La sala di lettura

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Parrebbe che le più sfrenate fantasie siano in questo periodo dedicate al tema del cibo. Si parla di cibo dappertutto dalla televisione ai social media alla stampa. Persino l’expo si intitola “Nutrire il paese”.

Oggi anche noi parliamo di cibo ma non per indicare l’ennesima pubblicazione, ma una serie di incontri organizzati a Napoli da due donne Fiorella Mainenti e Rita Adinolfi intitolati: Lacrime in cucina senza cipolle soufflé sgangherati e cuori infranti. Si parla di cibo, certo ma con riferimento al suo utilizzo per costruire una relazione affettiva.

Ieri si è tenuto il primo incontro, dedicato al ragù e vi hanno partecipato artisti e letterati. Si sono indagati riferimenti letterari e storici legati alla tradizione napoletana. Ma il tutto con l’obiettivo di usare il ragù per sedurre. Alla fine della risata non è mancato il divertimento e dopo il desiderio di cibo virtulae un buon piatto di ragù è arrivato davvero.

Il prossimo incontro si terrà sulla cucina biologica, e si metteranno a confronto le diverse tendenze:“che rè glamoor e mood?” (che cosa è il glamour e il mood?).

Ultimo incontro, il 3 giugno,  è un omaggio ai legami con la Francia (e quando si parla di seduzione la Francia salta sempre fuori) e sarà dedicato alla zuppa di cipolla: “ma si tu o è a cipolla?” ( ma sei tu che malaodori o è  la cipolla?).

Le organizzatrici del progetto hanno scelto questa frase sibillina per i loro incontri: Chiunque pensi che la strada verso il cuore di un uomo non debba passare attraverso la cucina verrà bocciato in geografia.

 Gli incontri si tengono presso la libreria IOCISTO di Napoli.

Ingresso gratuito previa prenotazione all’indirizzo info@iocistolibreria.it …p’ furtuna ca’ nun s’ pava! ( per fortuna che non si paga).

 

Oggi non si “fa il piatto” si “impiatta”!

julia child“Impiattare”, ma siamo sicuri che esista davvero questo verbo? Che nel vocabolario abbia un suo posto fra “impiastro” e “impiccagione” (ho controllato credetemi non ce n’è traccia!)? Che faccia parte della tradizione culinaria italiana, magari del gergo gastronomico?

Bho! Non è molto importante, importante è notare, in questa epoca di crisi profonde, quanto la cucina, il cibo e tutto ciò che ruota attorno ad esso entrino prepotentemente nella nostra vita quotidiana attraverso la televisione. Non c’è programma, magazine, notiziario che non dedichi almeno una rubrica al cibo.

Che si tratti di Master Chef (Italia, USA, addirittura Australia) o della bellona di turno che si posiziona dietro i fornelli, dello sconosciuto cuoco o di Julia Child, veniamo bombardati quotidianamente da “ganache” al cioccolato, “fumetti” di pesce,  “supreme” di pollo, legumi alla “bordolese” e chi più ne ha ne metta!

La cucina è diventata spettacolo. Godiamo del povero aspirante cuoco maltrattato, vessato dallo chef di grido. Facciamo il tifo per chi riesce ad impanare meglio la fettina, ci agitiamo in poltrona dando consigli come davanti alla nazionale di calcio. Il nostro metodo è senz’altro migliore, più efficace, più gustoso di quello mostrato. Tutto fa spettacolo, la lacrima di chi deve lasciare i reality e la parolaccia quando capitano da cucinare le rane, i duelli ai fornelli, le gare a chi cucina il piatto più innovativo!

Cucinare è nel DNA degli italiani, siamo tutti bravi, se non altro utilizziamo di preferenza materie prime fresche e in genere di ottima qualità, è vero, ma attenzione a questi specchietti per le allodole. Cucinare in modo professionale è tutt’altra cosa. Occorre una lunga preparazione e una lunga gavetta. Essere “creativi” in cucina è molto pericoloso, lasciamolo fare a chi ha studiato anche la composizione degli alimenti, a chi ha la competenza per accostare sapori ed odori, non tutti siamo nati “chef”. La cucina oltre che un’arte è una scienza e richiede dunque non solo talento, ma lunga preparazione.

Chiacchiere del lunedì

Prova mafalde

Mettiamocelo bene in testa: comprare il cibo equivale ogni volta a prendersi un rischio. Quando sei nel supermercato non sai più quale scelta fare, perché più le confezioni sono attraenti più temi la fregatura solenne. Le confezioni poi rimandano al ricordo che abbiamo dei volti felici delle famiglie nella pubblicità, dove attorno al sofficino tutti trovano una pace e una soddisfazione invidiabili. Mamme felici, bambini sorridenti e scanzonati, nonni soddisfatti e poi giù un bombardamento di cuochi creativi e pieni di ingegno, che occupano il nostro tempo libero per spiegarci cosa potremmo cucinare.

FOOD-FRAUD-11

Eppure qualcosa non quadra. Ogni tanto, un po’ di questa comunicazione viene sbugiardata da notizie che ci fanno una gran paura. Questa settimana è stata la volta della carne di manzo sostituita dalla carne di cavallo che, per carità, non sarebbe poi un gran male, se il cavallo non fosse un cavallo da corsa dopato con farmaci dannosi per gli esseri umani. E così sono state ritirate alcune lasagne e alcuni ravioli dagli scaffali del supermercato.

Il problema è che ci troviamo senza risorse davanti alle frodi alimentari. Ci siamo forse abituati troppo bene e invece di farcele noi le lasagne e i ravioli ora li si acquista confezionati. È pericoloso incominciare a non fidarsi perché si entra in un loop dal quale poi è difficile uscire. Infatti sa arriviamo alle materie prime, la carne appunto, la farina, l’olio… tutto con un po’ di furbizia può essere sofisticato…

Ad esempio, si legge che con pochi grammi di clorofilla qualunque olio, anche di semi, può sembrare olio di oliva. Oppure abbiamo la mozzarella di bufala che prima è in crisi per la diossina, poi perché viene annacquata con il latte vaccino, che costa meno.

Senza parlare del pesce al cromo, del vino al metanolo o dei taralli pugliesi alla crusca per cavalli…

Sono solo alcuni esempi. Se guardate sul web troverete tante notizie e molte si contraddicono tra loro; al punto tale che alla fine ti gira la testa e senti che sei lontana dalla verità. L’unica cosa che sappiamo è che le frodi sanitarie sono in aumento, con lo scopo di aumentare il profitto di pochi.

L’oro dei saraceni

Immaginatevi già seduti di fronte al mare, con un aperitivo fresco fra le mani a guardare l’orizzonte, finalmente in vacanza!

Il sole cala e la canicola della giornata viene spazzata via da un venticello leggero e rinfrescante che porta il profumo della macchia mediterranea… Ho reso l’idea? A questo punto ci vorrebbe qualcosa di sfizioso per finire la giornata in gloria, certo se fossimo in Sicilia, seduti comodamente sulla terrazza di un ristorante potremmo facilmente ordinarli e gustarli appena fritti, pregustando già con gli occhi la rottura della crosta dorata e croccante e la fuoriuscita del formaggio filante e del ragù, ma purtroppo ci troviamo sul balcone di casa nostra in città e allora… non ci rimane che farceli da soli!

Gli arancini siciliani (o meglio le arancine, come dicono a Palermo) sono uno dei piaceri più genuini della vita! Come molte pietanze isolane sono retaggio della conquista saracena della Sicilia, quando i nuovi arrivati importarono i gusti e i profumi del vicino oriente. Infatti proprio gli arabi usavano porre al centro della tavola un piatto di riso allo zafferano che ogni commensale poteva poi condire a piacimento con carni diverse e verdure, servendosi direttamente dal piatto con un pugno di riso e riempiendolo di leccornie (da qui la forma rotonda). Pare che solo all’epoca dei normanni, con l’imperatore Federico II si iniziò a impanare l’arancino e a friggerlo. La necessità di portare il cibo con sé durante i viaggi o le battute di caccia imponeva un metodo per conservarne al meglio gli aromi all’interno (mica stupidi gli avi, con la loro idea di take away!).

Se all’inizio il ripieno poteva essere diverso, oggi si considera classico l’arancino con il cuore di ragù di carne, piselli e mozzarella, sebbene, se vi fate un giro nelle friggitorie sicule, le nuove tendenze si riallacciano al passato e troverete arancini ripieni di sole verdure o di pesce.

La ricetta è chiaramente una bomba calorica, ma fa parte di quei tesori italiani che, come diceva la mia nonna (napoletana) “é necessario saper cucinare prima di potersi sposare” (sebbene la mia nonna si riferisse al peperone ripieno!).

Questi gli ingredienti per 12 (se avete le manine sapienti anche di più, se avete le manone decisamente meno) arancini. Accanto ad alcuni ingredienti, fra parentesi troverete il suggerimento di una “maga dell’arancino” nonna Cettina, siciliana DOC, che da 60 anni prepara inarrivabili arancini per la sua famiglia.

500 di riso (il carnaroli andrà benissimo)

1 cipolla piccolina,

un bicchiere di vino bianco secco

gr. 200 di polpa di manzo tritata (sarebbe decisamente meglio acquistare il pezzo intero, scamone ad esempio, e sminuzzarlo al coltello)

gr. 100 di polpa di maiale tritata (nonna Cettina non approverebbe la carne di maiale)

gr. 250 di piselli novelli (perfetti quelli surgelati, meglio ancora se già cotti in un soffritto leggero leggero di cipolla)

gr. 150 di salsa pomodoro (il concentrato è decisamente meglio),

1 tazza  di brodo vegetale (anche di dado)

alcune foglie di basilico,

gr. 100 di burro,

1 bustina di zafferano (i puristi non lo usano, dipende dal gusto personale)

gr. 100 di formaggio grana grattugiato,

4 uova,

gr. 200 di mozzarella (molto meglio il porvolone dolce, che fila e non rilascia acqua)

gr. 400 di pangrattato,

gr. 200 di farina

olio extravergine di oliva,

sale, pepe,

abbondante olio per friggere.

Fare un ragù, facendo appassire la cipolla sminuzzata nell’olio di oliva, aggiungendo le carni e sfumando con il vino bianco. Dopo qualche minuto versare il il concentrato di pomodoro e brodo quanto basta e lasciar cuocere finché la carne é pronta. A fine cottura aggiungere i pisellini novelli. Mettete il ragù a raffreddare.

Preparate il riso facendolo cuocere in abbondante acqua salata (o in 2,5 litri di brodo anche di dado) e lasciate che il riso assorba la maggior parte del liquido di cottura. Appena tolto dal fuoco aggiungete lo zafferano (sciolto in una mezza tazzina di acqua, se vi piace), il burro, due uova e il parmigiano grattugiato. Mescolate per benino e aspettate che si raffreddi.

Una volta che tutti gli ingredienti si sono raffreddati preparate gli arancini prendendo un adeguata quantità di riso nel palmo della vostra mano e aggiungendo ragù e provolone a pezzetti in abbondanza. Richiudete con altro riso. Procedete delicatamente all’impanatura prima nella farina, poi nell’uovo (una dritta per impanare: se montate le chiare a neve e passate gli arancini nella “neve” saranno infinitamente meno scivolosi e più maneggevoli inoltre la doratura del fritto sarà perfetta) e infine nel pangrattato.

A questo punto potete friggerli subito in abbondante olio oppure surgelarli e cuocerli in seguito, l’importante é che quando li mangiate siano caldi caldi

GNAM!