Non v’è bellezza, se non nella lotta: cento anni dalla morte di Umberto Boccioni

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La strada entra nella casa, 1911

Quando Enrico Crispolti professore di storia dell’arte contemporanea all’Università di Siena esperto di Futurismo parlava di Umberto Boccioni, ci faceva notare che la sua morte prematura nel 1916, al fronte come volontario nella prima guerra mondiale, ci rendeva impossibile capire come si sarebbe trasformata la sua arte dopo aver vissuto la drammaticità della guerra. In guerra Boccioni ci andò come futurista convinto ,ma sul campo, ebbe una forte crisi che lo aveva cambiato.

A cento anni dalla morte di Umberto Boccioni  Milano ha organizzato  una grande mostra a Palazzo Reale che rimarrà aperta fino al 10 luglio.

Nella sua biografia si ricordano le sue origini romagnole l’inizio dei suoi studi tecnici,  la sua permanenza a Roma nel 1989  con  Severini, nell’atelier Balla  dove si dedicò allo studio della pittura seguendo le ricerche divisioniste. Quando si trasferisce a Milano subisce l’ impatto con l’arte di carattere sociale e denuncia. Mario De Micheli l’ha definisce “verismo sociale” .

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Umberto Boccioni, Materia, 1912

E poi finalmente il futurismo che lui abbraccia fin dal primo momento quando nel 1909, viene scritto da Marinetti il primo manifesto che  nasce “come antitesi violenta sia verso l’arte ufficiale che verso il verismo umanitaristico: nasce con l’aspirazione verso la modernità”. E Umberto Boccioni ne fa parte da subito e indirizza la sua arte verso il nuovo che avanza: i tempi dell’era industriale e della velocità.

Compagni-scrivono nel Manifesto di pittori futuristi (1910)-noi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro“.

Questo lo si vede bene nel dipinto di Boccioni, Città che sale del 1911. Il soggetto ha sempre un carattere  sociale: operai, muratori ma ormai l’ispirazione è cambiata, la costruzione della nuova città indica la costruzione dell’avvenire.

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Umberto Boccioni , La città che sale, 1910-11

Sempre nel 1911 Boccioni si reca a Parigi dove può entrare in contatto con l’avanguardia francese in particolare con il cubismo. Il suo interesse si allarga  anche alla scultura e tramite essa l’espansione delle forme nello spazio esprimendo il concetto di line-forza e di  manifestazione dinamica della forma.

I suoi studi per gli oggetti nello spazio e le influenze dei volumi nell’ambiente sono un’anticipazione di tanta arte futura, in fondo le sue sculture sono l’origine delle installazioni di tanti artisti che verranno dopo i lui.

Boccioni è una delle glorie dell’arte italiana; a Milano sono 280 opere: è un’occasione per comprendere  come “L’importanza di Boccioni e del primo futurismo-Scrive Mario De Micheli- sta nel rinnovamento , della sensibilità di fronte alla realtà contemporanea”.

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Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi, 1912

Possiamo aggiungere che portò l’Italia al passo, se non ad esserne capofila, con l’arte internazionale.

Dinamismo e azione simultanea: l’arte di Umberto Boccioni

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Umberto Boccioni, Forme uniche di continuità dello spazio,1913

Una mostra che non vorrei perdermi, quest’anno, è quella che si aprirà a Milano il 23 marzo, dedicata ad Umberto Boccioni . Si terrà nel Museo del Novecento a Palazzo Reale.

È il centenario della sua morte, una morte prematura che avviene dopo il suo rientro dalla guerra, per una caduta da cavallo nel 1916. Boccioni muore da artista futurista e rimane per sempre il rappresentante più significativo di questo movimento. Un movimento di portata internazionale che pose  l’Italia al centro delle avanguardie europee. Assieme ai suoi dipinti più famosi, vedremo i suoi esperimenti scultorei, come il grande bronzo  “Forme uniche di continuità nello spazio” del 1913 , oppure “Lo sviluppo di una bottiglia nello spazio”  del 1912, entrambi già proprietà del Museo del Novecento. Per ora sono state annunciate più di trecento opere comprendenti anche disegni, fotografie d’epoca, riviste e documenti.

La mostra sarà una mostra-studio ed è stata divisa in due sezioni: Il giovane Boccioni (1906-1910) e Boccioni futurista, pratica e teoria (1911-1916).Umberto_boccioni_la_città che_sale

Avremo modo di capire come i concetti di dinamismo e simultaneità siano stati tutto per lui, che  coglieva l’oggetto nell’ambiente mettendone in evidenza le linee di forza . Un oggetto, nell’opera di Boccioni, vive nella realtà, mai in modo statico . “Il dinamismo– scrive Boccioni- è l’azione simultanea del moto caratteristico particolare dell’oggetto è la trasformazione che l’oggetto subisce nei suoi spostamenti in relazione all’ambiente mobile o immobile”.

Sarà una mostra tutta da capire e studiare e per rivalutare ancora una volta il lavoro di questo artista anticipatore di molta arte a venire.

La città ideale

 

Pensare alla città ideale, utopia del Rinascimento è un tema oggi attuale e suggestivo. L’idea della mostra, non è partita a caso ad Urbino dove già risiede la famosa tavola quattrocentesca di una veduta urbana senza figure umana dove, si vede una grande piazza aperta fra un’insieme di architetture perfettamente concepite come in una visione fotografica di un grand’angolo.  Di opere simili se ne conoscono altre tre, una di Baltimora che è possibile vedere in mostra e un’altra invece che è a Berlino .

Il mistero della tavola di Urbino  ha sempre affascinato,  non si conosce l’autore né si sa perché fu realizzata. Già nell’Otttocento si era pensato che fosse opera di Piero della Francesca anche se poi non è mai stata confermata l’ipotesi  e ancora oggi è sconosciuto il suo autore.

Cosa si intuisce della città ideale rappresentata in queste tavole? Per prima cosa l’ opera era influenzata dalle idee di Leon Battista Alberti e seguiva il rigore matematico e scientifico di Luca Pacioli. Ciò che si evidenzia è il concetto di armonia, di misura, tipico della cultura umanistica. In mostra quindi sarà possibile comprendere il passaggio di mentalità dalla città medievale all’architettura rinascimentale, decisivo per lo sviluppo della nostra società.

Un passaggio della storia che mi ha fatto fare anche a me un salto cronologico e mi ha portato al secolo scorso quando nel 1914 fu scritto  il Manifesto della città futurista dall’architetto Sant’Elia. Secondo lo spirito futurista  si immaginava  e teorizzava  la città del futuro, una città  sempre più meccanicizzata e industriale con grandi grattaceli, uniti tra loro da grandi passerelle e terrazzi.

E così mentre nel Rinascimento l’uso della prospettiva aiutava a trovare l’armonia nella visione, l’uso della prospettiva nelle opere di Sant’Elia serviva ad esasperare il dinamismo delle costruzioni creando quasi un effetto ottico e illusorio.

Oggi ci si domanda qual è per noi la città ideale? Non certo più quella rigorosa e geometrica che governava la città del Rinascimento ma neanche più quella che saluta con ottimismo l’era dell’industria. Oggi si potrebbe dire che all’eccitamento per la modernità si è sostituito  dal  desiderio di lentezza e da architetture  ecosostenibili in linea con un maggior rispetto per la cultura del verde .

La mostra in corso è “La città ideale. L’Utopia del Rinascimento a Urbino tra Piero della Francesca e Raffaello” a cura di Lorenza Mochi Onori e Vittoria Garibaldi. Urbino galleria delle Marche. Aperta fino all’8 luglio. Per saperne di più www.mostracittaideale.it