I libri di Anselm Kiefer

Per chi pensa che il rapporto fra l’arte di Anselm Kiefer e la letteratura sia solamente una questione di supporto cartaceo, consiglio una visita alla mostra Anselm Kiefer Livres et Xylographies, alla Fondation Jan Michalski pour l’écriture et la littérature di Montricher, nella Svizzera Romanda.

Ma prima di addentrarsi nel mondo dell’arte di Kiefer è necessario parlare brevemente del luogo in cui la mostra trova spazio. La Fondazione Jan Michalski infatti è un assoluto gioiello nel suo genere. Creata da Vera Michalski-Hoffmann in memoria del marito, per celebrare il loro profondo amore per la letteratura, e realizzata dagli architetti Mangeat & Wahlensi, si pone il compito di favorire la creazione letteraria e promuovere la lettura attraverso azioni culturali e avvenimenti ad hoc, mettendo a disposizione una biblioteca multilingue di oltre 65.000 volumi, un premio di letteratura annuale e la possibilità, concessa agli scrittori, di risiedere presso la fondazione per trovare ispirazione e sostegno.

Tutto in questo luogo, dalla posizione ai piedi del Jura Svizzero – con una vista mozzafiato che spazia sul Lemano fino alle alpi – all’architettura – che prevede moduli giustapposti per ogni attività che vi si svolge – al silenzio – rotto solo dal vento che soffia fra la struttura e che produce una sorta di rumore di sottofondo che invita alla riflessione – porta alla concentrazione e libera la fantasia.

Ritornando alla mostra allestita nelle sale della Fondazione, con la collaborazione dell’Astrup Fearnley Museet di Oslo, il primo impulso è quello di chiedersi cosa lega Anselm Kiefer alla letteratura. Non tutti infatti sono a conoscenza del fatto che l’artista tedesco, agli inizi della sua carriera, esitò a lungo fra la pratica della scrittura e quella della pittura. Se la seconda prevalse, tuttavia la prima ha occupato e occupa un posto preponderante nella sua storia creativa. È noto come l’artista abbia sempre tenuto un diario al quale ha consegnato scritti che lo hanno aiutato nella riflessione intima dei temi che poi ha elaborato in pittura e scultura. Ed è altrettanto noto che la poesia è sempre stata una delle fonti primordiali di ispirazione per Kiefer. In una conferenza del 2007 al Louvre l’artista affermava:

“I poemi costituiscono quasi l’unico reale per me. Essi sono come fari nel vasto mare, io navigo dall’uno all’altro, senza di loro non ci sarebbe nulla”.

Attraverso l’esposizione saltano agli occhi i legami che Kiefer da sempre intrattiene con il mito, i racconti e più recentemente con i testi sumeri e biblici, la Cabbala, la filosofia, l’alchimia, e ultima nella lista ma prima nella mente dell’artista la storia. Una storia, spezzata dalle atrocità della Seconda Guerra Mondiale, che è grande protagonista della produzione di Kiefer.

Da tedesco figlio di un’epoca in cui il suo paese, da sempre, ricco di pensatori, poeti, musicisti e letterati era stato annientato, Kiefer, come tutti quelli della sua generazione, ha dovuto crescere in fretta facendo i conti con gli sconvolgimenti e i sensi di colpa arrecati dal conflitto nell’intero immaginario tedesco. Per tale ragione l’artista da sempre si abbandona alla riflessione sul “materiale storico” e la sua intenzione non è mai stata quella di dimenticare, cancellare o “normalizzare e relativizzare” la storia tedesca, tendenza che si è mostrata vincente per decenni nella letteratura e nell’arte della Germania post bellica, ma di sondare la storia per restituire a un mondo votato all’oblio la possibilità di ricordare. E ciò agli inizi del suo percorso artistico gli valse l’incomprensione e la critica di molti, tacciato come neo nazista e nostalgico.

La creazione di libri disegnati, scritti, dipinti, illustrati, che raccolgono xylografie e collage, che prevedono l’utilizzo di sabbia, tessuto addirittura liquido seminale, su supporti preziosi come la tela di lino o grossolani come i comuni album da disegno, danno la misura dell’aspetto più intimo dell’arte di Kiefer. Come oggetti unici non destinati ad essere esposti ma conservati, raccontano perfettamente la storia dei temi e delle riflessioni dell’artista. Le varie tecniche esplorano tutte le possibilità di realizzazione dell’opera d’arte.

Se i libri dei suoi inizi sono un luogo di espressione delle idee essi mano a mano cambiano divenendo un vero e proprio luogo in cui Kiefer esplora le infinite possibilità dell’arte, una sorta di camera di incubazione, in cui tutto è permesso e tutto si svolge al di fuori di un’area prestabilita come può essere quella della tela. Gli permettono, infatti, attraverso la successione delle pagine di espandere il pensiero come altrimenti non si potrebbe fare.

Fino a giungere ai famosi libri in piombo attraverso i quali l’artista ammette la dissociazione fra la letteratura e l’arte:

“… e questi libri sono interessanti nella misura in cui sono impossibili da leggere, sono troppo pesanti, il piombo non lascia passare niente è la dissimulazione totale… I libri di piombo sono dunque il paradosso perfetto. Tu non potrai ne sfogliarli ne leggerli e ignorerai ciò che contengono”

(A. Kiefer, L’alchimie du livre, catalogue d’exposition, Paris, 20 octobre 2015).

I libri esposti nella mostra sono opere che vanno dal 1969 a oggi, rappresentano un viaggio affascinante ed esaustivo nella storia più intima dell’artista tedesco.

Libri tra i libri

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Anselm Kiefer,

Il  2017, Pistoia, lo ricorderà come l’anno in cui è stata capitale italiana della cultura. Una città ottiene questo titolo non solo se riesce ad organizzare un anno speciale, pieno di eventi, ma soprattutto se è in grado di dimostrare che la città è fonte continua di cultura. L’anno è passato velocemente,  con momenti dedicati a teatro, letteratura, arti visive. Ormai sono rimasti pochi mesi, ma ci sono ancora appuntamenti importanti, in calendario. Tra questi, l’8 settembre, la mostra di libri d’artista che si aprirà nella biblioteca comunale. E’ dedicata all’artista tedesco  Anselm Kiefer ed è intitolata titolo, appunto, Libri tra i libri. Una mostra che rinnova il dialogo tra l’artista e la città, iniziato nel 2007, quando venne collocata, in modo permanente, la sua grande opera, intitolata Die Grosse Fracht, nella sala di lettura della medesima biblioteca.  La mostra sarà un ulteriore approfondimento di questo tema caro all’artista e altri  libri diventeranno il materiale del suo agire e del suo racconto.

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Anselm Kiefer, Die Grosse Fracht, Biblioteca San Giorgio, Pistoia

Un bel colpo per Pistoia, che ha guardato alle risorse culturali della città, ma anche all’arte oltre i confini nazionali, scegliendo  un artista tedesco riconosciuto sulla cena internazionale come un maestro. Kiefer appartiene di diritto alla schiera di artisti che sono pittori, scultori e   plasmatori di materia e di immagini; sa parlare con le sue opere evocando in chi le guarda l’appartenenza a delle radici che sembrano comuni a tutti noi.

L’arte di Anselm Kiefer è universale ed è un nuovo, perfetto battesimo per Pistoia capitale italiana della cultura.Invito Kiefer

Bravo chi legge!

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Ormai ricordare tutte le ricorrenze è diventato impossibile, ma domani, 23 aprile, si festeggerà la giornata mondiale del libro. La festa ha il patrocinio dell’Unesco ed è nata per promuovere la lettura, la pubblicazione dei libri e la salvaguardia del diritto d’autore.

Sulla pagina di Wikipedia troverete tutte le notizie, scoprirete che l’idea è nata nel 1996 e cosa più curiosa, questa tradizione ha le sue radici nella Catalogna dove tradizione vuole che in questo giorno speciale i  librai regalino una rosa per ogni libro venduto.

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Anselm Kiefer, Book with Wings,1992

E siccome il libro è comunque un oggetto e gli oggetti sono ispirazione per le arti visive, permettetemi di festeggiare questo giorno in arrivo con delle immagini che gli artisti contemporanei hanno dedicato al libro. Inizio con l’opera in piombo di Anselm Kiefer,  un libro appoggiato su un leggio, nell’atto di spiccare il volo. Poi ho scelto  la libreria che ormai non c’è più, ma resta sul muro come traccia lasciata dalla polvere: opera di Claudio Parmiggiani.

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Claudio Parmiggiani,Smoke on Board, 2000

Per terza immagine ho scelto  il libro concettuale, di Giulio Paolini nell’opera  L’arte e lo spazio, quattro illustrazioni per Martin Heidegger del 1983, dove visivamente si traduce il contenuto del libro sotto forma di equilibrio tra foglio e   materia, tra spazio della parola e quello della  scultura.

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Giulio Paolini, Quattro illustrazioni per Martin Heidegger, 1983

Per finire ho scelto l’opera dell’artista indiana  Sheba Chhachhi: presentato come  un libro antico è in verità una scatola luminosa  con dentro delle immagini stampate. Il libro, come una scatola illuminata, un oggetto rivisitato dalla tecnologia che assume un altro aspetto, quasi un elemento del passato e della memoria, oggetto evocato e trasformato.

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Sheba Chhachhi, Balaram Illuminate book, 2009)

Bello parlare di libri, bello averli in mano, bello vederli rappresentati e bello tenersi i più cari sul comodino.

La sala di lettura

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Oggi, prima di chiudere il blog per l’estate, vorrei dedicare il giovedì della sala di Lettura a tutti coloro che amano i libri per ciò che contengono, ma anche come oggetti da toccare e conservare.

Su questo c’è un libro assolutamente da leggere: è stato scritto negli anni Settanta e si intitola Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal .

Vi troverete immersi nei libri e vi sembrerà di sentire l’odore della carta. Hanta infatti , protagonista del libro, è un operaio che da “Trentacinque anni lavora alla carta vecchia”: è lui che si occupa dei libri che nessuno vuole più, è lui che li accoglie in un magazzino sotterraneo in forma di pacchi. Questi pacchi sono come delle continue sorprese, Hanta non può fare a meno di guardare ciò che contengono e scoprire “il dorso di un libro prezioso” “Sei quintali di fradici Rembrandt e Hals e Manet e Klimt e Cézanne”. Hanta deve guardarli, e così passa tutto il suo tempo dentro al magazzino . Il protagonista lo dice apertamente nel primo rigo della prima pagina del libro “ Da trentacinque anni lavoro alla carta vecchia ed è la mia love story”.

“Perché io quando comincio a leggere- prosegue Hanta- sto proprio altrove, sto nel testo, io mi meraviglio e devo colpevolmente ammettere di essere davvero stato in un sogno, in un mondo più bello, di essere stato nel cuore stesso della verità”.

E dunque tutto il libro si svolge sui libri e sulla sua amata pressa meccanica che Hanta sogna di portarsi via quando andrà in pensione. Hanta alcuni libri li salva dal macero , a volte li regala ma molti di essi li porta a casa. Quando si legge sembra di vedere l’immagine della sua casa, quasi un’installazione d’arte che strabocca di libri: si trovano in soffitta, in cucina, al gabinetto, sopra il vaso del water e poi nella sua camera dove ha costruito addirittura un baldacchino per tenere due tonnellate di libri sopra al letto. I libri sono il suo cielo la ragione dei suoi sogni, ma anche dei suoi incubi perché sa che se cadessero potrebbero ucciderlo.

Anselm Kiefer
Anselm Kiefer

Hanta viene descritto nella prefazione da Giorgio Pressburger come “uno spaccone dell’eternità, una persona semplice che a forza di salvare dal macero libri di grandi autori e di portarli a casa per leggerli , comincia a dialogare con Laozi, Kant persino con Gesù Cristo”.

Questo mondo ricco e solitario dove lui si rifugia verrà però portato via dall’arrivo di un sistema più moderno per pressare la carta. Hanta verrà licenziato; si è aperta una nuova epoca, un nuovo mondo dove nessuno è più interessato a soffermarsi sui libri da distruggere. Hanta pensa di uccidersi , di farsi stritolare dalla pressa. Non lo farà perché qualcosa della vita che lo circonda gli renderà la carica vitale.

Il libro si chiude con una poesia.

Grazie Chiara per avermi regalato questo libro che non avevo letto e tu mi hai fatto scoprire.

La vita o è stile o è errore

imagesLa nostra immagine, come italiani deriva dal nostro stile di vita. Cinema e moda l’hanno portata nel mondo, tirandosi dietro anche altri settori come l’alimentazione, il mobile e così via.

Uno stile di vita complesso che si riassume in una parola: buongusto. Si applica a come mangiamo, a come ci vestiamo, a come arrediamo ma anche a come ci approcciamo alla vita. Si suppone che noi italiani sappiamo farlo con leggerezza e appunto “buongusto”.

Ora, il problema è che oggi rappresentare questo stile nel mondo è divenuto difficile. Da un lato internet rende impossibile farlo senza essere banali: le cose di base sull’Italia sono disponibili ovunque. Dall’altro lo scenario è cambiato: elementi di quello stile che ci ha resi unici e famosi ci sono ancora, ma anche altri ce li hanno. Faccio un esempio: il nostro vino è ormai in competizione con quello di mezzo mondo e hai voglia a dire che da noi è una tradizione: sai cosa gliene importa a chi compra il vino a Rio de Janeiro? Questo si applica a tutti i nostri tradizionali punti di forza. La moda tiene, si dice: beh, insomma. Campa in mani straniere e dove è ancora italiana si dibatte nella discussione sull’opportunità di riportare tutte le produzioni in Italia. Il mobile va: certo, e il salone del mobile è ancora un grande evento, ma ormai l’unico nel suo genere, e purtroppo è anche cronicamente scollegato dal sistema moda, con cui dovrebbe interagire. Abbiamo slow food: super vero. Ma anche tante porcherie che avvelenano il nostro cibo; chi le mangia più le mozzarelle prodotte accanto alla  terra dei fuochi? E tutto il mondo sa della terra dei fuochi: a me ne hanno parlato amiche americane!

La domanda allora è: ma c’è un modo di ricostruire uno stile italiano per usarlo in modo da ri – affermarci nel mondo? Gli americani chiamano soft power l’attrattività culturale di un paese. Un potere basato sulla seduzione e non sulla potenza militare o economica.

Con lo stile italiano noi il soft power ce lo avevamo. Ma adesso come lo ricostruiamo? Come ricreiamo un soft power per ricavarci un nuovo posto nel mondo di domani?

La vita o è stile o è errore, si diceva un tempo. Speriamo lo capiscano anche i nostri politici.

Terra e cielo, sapere e luce a Londra: la mostra di Anselm Kiefer

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Anselm Kiefer, The Orderes of the Night,1996

Abbiamo tempo fino al 14 dicembre per andare a vedere alla Royal Academy la mostra dedicata all’opera di Anselm Kiefer. E’ un’occasione straordinaria. Se qualcuno non conosce questo artista tedesco verrà colto da stupore e meraviglia. Questo, almeno, fu ciò che accadde a me in occasione del mio primo impatto con l’opera di Kiefer: era il 1997 e lui era esposto a Venezia, a contatto con le opere antiche, dentro al Museo Correr. Allora pensavo che la pittura – nonostante ne avessimo vissuto il ritorno, attraverso il movimento della transavanguardia – facesse una gran fatica ad esprimere qualcosa di nuovo e coinvolgente. Invece le grandi superfici di Kiefer, le sue tele terrose, fatte con tracce di piombo, le bruciature, i ramoscelli di ulivo, mi fulminarono. Le sue opere erano superfici materiche (per usare un termine caro al mio professore Enrico Crispolti, quando ci spiegava l’opera di Alberto Burri). Ma in Kiefer c’era dell’altro: quelle pitture erano impasti non solo di materia ma anche di memorie, rese presenti con collage e fotografie.

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Anselm Kiefer, Nigredo

Nelle opere di Burri è la sola materia a parlare. Con Kiefer, la materia è la strada per far affiorare delle immagini che sembrano lontane nella memoria. E’ così che le tele raffigurano grandi spazi vuoti industriali, non riconducibili a nessun luogo e prive di ogni essere vivente; oppure mostrano semplici grumi di terra crettati o campi segnati dal limitare dell’orizzonte. Dentro i grandi quadri appare la figura umana: in opere come Sternbild (Star picture), del 1996, si rimane addirittura senza parole, vedendo che il corpo umano posto nudo e in orizzontale è immerso nell’immensità del cielo stellato, diventando tutt’uno con l’universo. Terra e cielo, materia e spirito, sembrano i temi toccati dall’artista. Vi è anche il tema del sapere tradotto in immgini, con i libri rappresentati come una luce che si irradia velocemente e si espande nell’universo. Oggi le opere di Anselm Kiefer sono diventate un classico: il suo lavoro sembra davvero destinato a restare nel tempo.

Insomma questa mostra non è da perdere e se c’è qualche italianointrasito a Londra la consiglio vivamente.

Il libro è come la bicicletta?

Anselm Kiefer, Naglfar,1998
Anselm Kiefer, Naglfar,1998

Ho visitato il salone del libro di Torino e quello di Ginevra. Il primo più grande e vitale del secondo. Ho visto tanta gente attorno a tavoli allestiti con libri di tutti i tipi, tra best seller, grandi classici, manuali di tutto e guide per andare ovunque.

Mi chiedo: siamo davvero così sicuri che il libro sarà presto un oggetto raro?.

Se osservo le mie figlie, noto che per ora mantengono le due cose contemporaneamente: scaricano e-book con grande facilità ma poi tornano al libro con eguale facilità.

Eppure la mia generazione ha visto scomparire la macchina da scrivere. I quarantenni ricordano? Scomparve tutta d’un colpo, dopo di che nessun giovane la usò più. Ricordo mio padre che la osannava, ma dopo poco è rimasta nel suo ufficio a prendere polvere: Ora che mio padre ha 83 anni scrive benissimo sul computer, manda e riceve e-mail e da poco è passato all’Iphone. Quell’uomo mi sorprende ogni volta e sono fiera di lui e di come sia riuscito a restare al passo con i tempi.

Parlando con i librai, in occasione della mia visita alle fiere menzionate sopra, ho saputo che (in Europa) l’e-book va forte in Inghilterra, ma trova ostacoli in paesi come Francia e Germania. Mi spiegavano anche che l’uso dell’e-book è in ascesa, ma non va però così veloce e anzi con il tempo si è assestato attorno ad un 25% .

Sentite quali sono le mie previsioni: il libro avrà un compagno nella storia degli oggetti. Infatti  c’è un altro oggetto che ha resistito alle mode, alla tecnologia e alla comodità e, anche se si è fatto affiancare da oggetti più moderni, rimarrà per sempre se stesso: la bicicletta.

Arman, Accomulation
Arman, Accomulation

Pensateci, dopo aver trascorso più di un secolo in cui tutti devono e amano andare di corsa con il motorino, la macchina o l’aeroplano, il veicolo a due ruote, che per azionare il quale occorre far spinta sui pedali, è sempre lì al suo posto. Certo la bicicletta è meno comoda, si arriva sempre dopo, ma tutti ne posseggono una. Quindi la mia previsione è che l’e-book sicuramente sarà sempre più diffuso, ma il libro non passerà mai.

Il libro sarà un oggetto da regalare ai bambini, come la prima bicicletta: quel veicolo magico a due ruote che –  ho scoperto di recente – in francese ha un nome particolare pieno di fascino e degno di una fiaba: la Petite reine.

 

Si può voltare pagina?

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Anselm Kiefer, I sette palazzi celesti

“L’arte permette di porre delle questioni, di aprirci al mondo, di preparaci per il futuro; l’arte parla della vita. La cultura e la vita sono l’essenza di una città, un modo per far incontrare le persone per alimentare un tessuto sociale giusto. Come si può amare la vita e le persone, senza amare la cultura?”  Passo questa domanda ai nostri politici e a chi ci governa. Che ruolo ha nelle nostre città la cultura? È davvero solo una questione di possibilità finanziarie?  Chi ci governa crede davvero che la politica e la cultura debbano andare assieme?

Prendiamo il caso del più efficace cavallo di troia che potremmo usare per introdurre la cultura in casa di ogni italiano o di ogni italiana: la televisione. Siamo certi che chi lo dirige voglia davvero accrescere il nostro bagaglio culturale?  Mi immagino canali che si occupano di programmi di qualità, di servizi dedicati all’arte e all’arricchimento delle nostre vite non attraverso qualche ragazza smutandata (che palle il maschilismo del nostro paese!) o la battuta d’un (presunto) comico volgare o, peggio, attraverso programmi che ci rendono dei guardoni.

Viene da domandarsi quale potrebbe essere il programma dedicato a lasciarci godere della cultura italiana. Magari potrebbe anche alimentare le capacità creative di ognuno di noi. Non è certo che la televisione sia sufficiente, ma potremmo cominciare con quel che abbiamo e continuare a seminare.

Piccoli grandi musei: un’idea per le prossime vacanze

Anghiari, La tavola Doria
Anghiari, La tavola Doria

Ecco un itinerario per le vacanze per l’estate o da rimandare al prossimo autunno. L’idea è di andare a zonzo in quella terra tra Umbria e Toscana, denominata Valtiberina, dove si trovano piccoli musei che sono veri e propri scrigni di opere d’arte.

E’ in quest’area infatti che la regione Umbria e la regione Toscana hanno collaborato, assieme all’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, per organizzare un percorso espositivo a tappe intitolato Capolavori in Valtiberina, da Piero della Francesca a Burri (16 giugno-3 novembre).

Piero della Francesca, La Madonna del Parto
Piero della Francesca, La Madonna del Parto

Beh, immaginatevi di  partire da Monterchi, dove vi augura buon viaggio la Madonna del Parto, di Piero della Francesca, per poi arrivare a Sansepolcro, città natale dello stesso Piero della Francesca, dove vedrete nel Museo Civico l’affresco della Resurrezione e il Polittico della Misericordia. La tappa successiva  vi dovrebbe portare ad Anghiari, definito un museo all’aria aperta: un borgo medievale fortificato che domina l’intera Valtiberina. Il luogo è famoso per la battaglia che fu vinta dai fiorentini nel 1440 contro i milanesi, ma ancor più per l’affresco (oggi perduto) che la rappresentò, dipinto da Leonardo da Vinci in  Palazzo Vecchio a Firenze. E ad Anghiari, nel Palazzo Taglieschi, potrete vedere la Tavola Doria, un bozzetto ad olio dei primi anni del Cinquecento, che riproduce proprio la parte centrale di quell’affresco leonardesco perduto. Questa tavola, realizzata nella prima metà del XVI secolo, era stata rubata a Napoli negli anni Quaranta e solo dopo settanta anni  è stata ritrovata in Giappone e riportata in Italia.

Ancora immersi nell’arte del Quattrocento e del Cinquecento, incontrerete anche le opere di Rosso Fiorentino (Firenze 1495-Fontainebleau 1540), esponente principale del manierismo fiorentino, che lavorò sia a San  Sepolcro – dove quindi potete ammirare, nella chiesa di San Lorenzo, la Deposizione – che a Città di Castello, nel cui Museo del Duomo c’è  il celebre Cristo risorto in gloria.

Rosso Fiorentino, La deposizione, San Sepolcro
Rosso Fiorentino, La deposizione, Chiesa di san Lorenzo, San Sepolcro

Dopo tante immagini del passato, l’ultima tappa consigliata dal percorso è una tappa d’arte contemporanea. Infatti scoprirete che Città di Castello ha dato i natali  all’artista Alberto Burri (Città di Castello 1915-Nizza 1995) e ora ospita la sua fondazione, collocata sia nel centro della città, in palazzo Albizzini, che poco fuori città, negli ex Essiccatoi del tabacco. Burri rimane una gloria italiana del secolo passato. Fin dall’indomani del secondo conflitto mondiale, ha fatto arte parlando con la materia: l’ha bruciata, tagliata, cucita. Sia che fosse plastica, iuta o legno si è comportato con essa come fosse un materiale antico e l’ha plasmata in opere che stanno tranquillamente a colloquio con l’arte del rinascimento.

Alberto Burri
Alberto Burri

Burri è italiano ma il suo linguaggio è internazionale e di questi tempi, agli ex essiccatoi, potrete trovare un omaggio dell’artista tedesco Anselm  Kiefer, che si è messo in relazione e in colloquio con le opere del grande artista italiano ( la mostra infatti si intitola Anselm Kiefer, presenza-omaggio per Alberto Burri).

Tutto questo ben di Dio è sul territorio e chi volesse seguire al meglio l’itinerario può andare sul sito http://www.piccoligranimusei.it. Durante i fine settimana, vengono organizzate visite guidate con speciali itinerari d’arte, storia e artigianato.