Prendete nota:Venezia,Atene, Kassel

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Sono felice quando mi rendo conto che l’arte è sempre all’avanguardia nel difendere le libertà e nell’abbattere le frontiere . Ora vi spiego il perché.

In questi giorni, cominciando a sognare progetti per l’anno prossimo, sono partita dal mettere in calendario due appuntamenti, senza dubbio da non mancare.

Uno è la 57. biennale di Venezia: per ora so che la  curatrice principale si chiamerà Christine Macel, che adesso fa la capo curatrice del Centre Pompidou di Parigi. Sarà sempre una donna anche la curatrice del padiglione dedicato all’Italia, Cecilia Alemani. Sappiamo che da lei verranno invitati solo tre artisti: Giorgio Andreotti Calò, Roberto Cuoghi e Adelina Husni-Bei.

L’altro appuntamento invece è Documenta, la rassegna d’arte contemporanea  quinquennale che si tiene in Germania, a Kassel. In genere questa mostra è molto grande – non bastano due giorni per vistarla tutta – perché è il risultato del lavoro sistematico di un’équipe di critichi, compiuto sull’arte di tutto il mondo.

Ci sono voluti quattro anni di ricerche, al curatore scelto per questa edizione, Adam Szymczyk, direttore della Kunsthalle di Basilea, per disegnare la sua Documenta.  Sarà qualcosa di diverso: per la prima volta infatti la città di Kassel non sarà l’unica sede dell’evento, ma condividerà questo onore con un altro paese europeo, la Grecia.  Leggo, nel comunicato stampa, che la decisione è stata presa nel tentativo di abbattere le frontiere e di riavvicinare il Nord e il Sud dell’Europa. Documenta sarà dunque a Kassel ed ad Atene e l’evento è immaginato come un grand tour . Mi sembra un sogno: in tempi di divisione, di muri da alzare, di Europe da cancellare, questa scelta è un segno di speranza che viaggia in direzione contraria. Documenta si aprirà in Aprile ad Atene e in giugno a Kassel.

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Adam Szymczyk

Pronti con le valigie, dunque, in attesa di vedere come i curatori scelti hanno deciso di  condurre il gioco. Sono loro che daranno il carattere a queste grandi esposizioni che ancora mantengono la forza di incuriosire e di spiegarci il mondo in cui viviamo .

Arte e vita – Arte che vive

Pierre Huyghe, Zoodram, 2004
Pierre Huyghe, Zoodram, 2004

Non sarà difficile per chi ama frequentare l’arte del XX secolo trovare una relazione stretta tra arte e vita. Far coincidere arte e vita è stato uno dei temi centrali del secolo scorso; gli artisti nel tempo lo hanno praticato in modo diverso cominciando dal en plein air degli impressionisti, per passare poi ai collage di Picasso e al colore sgocciolato di Pollock e arrivare fino agli happening di Fluxus, magari passando dall’orinatoio di Duchamp.   C’è un momento, però, nella storia dell’arte della seconda metà del XX secolo, in cui l’arte non coincide veramente con la vita, ma l’artista è interessato a dare vita all’opera d’arte. Mi spiego meglio: dagli anni Sessanta si assiste alla ricerca di una forma d’arte che sia essa stessa vita . Per me questo è il significato profondo dell’arte povera, una forma di arte che quasi promanava dall’energia della materia e che esprimeva la sostanza delle cose.

Interesse per le cose viventi, rendere l’opera d’arte un organismo vivente che viva la mutazione e il cambiamento: questo senz’altro è il lavoro dell’artista francese Pierre Huyghe che in questo momento ha una retrospettiva al Centre Pompidou a Parigi.

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Pierre Huyghe, Untitled, 2011

Egli esplora l’arte e le sue leggi, i segni del tempo e  i cambiamenti biologici delle cose. Chi infatti potrà visitare la sua mostra vedrà come il suo lavoro  è fatto di tanti materiali e tecniche diverse: ciò che cerca è lo stato in cui un’opera diventa un organismo in continua metamorfosi e cambiamento, quasi un mondo che si autogenera e varia nel tempo e nello spazio, indipendentemente dalla presenza degli spettatori. Colpisce ad esempio A Way in Untilled, una scultura di una donna sdraiata  con la testa coperta da un alveare di api.  La statua è diventata il luogo per le api, che si sono appropriate della forma e che ora vivono dentro essa. Oppure il lavoro Zoodram, acquari dove vivono invertebrati e ragni marini che l’artista ha scelto per i loro comportamenti e per le loro forme. Dentro gli acquari convivono con paesaggi insoliti: teste di muse, forme surreali di architetture. In mostra potrete anche imbattervi in un cane bianco con una zampa rosa . Si legge nel depliant della mostra: “ la mostra è aperta a delle forme di vita che normalmente sono vietate. Ragni e formiche tracciano le proprie linee negli spazi  acquatici dove trovano rifugio, delle api costruiscono i loro alveare e un cane circola”.

Pierre Huyghe, Centre Pompidou
Pierre Huyghe, Centre Pompidou

Dentro la mostra ti senti  in un mondo vivo e anche a te è richiesto di agire come nell’opera Atari Light, del 1999, dove il soffitto è programmato per trasformarsi in una scacchiera e il pubblico è invitato a giocarvi muovendo le pedine con dei telecomandi.

La mostra curata da Emma Lavigne è aperta al Centre Pompidou fino al 6 gennaio 2014, poi andrà al Ludwig Museum di Colonia  e poi al LACMA di Los Angeles.

Amedeo Modigliani una gloria italiana

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Amedeo Modigliani, Nu couché,les bras derriere la tete, 1916

In giro per mostre quest’estate ho scoperto un aspetto di noi italiani: abbiamo la coda di paglia.

Mi spiego meglio. Per ben due volte mi sono trovata in mezzo ad una polemica in nome della nostra italianità negata. La prima a Venezia: durante la biennale un signore si è arrabbiato moltissimo perché nei padiglioni internazionali le opere e le relative spiegazioni erano molto spesso in lingua del paese invitato e in inglese ma non c’era traccia di italiano. L’altra alla mostra Modigliani et l’Ecole de Paris, in Svizzera alla Fondazione Pierre Giannada, dove una famiglia italiana discuteva animatamente perché risentita dal fatto che nella biografia di Modigliani non si trovava menzione della sua provenienza italiana.

Che ci succede? E’ come se facessimo fatica a tenere testa agli avvenimenti culturali o come se la cultura ci sfuggisse di mano e ci sentissimo limitati o impossibilitati  di giocare un ruolo nello scenario internazionale. Coda di Paglia?

Devo dire che, se la polemica alla Biennale mi sembrava giusta, quella sulla mostra di Modigliani mi è sembrata esagerata, perché l’italianità del nostro pittore usciva da ogni aspetto della mostra, tanto che non era possibile nasconderla.

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Consiglio senz’altro la visita alla Fondazione Pierre Giannada e alla mostra Modigliani et l’Ecole de Paris che resterà aperta fino al 24 novembre.  La mostra è  una vera perla per la fine dell’estate. Organizzata in collaborazione con il Centre Pompidou di Parigi e alcune  collezioni  svizzere, vi lascia godere di ottanta capolavori che illustrano l’opera di Modigliani a partire dal suo arrivo a Parigi, nel 1906. Nella mostra seguirete le trasformazioni dell’opera di Modigliani, ma potrete capire da vicino l’impatto e l’influenza esercitati dalla città culturale più viva del momento sul giovane pittore. E così vedrete  nelle tele di Modigliani l’incontro con le opere di Toulouse-Lautrec e poi il suo incontro decisivo con la scultura e con l’opera di Brancusi.  La mostra poi non tralascia di raccontarci l’arrivo a Parigi di Chaim Soutine e di Chagall e non è difficile immaginare la vita nel piccolo studio a Montparnasse e poi nella casa  a Montmartre. Vi si incontra anche il suo ultimo amore, la modella diciannovenne Jeanne Hebuterne, che si suicidò il giorno dopo la morte del pittore, nel 1920.

Alla fine della mostra consiglio poi una visita al giardino della fondazione, dove troverete un nucleo di sculture  tra cui Henry Moore, Calder, Max Bill e Dubuffet.

I musei si espandono: il nuovo Louvre a Lens

E così i musei si sdoppiano, aprono succursali. E più sono ospitali e più vengono visitati diventando luoghi dove trascorrere il proprio tempo e divertirsi. La prima succursale se la è inventata la Solom R. Guggenheim Foundation quando nel 1997 aprì a Bilbao lo spettacolare museo di Frank Gehry: ricordate il clamore e il successo che ne seguì? Ebbene il Guggenheim ha poi ha continuato la sua espansione e, sempre nel 1997, ha aperto un’ altra sede a Berlino. Prossimamente ne aprirà una ad Abu Dhabi, mentre la sede di Venezia merita considerazioni diverse perché è stata, più che una nuova sede, l’assorbimento di un museo che doveva rimanere veneziano e italiano.
Frank Gehry, Museo Guggenheim, Bilbao
In genere sono musei nuovi realizzati da architetti importanti come nel caso del nuovo Centro Pompidou, sorto a Metz, nel 2010, per opera dell’architetto giapponese Shigeru Ban. Il Centro ospita mostre con opere prese in prestito dalle collezioni del Museo d’arte moderna di Parigi.

È di questi giorni la notizia di una nuova sede distaccata aperta da un grande museo. Ancora una volta in Francia, questa volta ad opera del Louvre. Infatti, dal 12 dicembre, sarà possibile visitare una sua succursale nella città di Lens, nella Francia del nord. Il Museo è stato costruito dagli architetti giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, che lavorano assieme sotto il nome di SANAA.
Louvre, Lens
Si tratta di una realizzazione enorme: più strutture espositive, la principale delle quali è un hangar lungo 120 metri, realizzato in alluminio e vetro, di grande eleganza e armonia. E’ stato chiamata la Galleria del tempo perché strutturata lungo una linea temporale (una time line) che si dipana all’interno di essa, accompagnando il visitatore dall’antichità sino al secolo appena trascorso. Conserva opere provenienti per la maggior parte dal Louvre (il diciannovesimo secolo è rappresentato da quelle del Museo d’Orsay, naturalmente) che vi rimarranno per cinque anni. Vi è poi uno spazio a pareti mobili per esposizioni temporanee e vi è anche uno spazio (una specie di grande scatola in vetro) pensato per esposizioni di storia e cultura locale. La luce naturale prevale e la struttura può regolarne la quantità in entrata.
Tutta questo fermento ci fa venire la voglia di mettersi in viaggio. Ma, al contempo, ci assale il dispiacere che l’Italia non partecipi a queste rivoluzioni culturali; anzi spesso si lascia scappare anche ciò che di grande ha nel suo territorio.