Tabula rasa

Secondo la stima delle Nazioni Unite il “35 per cento delle donne nel mondo ha subito una violenza psicologica e/o sessuale da parte del partner o di un’altra persona”.

Si parla naturalmente di una stima che viene calcolata per difetto, a causa della difficoltà di reperire dati più precisi, poiché ovunque nel mondo questo è un reato che le donne tendono a nascondere. Lo choc, la vergogna, i pregiudizi portano molte vittime a non denunciare, a tacere, a tentare di dimenticare senza riuscire a metabolizzare uno dei crimini più odiosi e vili che si possano perpetrare.

Questo numero poi aumenta vertiginosamente se con violenza sessuale denominiamo anche quelle “molestie” che tutte prima o poi abbiamo subito, riassunte in modo meraviglioso nella famosa foto di Ruth Orkin An american girl in Italy, che, sebbene scattata ad arte, rende perfettamente il disagio e l’imbarazzo in cui si viene catapultate dalle “attenzioni particolari” non richieste.

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Molti artisti si sono confrontati con la violenza sessuale sulle donne, percepita oltre che come atto di intollerabile brutalità, come espressione dell’abuso di un potere (fisico, economico, sociale, poco importa) nei confronti di chi si trova in una posizione di subalternità.

Alla White Cube di Bermondsay a Londra l’artista colombiana Doris Salcedo (presente nella galleria dal 28 settembre all’11 novembre 2018) espone la sua personale riflessione sul tema della violenza sessuale.  Nella sua essenzialità l’istallazione esibita ha una potenza evocativa devastante. Nell’ambiente completamente asettico della North Galleries sono disposte cinque nuove sculture dell’artista che fanno parte della serie intitolata Tabula rasa. Si tratta di cinque tavoli in legno di differenti fattezze e misure, i quali, tutti, all’apparenza, potrebbero far parte dell’arredamento di una normale cucina. Tutti potrebbero essere il tavolo sul quale si consumano i pasti ogni giorno. Oggetti quotidiani, dunque, che come ogni oggetto della nostra quotidianità, dà sicurezza, parla di routine consumate nella vita della famiglia. Ma questi tavoli, questi oggetti della quotidianità, hanno subito un brutale trattamento e sono stati completamente distrutti e ricostruiti dall’artista. Ad ognuno di essi con colla, chiodi, vernice e quant’altro la Salcedo ha poi cercato di ridare l’immagine e la consistenza primitiva. Il risultato è che apparentemente i tavoli sembrano in perfetto stato, ma man mano che ci si avvicina si scoprono le imperfezioni della ricostruzione, le parti mancanti, le schegge, la giustapposizione dei frammenti… I tavoli hanno solo la parvenza di completezza e interezza, in realtà dopo la riparazione sono rimasti profondamente deboli, fragili, fissurati, delle vere e proprie “mappe dei danni riportati”. Metafora della perdita di identità e del senso fratturato di sé che si prova dopo aver subito una tale violenza, questi tavoli sono “l’unica risposta possibile di fronte all’assenza irreparabile con la loro incompletezza, mancanza e vuoto” (da un’intervista con l’artista).

La Salcedo per poter affrontare quest’opera, per poter comprendere e trasmettere cosa si scatena nell’animo di una donna violata, ha parlato con centinaia di vittime provenienti soprattutto dal suo paese, la Colombia, in cui lo stupro sistematico per decenni ha accompagnato la lotta delle varie fazioni in guerra. L’artista in un’intervista ha affermato: “Più parliamo con loro, più ascoltiamo, più riconosciamo questa esperienza e l’importanza di essa, meno si verificherà (in futuro)”.

In attesa che ciò accada, finalmente, è fondamentale che non si spengano i riflettori sulla violenza, che la condanna sia unanime e senza appello, che si resti vicino alle vittime, che si dia loro la voce e il coraggio per poter denunciare.

Di strada ce n’è tanta da fare…

Architettura brutalista e Andreas Gursky

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Le città sono fatte di storie. Storie passate, recenti  o già segni di un prossimo futuro. Guardi un palazzo , una piazza, una nuova scelta urbanistica e la lettura che ne trai  non cessa mai di sorprenderti. Anche le periferie più desolate sono là per raccontarti come sono state pensate , quando e perché.
È questo che pensavo quando sono stata a visitare la rinnovata Hayward Gallery a Londra. Una galleria che si trova dentro il Southbank Centre . Una grande costruzione in cemento inaugurata nel 1968 che rientra nell’architettura – come dicono gli inglesi e i francesi – brutalista (dal francese brut, ossia grezzo, dato l’ampio uso di cemento grezzo).

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Andreas Gursky,Les Mées,2016

 La galleria è da poco riaperta con una bella mostra dedicata al fotografo Andreas Gursky. Ci sono grandi fotografie che ripercorrono il suo lavoro: sconfinati paesaggi, folle di persone o grandi immagini che giocano tra pittura e fotografia .

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Andreas Gursky, Hayward Gallery, Londra
Guardo le opere  ma non riesco a staccarmi dalle forme architettoniche del museo : così nette, solide, essenziali come una scultura di Eduardo Chillida .
Bella questa storia di Londra, bella l’architettura brutalista .

Arrivano i robot

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Spillikin, Pipeline Theatre, Londra

Chi prevede il futuro ci ha avvertiti: i robot faranno sempre più le medesime cose che facciamo noi. Non sono un’esperta ma basta leggere le notizie che circolano in rete e lo si capisce bene. A Londra ad esempio in questi giorni, ha fatto scalpore il robot attore che recita al Pipeline Theatre nello spettacolo Spillikin.

Non pochi si domandano se saranno loro a comandare su di noi e in quanti lavori arriveranno a sostituirci. Qui in Svizzera invece la questione è affrontata da un altro punto di vista. Infatti l’avvocato e professore di diritto ginevrino Xavier Oberson, sul quotidiano Le Temps, ha argomentato sulla necessità che i robot debbano essere tassati.Stagno-classico-Vento-Fino-Giocattoli-Robot-Giocattolo-D-epoca-per-I-Ragazzi-Bambini-Regalo-Di-Natale

Insomma, se questa rivoluzione tecnologica è in atto, occorre comunicare a pensare a delle tasse che possano sostenere lo stato sociale futuro senza frenare l’innovazione.

Questo problema non ha ancora trovato una soluzione. Per il momento è stato chiesto al Parlamento Europeo di pronunciarsi sulla creazione d’uno statuto giuridico per i Robot. Norme che possano mettere ordine su robot e intelligenza artificiale. Staremo a vedere cosa ci riserva il futuro.

Thick Time

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Ho sempre sospettato chi afferma:l’arte innanzitutto deve sapermi emozionare. Forse perché l’emozione è un moto che dura un attimo ed è troppo legato alla sfera affettiva.

Malgrado questo, cerco il suo significato sul dizionario : emozione, sentimento molto intenso, come paura, gioia, angoscia che può provocare alterazioni psichiche.

Un’opera d’arte può causare un’alterazione psichica? cerco di capire meglio, leggo che tra i vari fenomeni causati dalle alterazione psichiche si trova  l’iperprosessia ovvero un aumento nell’attenzione e l’ iperestesia ovvero un aumento delle percezioni e infine un aumento di euforia. Queste tre singole funzioni le riconosco, le ho provate e anche se non sono tutto, sono valide compagne nel campo dell’arte.

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William Kentridge, The Refusal of Time, 2012

Ho provato qualcosa del genere in questi giorni quando ho avuto la fortuna di andare a visitare la mostra di William Kentridge alla Whitechapel Gallery di Londra. La mostra si intitola Thick Time ed è eccezionale. Si compone di sei installazioni e chi conosce l’artista sudafricano, lo sa, nel suo lavoro  tutte le arti si fondono assieme: teatro, disegno, performance, letteratura, collage, poesia, cinema, danza sono i suoi strumenti e li dirige come un pittore il suo pennello. L’installazione, che vi accoglie all’entrata, si intitola The Refusal of Time, è un lavoro del 2012 ed è dedicato al tempo. Kentridge in dialogo con  lo storico scienziato Peter Galison  mette in discussione tutto il nostro modo di scandire il tempo, le ore, il giorno e la notte. Un modo che  sembra  avere come unico scopo  lo sfruttamento delle risorse della terra e delle persone.

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William Kentridge, Second-Hand Reading, 2013

William Kentridge è un uomo sapiente ed intelligente, con il suo modo di raccontare le storie mi ha fatto trascorrere una mattinata bellissima. Esilarante è l’opera Right Into Her Arms dove in una storia di desiderio e amore, ho visto la tela di un quadro cercare di conquistare il cuore di un’altra tela,  tutta l’azione  avviene  su una specie di teatrino che mi ricordava l’opera dei pupi di Palermo.

William Kentridge è andato sulla luna con l’inchiostro e una semplice tazza di caffè nel suo cortometraggio Journey to The Moon , io ho potuto toccare la luna attraverso i suoi lavori.

Scivolate ardite

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Anish Kapoor, The orbit

Non era la prima volta che un opera d’arte da collocare in una città creava scompiglio e polemica, ma nel 2012, quando Anish Kapoor realizzo’ la torre  Arcel Mittal Orbit, i detrattori dell’arte contemporanea si scatenarono: una torre altissima (115 metri), tutta in metallo (Arcelor Mittal è il più grande gruppo industriale dell’acciaio a livello mondiale), veniva eretta a Londra per celebrare i giochi olimpici. Kapoor aveva in effetti sfidato l’idea stessa di monumento prendendo spunto (quasi rendendogli omaggio) dal progetto di Torre -monumento alla terza internazionale, mai realizzato, opera di Vladimir Tatlin (1919-1920). L’opera era concepita per rimanere come simbolo e memoria dell’evento sportivo.

Adesso la torre cambia vita. L’artista belga Carsten Holler la userà per installare uno scivolo curvilineo che raggiungerà l’altezza di 178 metri (certo: il più alto del mondo!). La cosa sembra condotta in accordo con lo stesso Kapoor (lo ho letto sul Corriere della Sera del 27 aprile ultimo scorso). Lo scivolo sarà un grande tubo: prepariamoci a compiere folli discese. L’opera verrà inaugurata il 24 giugno prossimo.

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The Slide, Carsten Holler

Offrendo un’ emozione così forte, la torre riuscirà adesso a diventare una volta per tutte il simbolo di Londra?

Quando l’opera d’arte si può toccare…

photo-originalSi stima che nel mondo ci siano circa 300 milioni di non vedenti o ipovedenti. A tutti costoro è lampante che sia preclusa l’emozione trasmessa da un’opera d’arte visuale attraverso il senso che viene più enfatizzato quando si parla di arte: la vista.

In questo campo si può ovviare alla mancanza della vista attraverso esperienze che richiedono l’utilizzo di differenti sensi e che indubbiamente arricchiscono l’esperienza cognitiva dell’opera d’arte anche per un amante vedente dell’arte.

Un servizio che viene già offerto da diversi musei e gallerie (alla Tate e al Victoria and Albert Museum di Londra, per citarne due) è il cosiddetto Touch Tour che permette di avere un’esperienza tattile della scultura o dell’architettura toccando l’opera d’arte per coglierne la forma, la massa e la struttura.

Per rendere fruibile ai non vedenti anche la pittura dei grandi maestri la 3DPhotoWorks, di Chatham, New York, ha consacrato gli ultimi  sette anni di studi a trovare una soluzione che consenta ai non vedenti di “vedere”  l’arte, utilizzando uno dei sensi più sviluppati nella condizione di cecità: il tatto. Attraverso lo sviluppo ad hoc della tecnologia della stampa 3D, la ditta statuitense ha creato copie con lunghezza, larghezza, profondità e consistenza tali da creare un’immagine mentale del capolavoro attraverso la sua ispezione tattile. Accanto alla stampa 3D, che regala la dimensione dell’opera d’arte, sono inseriti nelle riproduzioni sensori che attivati dal contatto accrescono l’eperienza con musica o spiegazioni vocali per trasmettere al fruitore l’emozione del colore. Attualmente 3DPhotoWorks sta facendo una campagna di crowdfunding per trovare i fondi da destinare all’affinamento del progetto, che vorrebbe distribuire fra i musei e le gallerie d’arte in breve tempo.

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Arte o moda?

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hnE’ lontano il tempo in cui l’arte viveva distante dal mondo del lusso e del glamour. Oggi chi visita una mostra, una biennale, o una fiera verrà spiazzato, perché il pubblico di oggi partecipa all’arte come fosse un gran premio. Un giovane artista italiano, di cui non faro il nome, ma che sta avendo successo e notorietà, mi confessava di essere molto affaticato a causa del dover essere sempre nel posto  giusto e con le persone giuste: addirittura, affermava che alcuni stilisti famosi gli forniscono gli abiti perché ormai gli artisti fanno tendenza. C’è da chiedersi quando si oscureranno le luci della ribalta e torneremo a guardare di più alla sostanza dell’arte.  Questa riflessione mi è venuta in mente proprio oggi che si è aperta a Londra Frieze art una delle più importanti fiere dell’arte nel mondo e dalla notizia che la galleria Nelly Nahmad di Londra propone per la fiera uno spazio diviso in tre installazioni intitolato The Asylum, ispirato ai manicomi visitati da Jean Dubuffet negli anni Quaranta.

Jean Dubuffet, in quegli anni, dopo le atrocità della guerra, dopo il passaggio delle avanguardie, andava ricercando il senso profondo dell’arte negli spazi dove l’arte si faceva per necessità di esprimersi, anche senza la consapevolezza che fosse arte.  Da questa esperienze Jean Dubuffet conio’ il termine art brut. La galleria ha ricreato alcuni ambienti di questi manicomi; l’idea può apparire curiosa ma non si allontana molto dall’impresa di creare una vetrina per lo stand.

Miroslav Marsalek
Miroslav Marsalek

L’ Art Brut l’ho trovata invece in questi giorni al Centre d’Art Contemporain di Ginevra. Qui l’entusiasta direttore Andrea Bellini ha presentato per la prima volta l’opera di Miroslav Marsalek, un artista cecoslovacco la cui opera è degna dello spirito di Jean Dubuffet . Artista autodidatta, disegnatore e scrittore, Miroslav Marsalek ti scuote; qualcuno ha detto che alcune sue figure ricordano il tratto di Pontormo. La sua creazione dilaga come i  suoi scritti che invadono le pagine del suo diario. Bellissima scoperta, il suo lavoro è la perfetta fusione di arte e vita. Le sue annotazioni, i suoi schizzi sono veri e genuini e appena mi sono trovata davanti al suo lavoro  ho sentito che le luci si stavano abbassando: era proprio il  clima che andavo cercando.images-1

Arte e impegno politico

Renato Guttuso, Crocifissione, 1941
Renato Guttuso, Crocifissione, 1941

Usare il proprio lavoro per provocare e opporsi al regime politico vigente non sono una novità per l’arte contemporanea. Pensando all’Italia mi è venuto in mente la Crocifissione di Renato Guttuso del 1941 dipinta per denunciare gli orrori della guerra, da vedere secondo le sue stesse parole “(…) come il simbolo di  tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee”.

Josef Beuys
Josef Beuys

La politica fu strettamente legata al concetto di arte anche nell’opera di Joseph Beuys. Le sue idee politiche si ritrovano in molte sue installazioni. Come artista credeva nel ruolo dell’educazione e lanciò l’idea della Libera Università internazionale per la creatività e la ricerca interdisciplinare. La Libera università doveva “riattivare i valori della vita sepolti sotto l’indifferenza, l’assuefazione , la delusione, l’aggressione la distruzione dell’ambiente, guerre e violenze, ridando loro vigore proprio attraverso l’interazione creativa paritaria tra insegnante e allievo”.

Ai Weiwei nel suo studio di Bejin
Ai Weiwei nel suo studio di Bejin

Ci sono artisti in cui arte e vita coincidono. Ne consegue che per alcuni l’impegno politico è inscindibile dal concetto di arte. È il caso di Ai Weiwei, attivo nel campo della scultura, dell’installazione, dell’architettura, della fotografia e del video, di cui è possibile vedere una bella mostra monografica a Londra, alla Royal Academy. Attivista apolitico, dissidente nei confronti del governo cinese, ha pagato con la prigione la propria libertà di opinione e la spinta di denuncia Ai Weiwei è considerato oggi una delle personalità artistiche più rilevanti del panorama contemporaneo.

Terra e cielo, sapere e luce a Londra: la mostra di Anselm Kiefer

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Anselm Kiefer, The Orderes of the Night,1996

Abbiamo tempo fino al 14 dicembre per andare a vedere alla Royal Academy la mostra dedicata all’opera di Anselm Kiefer. E’ un’occasione straordinaria. Se qualcuno non conosce questo artista tedesco verrà colto da stupore e meraviglia. Questo, almeno, fu ciò che accadde a me in occasione del mio primo impatto con l’opera di Kiefer: era il 1997 e lui era esposto a Venezia, a contatto con le opere antiche, dentro al Museo Correr. Allora pensavo che la pittura – nonostante ne avessimo vissuto il ritorno, attraverso il movimento della transavanguardia – facesse una gran fatica ad esprimere qualcosa di nuovo e coinvolgente. Invece le grandi superfici di Kiefer, le sue tele terrose, fatte con tracce di piombo, le bruciature, i ramoscelli di ulivo, mi fulminarono. Le sue opere erano superfici materiche (per usare un termine caro al mio professore Enrico Crispolti, quando ci spiegava l’opera di Alberto Burri). Ma in Kiefer c’era dell’altro: quelle pitture erano impasti non solo di materia ma anche di memorie, rese presenti con collage e fotografie.

Anselm Kiefer,
Anselm Kiefer, Nigredo

Nelle opere di Burri è la sola materia a parlare. Con Kiefer, la materia è la strada per far affiorare delle immagini che sembrano lontane nella memoria. E’ così che le tele raffigurano grandi spazi vuoti industriali, non riconducibili a nessun luogo e prive di ogni essere vivente; oppure mostrano semplici grumi di terra crettati o campi segnati dal limitare dell’orizzonte. Dentro i grandi quadri appare la figura umana: in opere come Sternbild (Star picture), del 1996, si rimane addirittura senza parole, vedendo che il corpo umano posto nudo e in orizzontale è immerso nell’immensità del cielo stellato, diventando tutt’uno con l’universo. Terra e cielo, materia e spirito, sembrano i temi toccati dall’artista. Vi è anche il tema del sapere tradotto in immgini, con i libri rappresentati come una luce che si irradia velocemente e si espande nell’universo. Oggi le opere di Anselm Kiefer sono diventate un classico: il suo lavoro sembra davvero destinato a restare nel tempo.

Insomma questa mostra non è da perdere e se c’è qualche italianointrasito a Londra la consiglio vivamente.

Frieze Art Fair 2014

Front-Cover_1024x1024Fra il 15 e il 18 ottobre chi avrà la fortuna di trovarsi a Londra potrà recarsi alla Frieze Art Fair 2014, la dodicesima edizione della fiera d’arte contemporanea londinese promossa e organizzata dagli editori dell’omonima rivista Frieze.

Quest’anno saranno presenti alla fiera 162 fra le maggiori gallerie di arte contemporanea del mondo che esporranno le opere di artisti provenienti da 25 diversi paesi, confermando il trend acquisito nel tempo che vede la fiera divenire di anno in anno sempre più prestigiosa e famosa nel campo dell’arte contemporanea.

Quest’anno a Frieze Art Fair ci saranno due sezioni distinte: la prima, Focus, dedicata a quelle gallerie che presentano progetti specificamente concepiti per la fiera e Live dedicata alle performance e alle opere di arte partecipata. I sei artisti e le rispettive gallerie che parteciperanno a questa speciale sezione sono: Robert Breer (gb agency, Parigi); Franz Erhard Walther (Galerie Jocelyn Wolff, Parigi); Tamara Henderson (Rodeo, Istanbul); Adam Linder (Silberkuppe, Berlino); Shanzhai Biennial (Project Native Informant, Londra); United Brothers (Green Tea Gallery, Iwaki, Giappone). I progetti di questi artisti faranno parte integrante dell’architettura della fiera e saranno presenti sia negli stand sia negli spazi pubblici.

Un’altra sezione della fiera che non si terrà in Regent’s Park, ma in giro per l’intera Londra è quella intitolata Frieze Projects, che quest’anno si concentrerà su quegli artisti le cui opere creano legami con altre discipline quali la danza, la musica e il cinema.

Ma ancora Frieze Art Fair è: un premio per il migliore artista emergente (quest’anno assegnato a Mélanie Matranga; un premio per la galleria che presenterà lo stand più innovativo di questa edizione (Frieze Stand Prize); Frieze Film con una serie di film presentati durante la fiera e commissionati a giovani artisti; Frieze Talks, una serie di lezioni magistrali, dibattiti e conversazioni sui temi più scottanti dell’arte contemporanea. Infine Frieze è anche Sculpture Park, in cui il visitatore può godere di una notevole quantità di opere in open air