Con l’arte ci si arricchisce?

Andy Wharhol, dollar sign
Andy Warhol, Dollar sign

Da meno si una settimana è arrivato a Bologna a Palazzo Fava il quadro “La ragazza con l’orecchino di Perla” opera molto famosa del pittore Jan Vermeer (il quadro è tanto più famoso dopo il romanzo di Tracy Chavalier “La ragazza dall’orecchino di perla” del 1999 dal quale successivamente fu tratto anche il film di Peter Webber).  L’occasione si è subito trasformata in un successo di pubblico, ci sono già più di 120 mila prenotazioni.

Jan Veermer
Jan Veermer, 1665-66

Mentre, però, le persone si accalcano per andare a vedere l’opera, molti esperti e storici dell’arte polemizzano e imputano al curatore Marco Goldin di essersi piegato ancora una volta alla cultura intesa come evento.  Definito inventore del business delle grandi mostre, Marco Goldin ribatte che la “bellezza è superiore a qualsiasi polemica” e con eventi del genere “ pago lo stipendio a un centinaio di persone” (da La Stampa, domenica 9 febbraio, p.19). Oltre a tutto, questa macchina espositiva attira tanti visitatori che possono scoprire così “Bologna, una città splendida e poco visitata”e infine generare tanti soldi.

Cosa è dunque che ci risuona tanto fastidioso?

Credo, caro Goldin, che la ragione di questo disagio sia un sottile senso di colpa che ci portiamo dietro: è come se fossimo ancora recidivi e convalescenti da una sbornia di trionfi, di soldi, di audience e di pubblico, e di marketing aziendale che alla fine è risultato una farsa. Il nostro paese ancora non si è riavuto da quella promessa fallita che si basava sul benessere economico fatto di sponsor e pubblicità. E quando si parla di arte in termini economici e di posti di lavoro ci sembra di sentire il suono della pubblicità e ci appaiono davanti agli occhi le televendite, i fustini, i salotti e  i materassi.

Ciò nonostante la mostra di Bologna  è un successo, tutti vogliono vedere il quadro: perchè? Perché quello di Vermeer  più che un quadro è un mito; vederlo ci illude di essere partecipi ad un evento mondano. Non a caso proprio tu affermi che un altro quadro che più di ogni altra vorresti portare in mostra sarebbe La Gioconda.  L’icona globale per eccellenza che grazie all’industria pubblicitaria ha più di ogni altra opera saturato l’immaginazione popolare.

Ecco allora che  l’ansia risale e ci viene da esclamare: non vogliamo più inseguire la fama o un sogno, è il momento di regalarci  la verità e avvicinarci alla complessità della storia dell’arte. Come spiega bene Tomaso Montanari nel suo libro Le pietre e il popolo , edito da Minimu fax, “studiare la storia non serve ad emozionarsi, ma a educarsi all’esattezza, alla presa sul reale, alla capacità di modificarlo” (p. 151).

Dovevo vivo a Ginevra, ad esempio, la verità è una lezione continua.  La verità ripetuta è che la cultura costa tanto e non si può sprecare niente. Non mancano le mostre, ma non ho mai eventi eccezionali a cui partecipare, piuttosto percorsi da eplorare e a volte nemmeno tanto facili da comprendere. In fondo una mostra è il risultato di una ricerca, che si programma per tempo e si studia da tutti i punti di vista.  A Ginevra non tutte le mostre hanno un catalogo, però si trovano sempre le fotocopie durante il percorso e anche la pubblicità è ridotta al minimo.  Niente carte patinate per gli inviti ma semplici cartoncini e molte news letter per e-mail, poi conferenze, approfondimenti e visite guidate.  I volontari  di tutte le generazioni sono ben accetti e danno un contributo importante a tenere aperte le sale e ad accoglierei visitatori.

Sarà un segno positivo, ma mi domando come mai l’unica tappa europea del tour del quadro La ragazza con l’orecchino di Perla è stata fatta in Italia?

Il ragazzo con il panciotto rosso

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Il ragazzo con il panciotto rosso di Paul Cézanne è tornata da pochi giorni in Svizzera. L’opera, rubata quattro anni fa a Zurigo, è stata ritrovata in Serbia. Non si sa molto del suo ritrovamento: le autorità non hanno voluto spiegare dove e come ciò sia avvenuto.  Il dipinto fa parte di un gruppo di quattro tele che vennero rubate alla Fondazione Emil G.Bührle di Zurigo il 10 febbraio 2008: oltre alla tela di Cézanne sparirono Il  Campo di papaveri a Vétheuil, di Monet, Il Ramo di castagno di Van Gogh e  Ludovic Lepic e le sue figlie, di Degas. Le prime due vennero ritrovate dopo un settimana abbandonate dentro ad una macchina vicino alla fondazione,  mentre l’opera  di Degas  non è ancora riemersa.

Ogni ritrovamento di opere d’arte fornisce motivo di festeggiare a tutti.

Tra i furti del secolo scorso più noti rimane quello della GiocondaQuando la mattina del 23 agosto dl 1911 Vincenzo Peruggia, pittore e decoratore italiano, portò via la Gioconda levandola dalla cornice  e nascondendola sotto il cappotto, tutto il mondo ne fu scioccato. La faccenda venne seguita da tutti i giornali e la notizia del furto dilagò. L’opera rimase nascosta per più di un anno. Se ne ebbe notizia solo grazie a una lettera inviata a un antiquario fiorentino. Nella lettera il ladro si diceva disposto a renderla all’Italia in cambio di cinquecentomila lire, pretese come rimborso spese. Sostenuto dal conservatore fiorentino degli Uffizi, l’antiquario in questione si dichiarò interessato all’offerta, così Pontiggia prese il treno da Parigi e portò l’opera a Firenze. Gallerista e conservatore, dopo aver appurato che l’opera era l’originale,  chiamarono la polizia e fecero arrestare il ladro. Il governo italiano poi rispedì la Gioconda al Louvre.

Un’altra opera, che ha visto ben due furti nell’arco di dieci anni, è l’Urlo di Munch, che si trova a Oslo; l’opera infatti è stata rubata prima per tre mesi nel 1994 poi ancora una volta nel 2004.

L’Italia che di ruberie e sottrazioni illecite, anche con opere spedite all’estero, ne ha viste molte ha  redatto una Banca dati dei Beni Culturali illecitamente sottratti, per orientare e facilitare le indagini delle autorità.

Fa onore al nostro paese la figura di Rodolfo Siviero, che visse a Firenze e fece dell’inseguimento e del recupero delle opere d’arte italiane rubate dai nazisti durante il Secondo Conflitto Mondiale la ragione principale della sua esistenza. Era quasi un agente segreto e tutta la sua opera si concentrò prima nel contrastare ed impedire la cessione delle opere e poi nel recuperare ciò che era sparito in mani naziste. Il museo in quel caso più colpito fu quello degli Uffizi che fu praticamente svuotato. Tra le opere più importanti salavate si ricorda l’Annunciazione del Beato Angelico, il dipinto si trovava nel convento francescano di Montecarlo presso San Giovanni Valdarno. Siviero saputo in anticipo che i tedeschi avevano deciso di prendere l’opera, la portò via e la fece nascondere prima dell’arrivo dei militari.

Oggi la sua casa è diventata un Museo, si trova sui Lungarni di Firenze e conserva la sua collezione. L’opera di Siviero rimane di esempio per  quella parte di Italia che ha a cuore il proprio patrimonio culturale.