Con l’arrivo dell’estate e del caldo, arriva anche una certa pigrizia mentale che induce a non gettarsi in letture troppo articolate.
La scelta d’obbligo per me è il romanzo giallo. Lasciatemi fare una piccola digressione sul termine, che nacque dal successo di una collana edita da Arnoldo Mondadori nel lontano 1929, il cui colore di copertina era appunto il giallo. All’estero il giallo è il roman policier (o familiarmente polar o rompol) in Francia; mystery o detective novel nel mondo anglosassone.
Negli anni ho potuto apprezzare gli intrighi e la prosa di scrittori davvero notevoli. A parte il nostrano Camilleri, che con il suo ispettore Montalbano è divenuto un classico del genere non solo in Italia, mi sono via via goduta Pennac, Montalban, Vargas, i più datati ma sempre favolosi Simenon, Chandler, Christie, mi sono spinta nel nord Europa con Mankell, la trilogia di Larsson Millennium, Jensen, Turell e tanti tanti altri. Tutti autori che non solo hanno decretato il successo del giallo come genere, ma lo hanno definitivamente reso una forma di letteratura. Tutti autori che non si sono limitati solo all’intrigo poliziesco, ma in un modo o in un altro hanno ricreato atmosfere, hanno raccontato di luoghi e di personaggi legati a questi luoghi rendendoli vividi nella nostra mente, accostandoci a modi di vivere e pensare diversi da quelli abituali (mi vengono in mente il bianco accecante delle distese di ghiaccio del profondo nord, dove sono ambientati i giali svedesi, o un pezzo di straordinaria letteratura che è l’incontro fra la vedova Couderc e il bello sconosciuto in Simenon ad esempio).
Avrete dunque capito a questo punto che il genere mi piace non poco, e del genere apprezzo soprattutto la capacità degli autori di presentare e descrivere i luoghi e la società in cui vivono.
Dunque non potevo non apprezzare i romanzi gialli di Qiu Xialong, autore cinese naturalizzato negli Stati Uniti. Ero molto scettica quando mi ci sono imbattutta, e ho decisamente patito la difficoltà di ricordare i nomi dei protagonisti e qualche problema di lettura (purtroppo non ha amici cinesi che mi aiutino ad apprenderne la pronuncia esatta e ciò mi indispone parecchio), ma a parte ciò mi ci sono appassionata subito.
Singolare è il primo aggettivo che mi viene in mente, perché l’autore ci presenta un’eccellente fusione fra la tradizione letteraria cinese e la letteratura gialla occidentale. Il suo ispettore Chen Cao svolge le sue indagini in una Shanghai del 1990, in un momento di profondi cambiamenti per l’intera società cinese, in cui si mescolano omicidi e intrighi politici. Emigrato negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio nel 1988, Qiu Xialong scrive di un periodo che ha ben conosciuto e il suo protagonista ha tratti fortemente autobiografici: come per l’autore la vita dell’ispettore Chen cambia radicalmente con l’apprendimento della lingua inglese, come lui è prima di tutto uno studioso di letteratura e un poeta, che, purtroppo, non ha potuto fare altra scelta che divenire poiziotto ed entrare a far parte attivamente del Partito, poiché il governo aveva decretato che egli diventasse ispettore di polizia incaricato della « squadra speciale » e si occupasse dei crimini in cui era coinvolta la politica.
Dunque ancora una volta un autore che ricrea atmosfere, luoghi e mentalità, questa volta talmente distanti dai nostri che se ne rimane affascinati e rapiti.
Massime confuciane si mescolano a frasi di Mao Zedong, brevi poesie di rara belezza delle diverse epoche storiche della Cina fanno da cornice ad efferati delitti ; antica saggezza e moderno metodo psicologico e investigativo rendono l’ispettore Chen una figura sfaccettata e profonda, lontana dal consueto modo di procedere. L’autore si sofferma su tutta la società cinese in trasformazione, su coloro legati agli antichi dettami della Rivoluzione Culturale maoista e al nuovo capitalismo « socialista », un ibrido che solo in una società come quella cinese legata al passato, ma anelante al futuro poteva nascere.
Xialong oltre ad avvicinarci ad una sensibilità orientale a noi decisamente sconosciuta e ricca di tradizioni millenarie passate indenni attraverso gli anni del comunismo, ci avvicina a modi di vivere assolutamente inconsueti. Per fare un parallelismo pensate ai pranzi del nostro commissario Montalbano, con tutte le leccornie siciliane descritte con dovizia di particolari da Camilleri o agli spuntini nelle brasserie di un altro grande ispettore: Maigret. Vi invito ora a prestare attenzione ai cibi che il cinese Chen è solito ordinare al ristorante: focaccine al vapore ripiene di brodo, labbra di pesce, becchi di uccello, nidi di bava di rondine, zuppa di testa di agnello… siamo subito catapultati in un mondo che non conosciamo e da cui immediatamente ci sentiamo attratti. Un altro particolare mi ha affascinato: l’uso delle parole e della scrittura. Cerco di spiegarmi, per noi occidentali, che abbiamo un alfabeto di lettere con il quale comporre parole che corrispondo a significati chiari che non possono voler dire altro (nomina nuda tenemus), per i cinesi, che si esprimono e scrivono con gli ideogrammi, il significato non é sempre univoco, ad ideogramma non corrisponde sempre e un solo, chiaro significato, esso deve essere desunto dal contesto, dalla posizione, dall’intonazione della frase. Ciò rende fluttuante la lingua e l’autore se ne serve per rendere anche l’intrigo poliziesco un po’ più oscuro.
Insomma una bella scoperta che consiglio agli amanti del genere, quelli di Xialong oltre ad essere i classici libri da ombrellone da godersi fra un bagno e l’altro in questa estate che si annuncia torrida, ci insegnano qualcosa su un paese che é lontano da noi non solo geograficamente. Per tutti gli amanti delle escapade mentali!