
In questi giorni se ne parla molto: è giusto che gli italiani all’estero possano votare?
Si tratta di una questione che fa parlare: in effetti, chi da molto tempo vive fuori dall’Italia, può aver perso quei legami e quella prossimità di vita e di intenti che sono necessari per esercitare pienamente i diritti di partecipazione civile. V’è chi va giù ancora più duro: questi italiani all’estero non pagano le tasse e quindi che vadano al diavolo.
Tutte posizioni legittime, ma superficiali. E io voglio spiegare perché la penso diversamente.
Gli italiani all’estero sono ambasciatori preziosi del modo di vivere italiano. E oggi, questo modo di vivere non è più pizza e mandolino ma arte, architettura, cibo, moda, arredamento, un una parola: stile. Lo stile italiano, ossia un elemento formidabile di soft power: la capacità di influenzare e attrarre gli altri attraverso la cultura. Un elemento di potere che, in un mondo globalizzato e per un paese votato all’export, vuol dire ricchezza. Non solo: tanti italiani all’estero occupano posizioni rilevanti in aziende, università, organizzazioni internazionali, media. Sono “prodotti” di un’Italia di successo, che danno un’immagine dinamica e internazionale del nostro paese. Levar loro il voto vuol dire privarli dell’appartenenza a una comunità che si riferisce sempre e comunque all’italianità.
Ma non c’è solo questo: gli italiani all’estero mandano soldi a casa, spendono in italia (per ragioni di famiglia o di proprietà), creano opportunità per altri italiani, e tutto questo lo fanno a costo zero perché non pesano sul nostro welfare (ci si cura all’estero) e magari una volta acquisita una buona pensione, dopo una vita di lavoro, la vengono a spendere in Italia.
Occhio a dire che gli italiani all’estero sono un peso. Io credo che siano una risorsa e che il voto serva a tenerli legati al paese più di quanto non si creda.

