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Ascendere, salire in verticale, è forse tra le cose più desiderate dagli esseri umani. Che sia per raggiungere il cielo o per imporre sugli altri una qualche forma di potenza.

Monumenti come gli obelischi ce lo testimoniano sin dai tempi più antichi. Le nostre città sono piene di simboli verticali, a partire dai campanili e dalle torri costruite quando potere temporale e spirituale si sfidavano anche nel tessuto urbano. E poi tutti hanno da sempre subito il fascino delle torri, anche in epoca moderna: pensiamo alla torre Eiffel!

In Messico, poi, si celebra ogni anno una festa religiosa, chiamata la Voladores, in cui quattro uomini scalano un palo di oltre 20 metri per ridiscenderne, in guisa d’uomini uccelli, legati a un piede.

Tra le opere più radicali dell’arte del secolo scorso, così forte da determinare un cambiamento sostanziale della percezione dell’arte, bisogna senz’altro ricomprendere la Colonna senza fine di Constantin Brancusi.

Costantino Brancusi
Costantino Brancusi Colonna senza fine,1920

Anche nelle fiabe l’altezza è uno spazio da scoprire e così Jack, il bambino dei fagioli magici, si arrampica sulla pianta di fagiolo ormai altissima, sino ad arrivare in cielo e affrontare un mondo di orchi e giganti.

E poi perché la tradizionale torta nuziale è fatta a piani? Un buon auspicio per raggiungere presto il paradiso dell’unione? E di tutte le spedizioni alpinistiche, organizzate per raggiungere le vette più alte dei monti, cosa diciamo? I Messner e i Bonatti di ogni tempo hanno fatto della verticale una ragione di vita. Casa dei miei genitori, in Trentino, è circondata da pareti di roccia altissime, che sollevano lo sguardo e lo spirito verso l’infinito del cielo. Come non si può non comprendere il senso di potere che viene dal salire in verticale?

E le torri di oggi, i grattacieli? Sembrano non cessare di salire in altezza: dai tempi dell’Empire State Building si sforzano senza sosta di salire sempre più vicini al cielo. In Cina si sta progettando il grattacielo più alto del mondo (838 metri) simbolo di potenza economica e sfida diretta al primato detenuto dal rivale di Dubai, alto “appena” 829 metri.

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Sempre parlando di altezze, c’è chi ama viaggiare a testa in su, con gli occhi rivolti al cielo. Se fate parte di questa categoria, vi consiglio un bel corso di Nimbologia, ovvero la scienza delle nuvole: con essa non toccherete il cielo con le mani, ma sarete in grado di leggerlo e svelarne un po’ del suo fascino misterioso.

Vivere in transito

Adrian Paci,
Adrian Paci, Home to go, 2001

Distanze e movimento: queste sono le due parole che mi vengono in mente quando penso al mio futuro e a quello dei miei figli e dei miei cari.
E’ così che quando mi hanno raccontato di una mostra che si è tenuta a Parigi al Jeu de Paume, dal titolo Lives in Transit, mi sono precipitata ad informarmi. Perché l’arte sa esprimere e ci fa vedere quello che percepiamo in modo confuso.
E così è stato, la mostra è dell’artista Adrian Paci. Un’opera mi ha colpito particolarmente: The Column, una colonna classica di marmo fatta in Cina. L’idea di Paci, artista albanese, rifugiato dagli anni Novanta in Italia a causa della guerra, è stata quella di seguire tutte le fasi con cui, da un blocco di marmo grezzo estratto a nord di Pechino, si e’ creata, durante il trasporto su una nave cargo, una colonna con capitello corinzio.

Adrian Paci, The Column, 2012
Adrian Paci, The Column, 2012

Viaggiare seguendo il corso di un oggetto e seguire le tappe della sua trasformazione. E’ un tema caro agli artisti in questi tempi di globalizzazione in cui tutte le carte si stanno rimescolando ad un prezzo a volte alto.
Anche lo scrittore Jonathan Franzen aveva fatto la stessa cosa nel racconto La pulcinella cinese inserito nel suo ultimo romanzo Più lontano ancora (Einuadi, 2012). In quel caso la pulcinella è un pupazzo di peluche made in Cina che il fratello gli ha regalato per Natale. L’oggetto lo attira e decide di andare in Cina a visitare il luogo dove è stato prodotto l’oggetto.
Franzen e Paci decidono di seguire il viaggio di un oggetto; entrambi gli oggetti sono partiti dalla Cina per arrivare in occidente. Lavorando sull’idea del viaggio, possano così affrontare e cercare di spiegare  temi sociali quali lo sfruttamento del lavoro e quello dell’orrore industriale e dell’inquinamento ambientale per Franzen.  Ma quel viaggio, si capisce, nasce per spiegare qualcosa a loro stessi  e per dare sostanza visiva e verbale ai mutamenti e stravolgimenti che stiamo vivendo in questo periodo di distanze e movimento.

Finisco segnalandovi un giovane fotografo: David Favrod di padre svizzero e di madre giapponese. In lui la ricerca di identità non parte da un oggetto ma da se stesso e dal suo autoritratto.

David Favrod
David Favrod

Dopo una lunga serie di indagini e ricerche sul suo Giappone lontano ha deciso di ricreare il proprio Giappone, nel Vallese, in Svizzera.

Ve lo segnalo perché mi  sembra che anche lui tratti del tema più attuale e probabile per le prossime generazioni d’artisti.

Perché l’arte in questo mescolamento è in uno dei suoi momenti migliori e sono certa che ne ne vedremo delle belle.

Chiacchiare del lunedì

Vanessa Beecroft, VB52, 2003
Vanessa Beecroft, VB52, 2003

Festeggiare o non festeggiare?

L’8 marzo si sta avvicinando. Sto parlando del “giorno della donna”. L’anno scorso in questa data abbiamo festeggiato postando un bell’articolo su una mostra dedicata alle “streghe”, convinte che un po’ streghe lo siamo tutte e nella speranza che la caccia alle streghe non venisse più riaperta.

A un anno da quel post se guardiamo quello che è accaduto ci viene un brivido di orrore.

Hai ragione, leggevo sul Sole 24 domenica che l’Italia è all’ottantesimo posto nel Global Gender Gap 2012 del World Economic Forum. Il GlobaleGender Gap  calcola la percentuale di diseguaglianza tra uomini e donne e il nostro paese è preceduto da Kenya , Cina e paesi come il Perù e il Botswana. La relazione prende in esame quattro aspetti la partecipazione economica e le opportunità, il grado di istruzione, il potere politico e la salute. 

La violenza sulle donne non si è placata, anzi se è possibile è aumentata (è di queste ultime ore lo scandalo delle magliette vendute su Amazon che istigano alle botte). Ma cosa dobbiamo fare per ribadire che non siamo oggetti e non apparteniamo a nessuno se non a noi stesse. Basta festeggiare una volta all’anno, magari con un’inutile zingarata di poche ore?

La vecchiaia mi ha reso acida e cinica è vero, ma credo che non basti festeggiare l’otto marzo per un solo giorno, sarebbe bello che ogni giorno fosse l’otto marzo!

Io invece  sogno sempre di poter trascorrere un 8 marzo con quelle donne fantastiche che ho avuto il piacere di conoscere e con le quali sono diventata amica, di cui ammiro un sacco di cose come ad esempio: il coraggio quasi folle di Almea di darsi agli altri senza paracadute, la saggezza imparata dalla terra di Daria, l’estrosità di Daniela, la voglia di combattere per i nostri diritti di Tiziana, il fascino di Barbara e l’arte e la creatività di Sandra sono solo esempi la lista non finirebbe più perchè a dire il vero da tutte le amiche ho imparato qualcosa e da loro ho tratto i migliori benefici. Tutte assieme siamo una forza.

Tanti auguri a noi allora e felice 8 marzo.

Una risata folle può inquietare

Yue MinJun, Senza titolo, 1994
Yue MinJun, Senza titolo, 1994

Se andate a Parigi per le vacanze o siete italianintransito che vivono là vi vorrei segnalare una mostra che si è aperta il 14 novembre e resterà aperta fino al 14 marzo presso la Fondazione Cartier (261,boulevard Raspail F-75014) dedicata ad un pittore cinese contemporaneo Yue Minjun.

Le sue opere pittoriche sono molto inquietanti e strane, la mostra si intitola Yue Minjun . L’ombre du fou rire (l’ombra del ridere folle), egli propone nelle sue tele il suo ritratto mentre ride con una grande bocca aperta.  Francois Juillien nel catalogo della mostra ha scritto “ Questo suo ridere stereotipato serve come schermo , è un muro , che impedisce di penetrare nell’interiorità della persona e blocca tutta la sensibilità”. La risata è la chiave dei suoi dipinti, la sua faccia ride ed è come se avesse la figura dipinta vestisse una maschera, guardandola lo spettatore rimane come ghiacciato.

L’artista nato nel 1962 a Daqing, nella provncia del Hei Long Jang in Cina ha debuttato come artista negli anni Novanta a Pechino. La risata fin dal principio è stata per lui un’arma di denuncia ed è stata associata al movimento chiamato del realismo cinico. Guardando il suo volto nei quadri sembra come se la sua faccia avesse un grande forno, la sua bocca,con i contorni rosa , le labbra, una collana bianca, i denti e un grande nero nel centro nel quale potremmo essere mangiati come nelle fiabe dell’orco. La sua viisione pessimistica e sarcastica sui fatti del mondo sembrano dirci che è meglio ridere che piangere.

Le sue risate non alleggeriscono lo spettatore ma anzi lo inquietano e lo sconvolgono  come nel caso della pittura ad olio del 1995 intiolata L’Esecuzione ispirata alla repressione del movimento democratico di Piazza Tienamen nel 1989.

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Chi volesse saperne di più può consultare www.fondation.cartier.com

Vedo giallo…

Con l’arrivo dell’estate e del caldo, arriva anche una certa pigrizia mentale che induce a non gettarsi in letture troppo articolate.

La scelta d’obbligo per me è il romanzo giallo. Lasciatemi fare una piccola digressione sul termine, che nacque dal successo di una collana edita da Arnoldo Mondadori nel lontano 1929, il cui colore di copertina era appunto il giallo. All’estero il giallo è il roman policier (o familiarmente polar o rompol) in Francia; mystery o detective novel nel mondo anglosassone.

Negli anni ho potuto apprezzare gli intrighi e la prosa di scrittori davvero notevoli. A parte il nostrano Camilleri, che con il suo ispettore Montalbano è divenuto un classico del genere non solo in Italia, mi sono via via goduta Pennac, Montalban, Vargas, i più datati ma sempre favolosi Simenon, Chandler, Christie, mi sono spinta nel nord Europa con Mankell, la trilogia di Larsson Millennium, Jensen, Turell e tanti tanti altri. Tutti autori  che non solo hanno decretato il successo del giallo come genere, ma lo hanno definitivamente reso una forma di letteratura. Tutti autori che non si sono limitati solo all’intrigo poliziesco, ma in un modo o in un altro hanno ricreato atmosfere, hanno raccontato di luoghi e di personaggi legati a questi luoghi rendendoli vividi nella nostra mente, accostandoci a modi di vivere e pensare diversi da quelli abituali (mi vengono in mente il bianco accecante delle distese di ghiaccio del profondo nord, dove sono ambientati i giali svedesi, o un pezzo di straordinaria letteratura che è l’incontro fra la vedova Couderc e il bello sconosciuto in Simenon ad esempio).

Avrete dunque capito a questo punto che il genere mi piace non poco, e del genere apprezzo soprattutto la capacità degli autori di presentare e descrivere i luoghi e la società in cui vivono.

Dunque non potevo non apprezzare i romanzi gialli di Qiu Xialong, autore cinese naturalizzato negli Stati Uniti. Ero molto scettica quando mi ci sono imbattutta, e ho decisamente patito la difficoltà di ricordare i nomi dei protagonisti e qualche problema di lettura (purtroppo non ha amici cinesi che mi aiutino ad apprenderne la pronuncia esatta e ciò mi indispone parecchio), ma a parte ciò mi ci sono appassionata subito.

Singolare è il primo aggettivo che mi viene in mente, perché l’autore ci presenta un’eccellente fusione fra la tradizione letteraria cinese e la letteratura gialla occidentale. Il suo ispettore Chen Cao svolge le sue indagini in una Shanghai del 1990, in un momento di profondi cambiamenti per l’intera società cinese, in cui si mescolano omicidi e intrighi politici. Emigrato negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio nel 1988, Qiu Xialong scrive di un periodo che ha ben conosciuto e il suo protagonista ha tratti fortemente autobiografici: come per l’autore la vita dell’ispettore Chen cambia radicalmente con l’apprendimento della lingua inglese, come lui è prima di  tutto uno studioso di letteratura e un poeta, che, purtroppo, non ha potuto fare altra scelta che divenire poiziotto ed entrare a far parte attivamente del Partito, poiché il governo aveva decretato che egli diventasse ispettore di polizia incaricato della « squadra speciale » e si occupasse dei crimini in cui era coinvolta la politica.

Dunque ancora una volta un autore che ricrea atmosfere, luoghi e mentalità, questa volta talmente distanti dai nostri che se ne rimane affascinati e rapiti.

Massime confuciane si mescolano a frasi di Mao Zedong, brevi poesie di rara belezza delle diverse epoche storiche della Cina fanno da cornice ad efferati delitti ; antica saggezza e moderno metodo psicologico e investigativo rendono l’ispettore Chen una figura sfaccettata e profonda, lontana dal consueto modo di procedere. L’autore si sofferma su tutta la società cinese in trasformazione, su coloro legati agli antichi dettami della Rivoluzione Culturale maoista e al nuovo capitalismo « socialista », un ibrido che solo in una società come quella cinese legata al passato, ma anelante al futuro poteva nascere.

Xialong oltre ad avvicinarci ad una sensibilità orientale a noi decisamente sconosciuta e ricca di tradizioni millenarie passate indenni attraverso gli anni del comunismo, ci avvicina a modi di vivere assolutamente inconsueti. Per fare un parallelismo pensate ai pranzi del nostro commissario Montalbano, con tutte le leccornie siciliane descritte con dovizia di particolari da Camilleri o agli spuntini nelle brasserie di un altro grande ispettore: Maigret. Vi invito ora a prestare attenzione ai cibi che il cinese Chen è solito ordinare al ristorante: focaccine al vapore ripiene di brodo, labbra di pesce, becchi di uccello, nidi di bava di rondine, zuppa di testa di agnello… siamo subito catapultati in un mondo che non conosciamo e da cui immediatamente ci sentiamo attratti. Un altro particolare mi ha affascinato: l’uso delle parole e della scrittura. Cerco di spiegarmi, per noi occidentali, che abbiamo un alfabeto di lettere con il quale comporre parole che corrispondo a significati chiari che non possono voler dire altro (nomina nuda tenemus), per i cinesi, che si esprimono e scrivono con gli ideogrammi, il significato non é sempre univoco, ad ideogramma non corrisponde sempre e un solo, chiaro significato, esso deve essere desunto dal contesto, dalla posizione, dall’intonazione della frase. Ciò rende fluttuante la lingua e l’autore se ne serve per rendere anche l’intrigo poliziesco un po’ più oscuro.

Insomma una bella scoperta che consiglio agli amanti del genere, quelli di Xialong oltre ad essere i classici libri da ombrellone da godersi fra un bagno e l’altro in questa estate che si annuncia torrida, ci insegnano qualcosa su un paese che é lontano da noi non solo geograficamente.  Per tutti gli amanti delle escapade mentali!

Lingua è potere!

Un paio di anni fa Limes, la rivista di geopolitica, aveva dedicato un quaderno alla lingua che s’intitolava Lingua è potere (periodico annuale, Anno 2 n.3). In uno dei saggi iniziali si metteva in risalto che la lingua non “è mai innocente” e può essere usata anche per stabilire una vera e propria egemonia.

Affinché sia adottata da un paese, non importa che ne sia anche la lingua ufficiale: è sufficiente che il paese vi ritrovi una forma di attrazione per i modelli culturali da essa ispirati (basti pensare all’inglese).

Nel saggio di Roberto Molinacci si finiva con il sottolineare come oggi il cinese, lingua ostica e difficile, sia diventato un idioma “desiderabile”. Il paese di mezzo, Zhong-Guo (centro del mondo)  – come i cinesi definiscono la Cina – grazie al suo sviluppo economico e alla sua imponente presenza all’estero ha trasformato il cinese in “una delle lingue più insegnate negli Stati Uniti”. L’autore dell’articolo si domanda: non è che, grazie al boom economico di un altro colosso come il Brasile, “portoghese e cinese saranno le lingue del XXI secolo?”

Per chi si sentisse come noi spacciato per le lingue, ma costretto a stare “in transito”, abbiamo trovato una succosa notizia che ci fa sperare per il futuro. Infatti il Sole 24 ore del 5 febbraio scorso ha pubblicato una breve articolo dal titolo Impara le lingue chattando.

Infatti é partito Verbling, un sito cui si potrà accedere per parlare con speaker madrelingua. Per ora, però, in linea si trovano solo spagnoli e inglesi.

E se anche questo non ci aiuterà, non ci resta che rimanere muti e, come l’attore Jean Dujardin nel bellissimo film The Artist, imparare a ballare il tip tap.