7 marzo

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Adrian Paci, Centro di parmanenza temporanea

1991, 7 marzo. 25 anni fa: il primo enorme arrivo di migliaia di persone in fuga dalla miseria. Avvenne a Brindisi, come ricorda il Fatto Quotidiano: 25,000 albanesi approdarono sulle nostre coste scendendo da una serie di carrette del mare (5/6.000 alla volta). Lo Stato era impreparato e arrivò con gli aiuti solo alcuni giorni dopo. Mi ricordo benissimo di quei momenti e di quelle immagini in televisione: eravamo sconvolti nel vedere un paese in disfacimento, che si trasferiva in Italia. Mi ricordo anche che era un’altra Italia. C’era ancora la classe di governo della prima Repubblica: gli Andreotti, i Martelli, totalmente impreparati all’emergenza. Perché veniva da un cambiamento mondiale da loro non compreso. Il comunismo finiva e noi di quel paese chiuso per decenni non sapevamo proprio niente.

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Adrian Paci

Ma la gente di Brindisi si attivò per dare da mangiare e ospitalità a chi aveva attraversato il mare. Il sindaco di Brinidisi, Giuseppe Marchionna, come ricorda Il Fatto, fu eccezionale: fece diffondere un messaggio alla radio ogni 15 minuti. Diceva: hanno solo fame e freddo. E si gettò per la strada a gestire l’emergenza. Tanto bastò e un’intera città si dette da fare: chi passava il cibo dalle finestre, chi offriva una stanza a una mamma coi bambini. Col tempo si integrarono nella società italiana, tanti di quegli albanesi. Uno lavora ormai da tanti anni nella fattoria dei miei, dove vive con la sua famiglia.

Oggi siamo impauriti dalle masse di disperati che arrivano da noi. La nostra classe politica è stata di nuovo cieca: hanno visto poco di ciò che accadeva alle nostre porte, sino a che la gente non è partita in massa. La gente è piu impaurita, è vero. Eppure non sono mancati gli esempi di solidarietà, anche nelle istituzioni locali. Il sindaco di Lampedusa, la signora Giusi Nicolini, è uno degli eroi di oggi. Di nuovo: chi ha il compito di gestire lo Stato vede poco lontano, chi si trova sul campo fa la sua parte. Sembra una costante della nostra storia.

Vivere in transito

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Adrian Paci, Home to go, 2001

Distanze e movimento: queste sono le due parole che mi vengono in mente quando penso al mio futuro e a quello dei miei figli e dei miei cari.
E’ così che quando mi hanno raccontato di una mostra che si è tenuta a Parigi al Jeu de Paume, dal titolo Lives in Transit, mi sono precipitata ad informarmi. Perché l’arte sa esprimere e ci fa vedere quello che percepiamo in modo confuso.
E così è stato, la mostra è dell’artista Adrian Paci. Un’opera mi ha colpito particolarmente: The Column, una colonna classica di marmo fatta in Cina. L’idea di Paci, artista albanese, rifugiato dagli anni Novanta in Italia a causa della guerra, è stata quella di seguire tutte le fasi con cui, da un blocco di marmo grezzo estratto a nord di Pechino, si e’ creata, durante il trasporto su una nave cargo, una colonna con capitello corinzio.

Adrian Paci, The Column, 2012
Adrian Paci, The Column, 2012

Viaggiare seguendo il corso di un oggetto e seguire le tappe della sua trasformazione. E’ un tema caro agli artisti in questi tempi di globalizzazione in cui tutte le carte si stanno rimescolando ad un prezzo a volte alto.
Anche lo scrittore Jonathan Franzen aveva fatto la stessa cosa nel racconto La pulcinella cinese inserito nel suo ultimo romanzo Più lontano ancora (Einuadi, 2012). In quel caso la pulcinella è un pupazzo di peluche made in Cina che il fratello gli ha regalato per Natale. L’oggetto lo attira e decide di andare in Cina a visitare il luogo dove è stato prodotto l’oggetto.
Franzen e Paci decidono di seguire il viaggio di un oggetto; entrambi gli oggetti sono partiti dalla Cina per arrivare in occidente. Lavorando sull’idea del viaggio, possano così affrontare e cercare di spiegare  temi sociali quali lo sfruttamento del lavoro e quello dell’orrore industriale e dell’inquinamento ambientale per Franzen.  Ma quel viaggio, si capisce, nasce per spiegare qualcosa a loro stessi  e per dare sostanza visiva e verbale ai mutamenti e stravolgimenti che stiamo vivendo in questo periodo di distanze e movimento.

Finisco segnalandovi un giovane fotografo: David Favrod di padre svizzero e di madre giapponese. In lui la ricerca di identità non parte da un oggetto ma da se stesso e dal suo autoritratto.

David Favrod
David Favrod

Dopo una lunga serie di indagini e ricerche sul suo Giappone lontano ha deciso di ricreare il proprio Giappone, nel Vallese, in Svizzera.

Ve lo segnalo perché mi  sembra che anche lui tratti del tema più attuale e probabile per le prossime generazioni d’artisti.

Perché l’arte in questo mescolamento è in uno dei suoi momenti migliori e sono certa che ne ne vedremo delle belle.