Durer e il rinascimento tra Germania e Italia

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Albrech Durer, Granchio di mare,

Ci sono delle date, nella storia dell’arte, che  non si devono dimenticare perché segnano momenti di svolta, punti chiave di cambiamento. Una di queste è il 1494: Albrecht Durer compie il suo primo viaggio a Venezia. L’arte italiana si fonde con l’arte del nord Europa . La mostra allestita a Palazzo Reale a Milano, dal titolo Durer e il rinascimento tra Germania e Italia, lo spiega molto bene.  Durer è il grande disegnatore, incisore e teorico dell’arte di Norimberga (1471-1528) . Massimo maestro del rinascimento tedesco, con il suo primo viaggio a Venezia, Padova e Mantova riuscì a fondere lo stile nordico con quello plastico e monumentale di artisti italiani come Andrea Mantegna o Giovanni Bellini.

In mostra vedrete la magnifica  Adorazione dei Magi, del 1504, proveniente dalla Galleria degli Uffizi, con al centro i Magi e i loro preziosi doni;  oppure potrete godervi la piccola, ma bellissima, tavola di San Gerolamo penitente, raffigurato ormai spoglio dei vestiti terreni ma abbigliato di una tunica  blu, segno di spiritualità e trascendenza, con alle spalle un maestoso leone dalla criniera soffice e circondato da una natura degna di un arazzo millefiori.

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Albrecht Durer, San Gerolamo penitente, 1496

La notorietà e la larga diffusione delle opere di Durer fu dovuta principalmente al suo lavoro di xilografo.  In mostra si possono ammirare tavole dal ciclo della Grande Passione  o di quello dell’Apocalisse, realizzato in 15 xilografie  nel 1498. Oltre a ciò, potrete rivedere le sue due incisioni più famose: Il cavaliere la morte e il diavolo, del 1513, e Melancholia I, del 1514.

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Albrecht Durer, Melacholia I, 1514

Troverete una serie di ritratti che ben illustrano il suo legame profondo con l’arte italiana e viceversa. Al termine della mostra vedrete il celebre ritratto di una donna anziana, del Giorgione, che esprime bene l’influenza di Durer nella scelta realistica e di acuta indagine psicologica intrapresa dall’artisti veneziano .

Esco dalla mostra, ritiro la borsa al guardaroba e sono tutta felice di averla visitata. La guardarobiera vede il mio volto soddisfatto  e  mi rivela un segreto:  a giorni arriverà in mostra anche il  famoso autoritratto di Durer . Non specifica se si tratta di quello del Louvre o dell’autoritratto del Prado, ma la signora mi spiega che non dovrò nemmeno rifare il biglietto.  Mi sembra una gran bella notizia: penso che ci tornerò.

Non v’è bellezza, se non nella lotta: cento anni dalla morte di Umberto Boccioni

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La strada entra nella casa, 1911

Quando Enrico Crispolti professore di storia dell’arte contemporanea all’Università di Siena esperto di Futurismo parlava di Umberto Boccioni, ci faceva notare che la sua morte prematura nel 1916, al fronte come volontario nella prima guerra mondiale, ci rendeva impossibile capire come si sarebbe trasformata la sua arte dopo aver vissuto la drammaticità della guerra. In guerra Boccioni ci andò come futurista convinto ,ma sul campo, ebbe una forte crisi che lo aveva cambiato.

A cento anni dalla morte di Umberto Boccioni  Milano ha organizzato  una grande mostra a Palazzo Reale che rimarrà aperta fino al 10 luglio.

Nella sua biografia si ricordano le sue origini romagnole l’inizio dei suoi studi tecnici,  la sua permanenza a Roma nel 1989  con  Severini, nell’atelier Balla  dove si dedicò allo studio della pittura seguendo le ricerche divisioniste. Quando si trasferisce a Milano subisce l’ impatto con l’arte di carattere sociale e denuncia. Mario De Micheli l’ha definisce “verismo sociale” .

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Umberto Boccioni, Materia, 1912

E poi finalmente il futurismo che lui abbraccia fin dal primo momento quando nel 1909, viene scritto da Marinetti il primo manifesto che  nasce “come antitesi violenta sia verso l’arte ufficiale che verso il verismo umanitaristico: nasce con l’aspirazione verso la modernità”. E Umberto Boccioni ne fa parte da subito e indirizza la sua arte verso il nuovo che avanza: i tempi dell’era industriale e della velocità.

Compagni-scrivono nel Manifesto di pittori futuristi (1910)-noi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro“.

Questo lo si vede bene nel dipinto di Boccioni, Città che sale del 1911. Il soggetto ha sempre un carattere  sociale: operai, muratori ma ormai l’ispirazione è cambiata, la costruzione della nuova città indica la costruzione dell’avvenire.

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Umberto Boccioni , La città che sale, 1910-11

Sempre nel 1911 Boccioni si reca a Parigi dove può entrare in contatto con l’avanguardia francese in particolare con il cubismo. Il suo interesse si allarga  anche alla scultura e tramite essa l’espansione delle forme nello spazio esprimendo il concetto di line-forza e di  manifestazione dinamica della forma.

I suoi studi per gli oggetti nello spazio e le influenze dei volumi nell’ambiente sono un’anticipazione di tanta arte futura, in fondo le sue sculture sono l’origine delle installazioni di tanti artisti che verranno dopo i lui.

Boccioni è una delle glorie dell’arte italiana; a Milano sono 280 opere: è un’occasione per comprendere  come “L’importanza di Boccioni e del primo futurismo-Scrive Mario De Micheli- sta nel rinnovamento , della sensibilità di fronte alla realtà contemporanea”.

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Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi, 1912

Possiamo aggiungere che portò l’Italia al passo, se non ad esserne capofila, con l’arte internazionale.

La poetica del volto: ritratti e autoritratti del XX e XXI secolo

Maria Lassnig, Autoritratto, 1981, Corridoio Vasariano, Uffizi
Maria Lassnig, Autoritratto, 1981, Corridoio Vasariano, Uffizi
Come ti vedo, come vuoi essere visto e cosa esalterò del tuo volto. Come mi vedo io e cosa voglio raccontare di me. Queste sono alla base le risposte che si trovano quando ci troviamo di fronte all’arte del ritratto e dell’autoritratto. Due temi indagati in lungo e largo nell’arte di tutti i tempi e  in questo periodo in Italia,  all’attenzione di due istituzioni di pregio come il Palazzo Reale a Milano e il Corridoio Vasariano a Firenze.
A Palazzo Reale, con la mostra “Il volto del ‘900 da Matisse a Bacon,” dove sono esposti capolavori dal  Centre Pompidou si vuole  indagare la rivoluzione del ritratto nell’arte moderna e contemporanea partendo dalla nascita della fotografia . Ottanta ritratti che ripercorrono la storia delle avanguardie e del secondo novecento, Matisse, Bonnard, Modigliani, Giacometti , Bacon. La mostra rimarrà visitabile fino al 9 febbraio.  A Firenze  si potrà visitare il nuovo allestimento  del Corridoio Vasariano , nella parte che va  verso Pitti e Boboli, dedicata agli autoritratti del XX e del XXI secolo. Il corridoio vasariano che da sempre è la più antica collezione di autoritratti, si apre per cinquanta metri  al contemporaneo  e presenta gli autoritratti di artisti come Carrà, Giorgio de Chirico, Michelangelo Pistoletto, Chagall, Guttuso ma anche più giovani come  Jan Fabre che indaga attraverso il suo volto l’idea della mutazione , o Jenny Holzer che si presenta sottoforma di parole , Vanessa Beecroft con un vestito lungo bianco e in braccio due bambini neri, e la potente e fragile Francesca Woodman.
A Milano una passeggiata nell’arte attraverso il ritratto sarà  utilissima per capire un’epoca e  i mutamenti nel campo della raffigurazione umana, mentre,  a Firenze, una passeggiata tra gli autoritratti, sarà l’occasione per scoprire l’animo degli artisti espresso attraverso la  loro poetica.