Chiacchiere del lunedì

In questi giorni le notizie incalzano. Entrano nella mia casa come uragani; prima ci incuriosiscono poi ci lasciano amareggiati e disorientati:  un stupido film dissacratorio su Maometto, causa rabbia e costernazione in tutto il mondo; in Italia il malcostume e gli scandali non si riescono più a contare e, come se non bastasse, la consigliera regionale della Lombardia, Nicole Minetti, ci sfida e ci provoca  sfilando in passerella come una vincitrice raggiante.

La provocazione, e lo sanno bene gli artisti, che la usano, può essere un mezzo per trasmettere il messaggio del proprio lavoro,  ma io comincio ad essere stanca del suo uso smodato e irresponsabile.

Si hanno esempi delle due forme di provocazione anche nella vita quotidiana. A scuola l’insegnante provoca per incuriosire chi l’ascolta  e favorire l’apprendimento. Peccato che poi siamo circondati da provocazioni usate solo a fini  commerciale o, peggio, per affermarsi sugli altri in maniera prepotente. Ecco, queste ultime mi irritano, perché lasciano nella testa solo spazzatura: tutta questa comunicazione sciocca serve solo ad azzera le energie . BASTA, INDIGNAMOCI e rifiutiamo tutto ciò che ci offende ed è prepotente.

Non cerco la  censura, che è una forma di inciviltà,  ma credo che la libertà di espressione si debba confrontare col rispetto degli altri. Confesso che questo flusso di notizie, questo poter andare tutti in onda a dire qualsiasi cosa e sconvolgere il mondo mi mette in subbuglio.

Percepire il passato nel racconto di una storia

C’è un genere di libri che ogni tanto  leggo volentieri che hanno la qualità di portarti lontano nel passato e ti rivelano  un’era attraverso gli occhi di uno scrittore contemporaneo. In questi libri si legge sempre la verità storica unita all’invenzione letteraria,  sono libri di svago, divertono e a volte sono più illuminanti di un manuale.
Da questo genere di romanzi sono nati anche dei film, il più famoso ricorderete La ragazza con l’orecchino di perla tratto dal libro di Tracy Chevalier e incentrato sull’opera del pittore Johnnes  Vermeer.
Quest’estate  dunque ne ho letti tre di questi libri, due pubblicati dalla casa editrice Neri Pozza, l’ultimo edito da Angelo Colla ma scritto dall’editore Neri Pozza.
-Una ragazza da Tiffany di Susan Vreeland
-L’isola dei due mondi di Geraldine Brooks
-Tiziano di Neri Pozza
Tre libri ambientati in luoghi e tempi diversi, il primo ambientato a New York alla fine del XIX secolo ci svela il lavoro nell’atelier  della Tiffany Glass & Decorating Company  e ti immerge nella meravigliosa arte liberty. Mi sono piaciute tutte le descrizioni della lavorazione del vetro , durante il romanzo sembra di assistere alla nascita delle vetrate  opere composte da mille frammenti di vetro colorato.
L’isola dei due mondi invece della scrittrice australiana  Geraldine Brooks ci porta nell’America Settentrionale del 1660. La storia prende spunto   dalla storia vera del primo nativo americano laureatosi ad Harvard. Caleb il protagonista viene  dall’isola che oggi si chiama Martha’s Vineyard. Il romanzo mette a confronto tra l’arrivo della cultura cristiana  con  quella dei nativi dell’isola della tribù wopanaak. Oltre a questo è curioso e avvincente la storia dell’ateneo che nacque veramente nel 1636 con il nome di Università di Newtowne ben presto chiamata Harvard College.
Infine il romanzo forse più dotto e che segue in modo filologico la vita del pittore è l’ultimo libro  dedicato a Tiziano e scritto proprio da Neri Pozza. L’opera, da poco ristampata, venne pubblicata la prima volta nel 1976. Attraverso la vita di Tiziano si viene introdotti nella Venezia del tempo e con le opere di Tiziano e la sua vita ci si avvicina ai grandi mecenati del tempo come Carlo V, Filippo II, papa Paolo III Farnese.
Tre libri molto diversi tra loro,  con una sola cosa uguale: la fatica e le condizioni di vita difficili delle donne : Wilhelmina ad esempio dovrà sacrificare tutta la sua vita privata per poter lavorare nella fabbrica di Tiffany, Bethia  aspirerà tutta la vita a studiare ma le verrà precluso in quanto donna, e infine Cecilia, la moglie di Tiziano alla quale non è risparmiato tutta la vita sudore e fatica.

Chiacchiere del lunedì

La nostra (quella più vicino ai “cinquanta”) è una generazione strana. Siamo quelli che hanno consumato di più, fabbricato di più, viaggiato di più, goduto di più… e non c’è mai bastato, non ci siamo mai accontentati e non ci accontentiamo neppure ora che il nostro mondo sembra fare acqua (anzi no, l’acqua scarseggia!) dappertutto. Le nostre convinzioni più radicate vacillano eppure non ci fermiamo, proiettati (lietamente) verso il baratro. Abbiamo scansato di pochissimo gli anni della contestazione e dell’impegno civile e abbiamo vissuto un lungo periodo di eccezionale prosperità economica, eccezionale vivacità intellettuale e politica, tecnologico ai massimi livelli, decadente e creativo allo stesso tempo. Gli anni di Steve Jobs, di papa Woytila, dei Queen e di Lady Diana insomma non ci possiamo proprio lamentare. Eppure… eppure c’è una cosa che davvero non siamo capaci di accettare: l’ineluttabilità del tempo che passa. Il tempo che scorre, e che non é galantuomo, cerchiamo di fermarlo chi scaramanticamente vivendo la vita dei figli, chi continuando a rimanere legato a cliché uguali a quelli della giovinezza.

– Quante volte ad esempio ci siamo sostituiti ai figli nelle loro scelte, mascherando da consigli quelli che più propriamente erano “nostri” e solo nostri desideri. Quante volte li abbiamo manipolati senza neppure rendercene conto cercando di plasmarli a nostra immagine e somiglianza (e che cos’è questo se non un tentativo di perpetuare all’infinito se stessi?). Atteggiamenti che traduciamo nell’incapacità di “lasciarli andare”.

In fondo sono il nostro specchio e tramite loro continuiamo a  sentirci giovani  e belli un po’ come la matrigna di Biancaneve che ogni giorno la rassicurava sul primato della sua bellezza.

-…e che dire dei “forever young”, i più pervicaci e quelli più a rischio del ridicolo. Quelli legati ad una propria immagine del passato (snelli, naif, atletici o rivoluzionari che dir si voglia) inevitabilmente sbiadita e imbolsita.

Anch’io credo che il gusto e il senso della vita non si trovi lì, quel genere di vecchio va “rottamato”. Io penso ad un altro tipo di vecchio, quello che negli anni ha trovato un giusto equilibrio con il tempo che passa e con il mistero della morte. Solo così la sua conoscenza potrà essere utile alla società e il suo comportamento faciliterà una maggior complicità tra generazioni.

 

La gratiferia sbarca in Europa

Un mercatino delle pulci con verdure… dove ognuno può portare ciò di cui non ha più bisogno, in buono stato s’intende, con banchetti di fortuna o con la merce disposta su teli colorati. Ognuno si arrangia come può.

Ma cosa c’è di differente fra questo mercatino e altri simili in giro per il mondo? Qui la merce esposta è tutta gratuita, ognuno può passare e servirsi di ciò che ha bisogno (anche in questo evidentemente bisogna avere il buon gusto di non presentarsi con i camioncino e il rimorchio!). Assolutamente vietati, non solo la moneta, ma anche gli scambi e i baratti.

Nata in Agentina, quella della gratiferia non é una semplice moda dettata dai tempi difficili, ma una vera e propria filosofia. È la parte più visibile di un movimento socio politico culturale ed economico in cui, attraverso la liberazione dall’eccesso materiale, si raggiunge la felicità di tutti: « un mercato in cui nessuno si riempie le tasche, ma allo stesso tempo nessuno va via a tasche vuote » come recitano i sostenitori della gratiferia.

Ariel Rodriguez Bosio autoproclamatosi padre spirituale di questa nuova forma di fiera afferma in un video postato su YT che tale idea intende portare alla « liberazione materiale » al fine di sganciarsi « dalla oppressione del sistema economico ». Far « girare » ciò di cui non abbiamo più bisogno, ma che potrebbe servire ad altri, combattendo la tendenza ad accumulare senza sosta qualsiasi bene materiale, sul lungo periodo minimizzerebbe l’impatto ambientale che la domanda di beni e la conseguente produzione determina, e produrrebbe un beneficio anche a livello ambientale con un minore volume di rifiuti.

Il movimento si sta espandendo a macchia d’olio dal sud America è giunto negli Stati Uniti, in Canada e ultimamente è sbarcato anche nel Vecchio Continente.

Una cosa è certa, ovunque si parli di gratiferia l’accento cade sullo scambio di beni « attraverso l’amore », questi mercatini sono un luogo in cui si dona per il piacere di farlo non in attesa di una contropartita, un concetto un po’ decaduto nella nostra società.

Utopia o le cose stanno davvero cambiando?

Chiacchiere del lunedì

Michelle, Barack e l’America

Ce lo siamo studiato a fondo il discorso di Michelle Obama alla Convention democratica. Una vera opera d’arte. Il Washington Post lo ha definito il più devastante attacco al candidato repubblicano Romney, che nel discorso non viene nominato nemmeno una volta.

Così abbiamo commentato:

– Il discorso di Michelle Obama, sicuramente scritto da un ghost writer eccezionale, sulle prime è sembrato a chi lo ha ascoltato, il discorso di una donna innamorata del proprio compagno e lontano miglia dai riflettori della politica. Michelle ha parlato del presidente in quanto marito e uomo ricordando le umili origini di entrambi e il duro lavoro fatto da loro stessi e dalle loro famiglie per arrivare al vertice. Obama insomma ne esce marito fedele e padre ineccepibile, incarnazione del “sogno americano”. Tuttavia dietro a tutto ciò c’é, trovo, una precisa volontà politica: quella di porre Obama in contrapposizione al candidato repubblicano, che al termine del discorso di Michelle ne esce come una persona privilegiata, nato in una famiglia ricca, lontana dai problemi degli americani, che non ha dovuto lottare per la realizzazione dei propri sogni, e tutto ciò senza nominarlo una sola volta! Geniale…

-Siamo d’accordo, brava Michelle. Mi piace tanto questa donna: sicura come una guerriera, non vive né all’ombra del marito né in competizione con lui, insieme fanno squadra. Questa coppia mi convince anche perchè mi è sembrato che la loro relazione non  esclude gli altri, e quindi  nella loro storia c’è ancora posto, cosa rara in questi giorni, per le loro radici e per i nonni.Quando ha detto che suo padre malato ogni giorno le sapeva donare un sorriso mi ha ricordato il sorriso e la malattia di mia madre, e poi quando ha  affermato  che il punto per Obama non è quanto guadagna ma la differenza che riesce a fare nel migliorare la vita degli altri mi ha fatto pensare a mio marito e al suo impegno in Africa.  A questo punto per poco non mi commuovo ormai ipnotizzata dall’ottima comunicazione politica e dalle potenti onde  del video.

– Si, si tutto vero, ma che volpona!!! O meglio, che volponi quelli dello staff del presidente. Se hanno fatto salire le lacrime a te che neanche voti, pensa a quanto sono state dirompenti le parole della First Lady sulle masse di americani e americane. Brava, brava, ma a me viene sempre in mente il film Le Idi di Marzo. I responsabili della comunicazione nulla lasciano al caso, nessuna spontaneità è ammessa (sebbene pubblicamente esibita attraverso il sorriso di Michelle)… del resto questo è il gioco della politica! Forse sono troppo cinica? Comunque di donne come Michelle. o Illary (non la moglie di Totti… la Clinton) ne avremmo veramente un  gran bisogno!

-Preferisci i responsabili della comunicazione di Ann Romney quando le fanno affermare: “(…) come mio marito mi riportò sana e salva a casa dopo il nostro primo ballo così accompagnerà l’America fuori dalla crisi”.

– … senza parole!

Tacheles di Berlino

Vi raccontiamo oggi la storia del Tacheles (da una parola yiddish che significa “parlare chiaro”) di Berlino, centro sociale, galleria d’arte autogestita e rifugio di decine di artisti fin dalla caduta del muro di Berlino, luogo in cui fino ad oggi trovavano posto circa trenta di atelier, un cinema, un teatro e un ristorante dove un’ottantina di artisti di diverse nazionalità hanno liberamente creato ed esposto le proprie opere d’arte, esso è stato anche set per il film Goodbye Lenin. Il Tacheles richiama ogni anno circa cinquecentomila visitatori.

L’edificio di cinque piani in stile neo classico con elementi neo gotici, che occupa una superficie di 1250 mq, fin dai tempi della sua costruzione, ha vissuto una storia difficile.

Nato come elegante centro commerciale nel 1909, dopo essere andato in bancarotta è stato utilizzato nei più svariati modi. Con il regime nazionalsocialista diventò un centro amministrativo e durante la seconda guerra mondiale, si racconta, che all’ultimo piano venissero eseguiti gli interrogatori dei prigionieri di guerra.

Alla fine del confitto il centro si trovò a far parte di Berlino Est e le autorità ne smantellarono alcuni pezzi, ma non lo ristrutturarono per mancanza di fondi.

Dopo la caduta del muro, l’edificio passò nelle mani del comune di Berlino e molti artisti ne fecero la loro casa, rendendolo, sebbene fatiscente, una vera e propria opera d’arte, e divenendo in breve tempo un baluardo dell’arte alternativa.

Il Tacheles è stato a più riprese dalle autorità di Berlino considerato un modo alternativo sì, ma comunque sano di riqualificazione urbana, e finora questo era bastato a salvarlo da suo destino. Una volta venduto però, dopo anni di lotta fra la proprietà e gli occupanti, oggi si è arrivati alla fine della vicenda con lo sgombero definitivo dell’edificio per fare posto ad un nuovo quartiere residenziale.

Gli artisti del Tacheles, sono stati costretti ad abbandonarlo non senza pronunciare però parole dure contro l’amministrazione pubblica e contro la proprietà.

Di questi artisti purtroppo ci resteranno solo le parole: “L’arte deve cambiare il mondo e il Tacheles lo ha fatto!”.

First World Problems

Vorrei bermi un caffé in terrazza, ma non c’è wifi…

Non si può guardare la TV si sono scaricate le pile del telecomando…

Non c’è niente da bere… tranne l’acqua

Il libro che ho ordinato è arrivato in tre giorni invece che in due…

Ho dimenticato di portare con me il Kindle e sono triste perché non posso neppure leggere il libro sul mio Iphone…

Queste non sono freddure, sono solo alcuni dei milioni di First World Problems che ci poniamo ogni giorno.

First World Problems, detti anche White Whine sono quel bagaglio di inutili frustrazioni e lamentele che affliggono noi privilegiati che non eravamo distratti quando hanno assegnato il luogo in cui nascere: i cosiddetti paesi ricchi!

Se ci ascoltiamo parlare attentamente sono centinaia i falsi problemi che ci tiriamo dietro, problemi che ci fanno vivere male nell’ansia e nella frustrazione.

Una bella e divertente carrellata la troviamo su diversi blog (blog 2) in lingua inglese, ma basterebbe ascoltarci con attenzione per coglierne di esilaranti anche nella nostra vita quotidiana.

Intanto alcuni pazzi ne hanno fatto un «quasi musical»

Nel buio delle scarpe strette

RIENTRARE è il verbo che meglio descrive le azioni del mese di settembre. Si appendono le ciabatte colorate, gli zoccoli per chi ancora li porta e i piedi rientrano nel buio delle scarpe strette.

Eccoci qua, dopo una lunga pausa trascorsa in transito nelle città italiane, un po’ in vacanza un po’ in giro ad inseguire parenti e figli, siamo tornate.

Sintesi di ciò che abbiamo visto e che abbiamo imparato:

– Per cominciare le scarpe: non c’è dubbio che quest’anno ne vedremo molte con le borchie e ancora una volta molte con le zeppe trampolate da vertigini.

– Tra gli artisti d’arte italiani che più sono stati acclamati all’estero quest’estate senz’altro Giuseppe Penone è stato il numero uno (presente in Germania a Documenta di Kassel prossimamente aprirà una mostra personale a Londra alla Whitechapel).

– L’Italia si divide tra chi preferisce mangiare i fichi con il prosciutto e chi sceglie il salame.

– Purtroppo, come previsto, il romanzo 50 sfumature di grigio, che è stato un successo di pubblico e ora anche di adolescenti, ce lo ritroveremo anche al cinema (vedi la nostra recensione del 6 luglio scorso)

– L’ultimo film di Woody Allen To Rome with love,  dedicato all’Italia  è stata la grande delusione degli italiani che in quei personaggi proprio non si ritrovano, ma all’estero cosa ne pensano? come ci vedono?

– In estate sono state concepite  alcune mostre interessanti che hanno messo in parallelelo l’arte contemporanea con l’antico, due di questo genere molto interessanti sono state:  Riotus Baroque, da Cattelan a Zurbaran alla Kunsthaus di Zurigo (chiude domani 2 settembre) e Messerschmidt and Modernity Paul Getty Museum di Los Angeles (visitabile fino al 24 ottobre).

– È umanamente impossibile mangiare più di 40 cm di pizza al metro a testa (test effettuato con la collaborazione di maschi adolescenti)

– Intanto i musei in Italia cercano di non lasciarsi sopraffare dalla crisi, un bel esempio il Man di Nuoro un centro d’arte contemporanea importante per qualità e ricchezza di contenuti.

– Tornate alla base e rivisto i primi vestiti per l’autunno siamo state sopraffatte dal colore arancione.

– Le ciabattine infradito sono comode sulla sabbia, ma inevitabilmente si disassemblano sugli scogli, procurando al malcapitato bagnante ematomi e graffi di varia gravità.

– In alcune zone d’Italia, per fortuna, la raccolta differenziata è stata presa così seriamente che bisogna avere una laurea per dividere la prorpia spazzatura correttamente. La pena è scavare alla ricerca del tappo perduto nel proprio sacchettino di porcherie.

– Gi amici ti salvano la vita…

Un angelo alla mia tavola

Sempre pensando se l’arte è un percorso privilegiato dell’esistenza mi domando se, chi possiede una particolare sensibilità artistica, oltre a sentirsi escluso dal sentire comune può, in qualche modo avvicinarsi a delle esperienze che non sono lontane dal trovare la felicità. Sono molti gli esempi nell’arte che vengono in mente e sappiamo bene come, per alcuni artisti questa sensibilità sia stata un fardello troppo grande che li ha schiacciati, pensiamo a Van Gogh. Ci sono però anche artisti  che hanno fatto del loro sentire e del loro “squilibrio”  un punto di forza come  l’artista giapponese Yayoi Kusama che per tutta la vita ha prodotto dei lavori che sono come un’espansioni delle sue ossessioni. Elementi puntiformi, sferici linee curve che si ripetono all’infinito si moltiplicano e si espandono fino a comprendere lei e noi  nello spazio.

Proprio poco tempo fa  mi sono imbattuta in un bellissimo libro dal titolo Un angelo alla mia tavola della scrittrice neozelandese Janet Frame. La scrittrice scomparsa nel 2004 ha fatto dello scrivere la ragione della sua sopravvivenza. Questo libro  autobiografico (in verità sono tre volumi ma pubblicati in uno solo con quel titolo per l’Italia da Neri Pozza) racconta tutta la sua vita segnata dalla schizofrenia (in realtà presunta dai dottori e poi sconfessata). Un fatto devastante, che l’ha condotta a trascorrere parte della sua vita  dentro e fuori gli ospedali psichiatrici. Anche in questo caso l’arte l’ha salvata e scrivendo ha trovato la strada di fuga dal dolore.

Il libro non racconta solo di questo  ma scorre tanti episodi dall’infanzia, alla povertà,  i dolori della crescita prima con la morte della sorella e poi l’orrore dell’ospedale psichiatrico, il tentativo di suicidio e il ritorno alla casa paterna.

Senz’altro Frame è una delle più grandi scrittrici della seconda metà del Novecento Janet Frame per due volte nominata per il Premio Nobel ci fa entrare nela sua vita in modo secco e diretto che ti tiene legato a lui fin dalle prime pagine.

Dal libro è stato anche tratto un film della regista Jane Campion.

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… ci piace

Ci piace, ma si poteva fare di più, l’accordo sottoscritto ieri a Ginevra per tentare di normalizzare la situazione della Siria. Sebbene Kofi Hannan, negoziatore fra le parti in causa avesse suggerito una più severa risoluzione dell’ONU che favorisse la transizione a un governo nazionale, impedendo ad Assad di parteciparvi, il veto di Mosca ha fatto fare marcia indietro, dimostrando i troppi interessi della Russia in Siria.
Finalmente, sebbene viziata da questo compromesso, pare che la comunità internazionale si sia accorta delle stragi e delle centinaia di morti che questo strascico della “primavera araba” ha creato in quella regione.