetele per circa 40 minuti ben coperte ( le pere mettetele in piedi) . 10 minuti prima del termine di cottura unite 1/2 bicchiere di vino rosso. Levate le pere dalla casseruola e mettetele in una coppa.

Fate ridurre il sugo a fuoco vivo finché sarà sciroppato e versatelo sulle pere. A questo punto sono già pronte per essere servite.

Contaminazioni

saucisse de ToulouseNe vogliamo parlare? Ma che significa innanzitutto? Il termine è mutuato dal linguaggio letterario: “Fusione di elementi di diversa provenienza nella composizione di un’opera letteraria o simile” (dal Vocabolario della lingua Italiana Treccani). Ora senza voler affatto accomunare la cucina alla letteratura (anche se di operazioni del genere ne sono già state fatte tante e con successo), il termine, però, è molto di moda in ambito culinario. “La cucina è contaminazione, nonché un’arte in movimento che non si può fermare. E di fronte alle correnti di immigrazioni, sempre più le cucine diventeranno un crogiuolo di prodotti, sapori e profumi. La vera cucina italiana sarà quella che riuscirà, ferma sulle proprie diversità culturali dei territori, anche ad aprirsi alla contaminazione” (Il sole 24 ore, 16 giugno 2013).

Forte di questa convinzione ieri sera ho provato ad abbandonarmi alle contaminazioni. Galeotte furono delle lenticchie rosse, regalatemi da una cara amica di origini indiane, e le salsicce di Tolosa acquistate nel supermercato francese.

Che fare di tutto ciò? La cosa più semplice sarebbe stata affidarmi alla “tradizione”: lenticchie alla moda di capodanno e salsiccia in padella… ma no! Troppo semplice e di poco effetto sulla famiglia sempre più esigente.

Dunque l’idea è stata quella di preparare un piatto indiano con riso basmati accanto a salsicce preparate come si fa in Piemonte, con un buon vino rosso corposo.

Il Dhal (che significa semplicemente lenticchia) è uno dei piatti della tradizione vegetariana indiana è una sorta di purè che si ottiene attraverso una lunga cottura della lenticchia che deve sfaldarsi perdendo la propria forma e rilasciando tutto il sapore di cui è capace. Si può gustare da solo o accompagnato dal riso basmati, semplicemente bollito in abbondante acqua salata.

Per il dhal

150 g  lenticchie rosse

1 pomodoro

½ cipolla rossalenticchie rosse

mezzo spicchio di aglio

mezzo peperoncino

½ cucchiaino di tamarindo

6 bacche di cardamomo

½ cucchiaino di curcuma

½ cucchiaino di cannella

cumino

Dopo aver tagliato finemente la cipolla e aver affettato il pomodoro, poneteli insieme  alle lenticchie e a tutte le spezie in 6 dl di acqua. C’est tout, fate cuocere a lungo in modo che le lenticchie di sfaldino. Tenete il tutto al caldo, mentre cuocete il riso basmati.

Passate poi a cuocere la salsiccia

Salsiccia al vino rosso

400 g salsicce

200 g vino rosso

aglio

olio

sale e pepe

rosmarino

Scottate le salsicce, pungetele e portatele a cottura nel vino rosso. Un quarto d’ora dovrebbe bastare.

L’importante è preparare con tutti gli ingredienti un piatto unico: letto di riso, due mestoli di crema di lenticchie e di fianco una bella e succulenta salsiccia…

Ok ora posso affrontare l’inverno!

Dolce autunno

Se cercate tronco di castagne, rotolo di castagne o salame di castagne e via dicendo vi appariranno sul web un bel numero di risultati. Tante ricette sicuramente gustosissime, ma tutte elaborate e complesse. Nessuna delle ricette che ho letto dava le dosi di quello che in famiglia corrispondeva al tronco di castagne, dessert assolutamente autunnale, irripetibile in altri periodi dell’anno, che mia suocera sfoggiava in tutte le ricorrenze più importanti!

Ho detto sfoggiava, sì, perché lei lo faceva alla vecchia maniera, sbucciando le castagne, facendole bollire spellandole con delicatezza affinché non si rompessero, passando così una mezza giornata dietro quella che sarebbe stata la degna conclusione di una cena con i fiocchi!

Io sono un po’ pigra, non ho voglia di buttarmi in complicati procedimenti e soprattutto ho trovato qui i marroni già bolliti e sbucciati… Il risultato è stato che il rotolo di castagne compare molto più sovente sulla mia tavola ed ogni volta ringrazio mentalmente la nonna Nina che lo ha tramandato.

Saltato lo scoglio della preparazione delle castagne il resto è davvero moto semplice.

È necessario avere

500 g di marroni bolliti e sbucciati (quelli già pronti come ho detto vi faranno risparmiare tempo e andranno benissimo)

125 g. di burro

150 g. di zucchero (ma la dose può variare secondo il vostro gusto)

una tavoletta di cioccolato fondente

biscotti sbriciolati (ma io non li metto e ricordo che la nonna Nina li metteva solo se le sembrava le castagne non fossero abbastanza)

un cucchiaio di marsala (ma io non lo  metto)

In una terrina schiacciate con lo schiaccia patate le castagne, aggiungete il burro sciolto con la tavoletta di cioccolato di cioccolato e lo zucchero. Mescolate ben bene aggiungete biscotti e marsala se lo gradite.

Arrotolate il composto nella carta forno e mettetelo in frigo!

Finito!

Quando lo vorrete mangiare a fette spesse potrete guarnirlo con: cioccolata fondente sciolta,

panna zuccherata o panna acidulata mescolata a zucchero a velo!

Non vi rivelerò il contenuto calorico del tronchetto (che è veramente devastante), ma non vi sembra un’opera d’arte?

Ah… non ho fatto in tempo a fare la foto… troppo buono!

Mangia… che ti passa!

Quando penso “a casa” mi accorgo di farlo in differenti modi: innanzitutto il mio pensiero va sempre ai cari che non vedo da tempo, poi mi capita di pensare a quanto è difficile parcheggiare in centro, a quanto è infinitamente più facile scambiare quattro chiacchiere anche con chi non si conosce, a quanto sono fortunata a non dover patire l’afa soffocante di quei giorni d’estate in cui il cielo si trasforma in una cappa lattiginosa, pensieri che, come le onde, vanno e vengono, e si focalizzano su persone, situazioni, sensazioni, ma raramente mi è capitato di pensare “a casa” provando semplicemente nostalgia per i luoghi, forse perché da dove vengo tutto è uniformemente piatto…

Ho sempre ritenuto, dunque, di non provare nulla per i posti in cui ho vissuto gran parte della mia vita, anzi in fondo di non apprezzarli affatto, ma ho sentito una fitta al cuore rileggendo la premessa de La chimera di Sebastiano Vassalli, intitolata Il nulla, in cui l’autore coglie tratti del paesaggio padano che fanno parte della mia storia: “Soprattutto d’inverno: le montagne scompaiono, il cielo e la pianura diventano un tutto indistinto, l’autostrada non c’è più, non c’è più niente. Nelle mattine d’estate, e nelle sere d’autunno, il nulla è invece una pianura vaporante, con qualche albero qua e là e un’autostrada che affiora dalla nebbia…”.

Un po’ di nostalgia di casa mia, sebbene piena di zanzare e risaie, mi è venuta e ho pensato di scacciarla cucinando una specialità, ma visto che il periodo estivo sconsiglia vivamente la preparazione della “paniscia” (risottone con verze, fagioli e salsiccia) mi sono concentrata su un dessert che ha un’origine medievale e che, poiché confezionato con prodotti costosi ed “esotici” veniva donato nelle grandi ricorrenze religiose: l’antico Dolce della cattedrale. Questo dolce é immensamente calorico, deliziosamente gratificante e soprattutto segretissimo, in quanto la ricetta originale, trovata in un manoscritto dell’Archivio Capitolare della città, è stata depositata presso la Camera di Commercio e appartiene alla Fondazione che l’ha scoperta (incredibile vero?).

Però con pazienza e qualche telefonata, la ricetta è stata ricostruita e il dolce può essere sfornato e gustato anche a casa, a questa ricetta “ricostruita” purtroppo sicuramente mancherà il famoso”ingrediente segreto”, ma assaggiato il risultato posso assicurarvi che non se ne sente la mancanza…

500 g di farina

10 uova

300 g di zucchero

300 g di burro

15 g di lievito vanigliato

scorza grattugiata di mezzo limone

300 g di albicocche secche

100 g di prugne secche

100 g di uva sultanina

una mela a cubetti (o anche una pera)

grappa di nebbiolo (sarebbe meglio, ma va bene anche il rum!)

è necessario mettere la frutta secca a bagno per almeno 24 ore nella grappa.

Dividete i tuorli dagli albumi e montate due bianchi a neve con dello zucchero (potrebbe servirvi dopo). Montate tutti i tuorli con lo zucchero finché diventeranno bianchi e spumosi, aggiungete 250 g di farina, il lievito vanigliato, il burro a temperatura ambiente leggermente montato, la scorza del limone e metà della frutta secca. Impastate energicamente (meglio se con un’impastatrice). Dopo che gli ingredienti si saranno amalgamati aggiungete i resto della farina e della frutta. Se la consistenza dell’impasto vi sembrerà troppo dura aggiungete i due bianchi montati a neve con lo zucchero.

Otterrete un impasto piuttosto consistente, cosa che garantirà alla frutta secca, durante la cottura, di non depositarsi sul fondo della teglia.

Mettete il composto in una teglia (26 cm) con i bordi abbastanza alti (ottime quelle che si aprono) imburrata e infarinata e cuocete lentamente per 30/40 minuti in forno con modalità non ventilato a 180 gradi. Il dolce si dovrà dorare.

Se ci riuscite aspettate 24 ore prima di mangiarlo, spolverizzatelo con zucchero al velo e, se ne avete voglia, servitelo con una crema leggera (deviazione dalla tradizione), sennò inzuppatelo semplicemente nel latte (decisamente nella tradizione). Proverete sicuramente quello che generazioni di fedeli hanno provato nel corso del tempo assaggiando questa specialità, che veniva offerta dai Canonici solo nelle festività importanti per condividere concretamente la gioia dei festeggiamenti.

Melanzane alla parmigiana di nonna Anna

“Le melanzane al forno una vera festa: quelle meraviglie purpuree a forma di globo, paffute, allegre e generose come nababbi arabi ardenti dal desiderio di riempirci lo stomaco, così belle e mi veniva da piangere (…)” Così pensa Henry  davanti alla vecchia madre  abruzzese che vive a San Elmo in Colorado nel romanzo di Jhon Fante La confraternita dell’uva (Einaudi, ristampa del 2004, p.67).

Queste parole rievocano il profumo che ci portiamo dietro lasciando l’Italia. Il cibo, le nostre tradizioni culinarie sono sempre presenti  ci seguono come una scia che affiora in molte occasioni. Quel profumo  è senz’altro, per il mantenimento della nostra salute, la miglior aromaterapia.

E a proposito di sapori e profumi ecco la ricetta delle melanzane alla parmigiana delizia che Campania e Sicilia si litigano nella versione di nonna Anna, originaria di Salerno.

Prima di iniziare qualche breve curiosità sul nome, che, contrariamente a quanto può sembrare, non deriva da Parma, né dal formaggio Parmigiano che abbonda nella ricetta. Sembra infatti che esso possa piuttosto derivare dal termine siciliano parmiciana che designa le listarelle che compongono le persiane e che possono ricordare la sistemazione delle melanzane nella teglia, ma molto più probabilmente è figlio di un termine turco che significa melanzana (patlican storpiato in padmigian… del resto la parmigiana di melanzane non è cugina della mussaka?)

Ingredienti

4 melanzane (meglio quelle lunghe e sottili con la buccia scura), 3 uova, farina, 500 g di sugo di pomodoro leggero (un classico sughetto al basilico andrà benissimo), abbondante Parmigiano Reggiano grattugiato, una confezione di mozzarella per pizza, sale e pepe quanto basta, olio per friggere, basilico.

Innanzitutto è necessario far “sudare” le melanzane tagliandole a strisce spesse mezzo centimetro e ricoprendole con sale grosso. Dopo mezz’ora sciacquare le melanzane e strizzarle (questo procedimento serve a togliere il sapore amaro che possono avere). Passarle prima nella farina poi nell’uovo sbattuto con un pizzico di sale e pepe e poi ancora nella farina (un po’ complicato, ma fattibile) e friggerle in abbondante olio bollente.

Una volta fritte tutte le melanzane sistemarle a strati in una teglia nel seguente modo: in fondo uno strato di sughetto di pomodoro, primo strato di melanzane, sughetto di pomodoro, mozzarella tagliata a fettine sottili, abbondante spolverata di parmigianoe poi di nuovo da capo, sughetto-melanzane, mozzarella, Parmigiano Reggiano finché non esaurirete gli ingredienti.

20 minuti nel forno a 180°, finché la mozzarella si scioglie e il formaggio diventa dorato ed é fatta! Meglio servirla calda… ma il giorno dopo è ancora più buona!

Provate la stessa ricetta sostituendo le zucchine alle melanzane… vi si aprirà un mondo!

BUON APPETITO