La La Land che divertimento!

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Non sono l’unica a dirlo e  forse vincerà addirittura l’Oscar ma La la Land è proprio un bel film. E’ ciò che ti aspetti da una serata al cinema. Un musical coi controfiocchi. Jazz, come sottofondo: perché il vero musical, quello che ti prende per la pancia e ti fa venir voglia di ballare, ha sempre e solamente il ritmo scappato del jazz. Balletti che richiamano gli anni ruggenti di Fred Astaire e Ginger Rogers, piuttosto che Gene Kelly. Il protagonista (un Ryan Gosling spettacolare) è un pianista che ricorda Bill Evans, ma rappresenta tutti quanti i jazzisti: quel popolo di geni che ha cambiato la musica. Lei, la bellissima Emma Stone, fa trasparire una galleria di dive, senza identificarsi con alcuna di esse, perché quegli occhi magnetici non si erano mai visti. Una storia romantica, un ritorno indietro a tanti film che porti nel cuore e con cui sei cresciuto. Esci che non ti sei neanche accorto del tempo trascorso. Segui il tuo sogno e credici fino in fondo, sembra dire il film.

Anche il gioco dei colori, in ogni ambientazione, mi ha anche colpito: in dei momenti mi sembrava di vedere la luce di Edward Hopper oppure la tavolozza dei rossi, dei blu e dei verdi di Chagall con Bella e Marc Chagall stesso che volano, amanti, alti nel cielo.

Qualcuno mi ha detto che sono esagerata e qualcuno lo ha definito un “filmettino” leggero e anche troppo sopravvalutato: non  mi sento d’accordo. E’ un film leggero come possono essere leggeri i quadri di Joan Mirò, dove dietro alle forme colorate e libere si sentiva sprigionare  l’energia positiva e divertita dell’artista.

Quando poi, tornando a casa, ho scoperto che il  regista Damien Chazelle , di cui tra l’altro avevo già visto un altro lavoro (Wiplash), ha solo 32 anni, sono rimasta davvero sorpresa; a dire il vero sono rimasta di stucco.

Bravissimo Chazelle: chissà quante altre belle cose ci farà vedere.la-la-land

Il mistero delle opere del signor Gurlitt

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Il 28 febbraio del 2012 si scopre a Monaco un tesoro composto da 1285 opere di grandi artisti delle avanguardie novecentesche, come Picasso, Chagall, Liebermannn. Sono in casa del signor Gurlitt che li ha ricevuti dal padre, commerciante di oggetti d’arte, tale Hildebrand Gurlitt: tra i pochi, durante il nazismo ad avere accesso a quella che Hitler e il suo regime consideravano arte degenerata. Solo 121 tele erano erano state incorniciate. La Germania trova questo tesoro ma non ne fa parola con nessuno fino a qualche giorno fa, quando il giornale  Focus ne dà notizia. Solo allora la procura di Augusta la conferma. Si apre il caso. Il signor Gurlitt è stato scoperto in possesso di questi quadri a causa di un reato fiscale contestatogli dalle autorità tedesche.

Si sono aperte le ipotesi più diverse. In verità sappiamo ben poco di questo corpus di opere. Ma qualcosa comunque lo possiamo dire: ad esempio, che una tela di Matisse apparteneva al nonno di Anne Sinclair, la celebre giornalista francese. Suo nonno l’aveva in casa quando dovette lasciare la Francia, perché ebreo, al momento dell’invasione nazista. Ho letto che la sua abitazione venne saccheggiata dalle truppe tedesche e che le opere da lui raccolte (era un mercante d’arte, amico di Matisse e di altri grandi pittori) sparirono. C’è una foto che lo ritrae a casa sua, prima dell’invasione, davanti proprio alla tela di Matisse ritrovata a casa Gurlitt.

Come sarà venuto in possesso delle opere il signor Gurlitt padre? Certo non si tratta del “tesoro di Hitler” come qualcuno ha ventilato: Hitler, pittore figurativo fallito e divenuto imbianchino, odiava l’arte delle avanguardie perché non la capiva e perché, magari, gli faceva pure paura: come si fa a organizzare uno stato totalitario, quando c’è ancora in giro una forma d’arte che è un continuo grido contro il conformismo?

E allora quei quadri a chi appartenevano? Alcuni dicono che Gurlitt li ha acquistati dopo la celebre esposizione di “arte degenerata” organizzata dai nazisti nel 1937, proprio per screditare agli occhi del pubblico la parte migliore della produzione artistica dei primi decenni del novecento.

Balle: se così fosse, come si spiega la presenza tra quelle opere di quella rubata al nonno di Anne Sinclair nel 1940, al momento dell’occupazione della Francia?

Per ora non si sa niente sull’acquisizione di queste opere, tranne una cosa:  v’è fortissima probabilità che siano il frutto di appropriazioni indebite, di veri e propri furti perpetrati a danno di chi allora si trovava a fuggire, incalzato da uno dei momenti più bui della storia europea.

Magari erano state tutte raccolte da un gerarca nazista – qualcuno tipo Hermann Goering – che ostentava obbedienza a Hitler e ai suoi criminali dettami, ma che in cuor suo conosceva il valore di quelle opere. E magari quel gerarca le aveva nascoste proprio grazie alla complicità di un mercante come Gurlitt che poi, a guerra finita, con il proprietario (illegittimo) in fuga o davanti al tribunale di Norimberga, si è appropriato di tutto.

L’esercito tedesco, durante la guerra, era una macchina perfettamente strutturata e organizzata. Se rubava opere d’arte, sicuramente lo faceva con alle spalle una rete che sapeva smistare la refurtiva verso qualcuno. Non v’era tanto spazio per l’iniziativa individuale. Tant’è vero che molte prove sui crimini commessi dalle forze militari e paramilitari tedesche, sono state trovate proprio grazie a questa mania di classificare e organizzare tutto. Magari Gurlitt padre era il terminale di questa rete per conto di uno o più gerarchi.

Speriamo solamente che adesso, con decenni di ritardo,sia possibile compiere un atto di giustizia e restituire tutto questo agli eredi dei legittimi proprietari.

Suona incredibile che ancora ci sia qualcuno che glorifica i crimini del nazifascismo. Ma dove vive questa gente?

Amedeo Modigliani una gloria italiana

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Amedeo Modigliani, Nu couché,les bras derriere la tete, 1916

In giro per mostre quest’estate ho scoperto un aspetto di noi italiani: abbiamo la coda di paglia.

Mi spiego meglio. Per ben due volte mi sono trovata in mezzo ad una polemica in nome della nostra italianità negata. La prima a Venezia: durante la biennale un signore si è arrabbiato moltissimo perché nei padiglioni internazionali le opere e le relative spiegazioni erano molto spesso in lingua del paese invitato e in inglese ma non c’era traccia di italiano. L’altra alla mostra Modigliani et l’Ecole de Paris, in Svizzera alla Fondazione Pierre Giannada, dove una famiglia italiana discuteva animatamente perché risentita dal fatto che nella biografia di Modigliani non si trovava menzione della sua provenienza italiana.

Che ci succede? E’ come se facessimo fatica a tenere testa agli avvenimenti culturali o come se la cultura ci sfuggisse di mano e ci sentissimo limitati o impossibilitati  di giocare un ruolo nello scenario internazionale. Coda di Paglia?

Devo dire che, se la polemica alla Biennale mi sembrava giusta, quella sulla mostra di Modigliani mi è sembrata esagerata, perché l’italianità del nostro pittore usciva da ogni aspetto della mostra, tanto che non era possibile nasconderla.

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Consiglio senz’altro la visita alla Fondazione Pierre Giannada e alla mostra Modigliani et l’Ecole de Paris che resterà aperta fino al 24 novembre.  La mostra è  una vera perla per la fine dell’estate. Organizzata in collaborazione con il Centre Pompidou di Parigi e alcune  collezioni  svizzere, vi lascia godere di ottanta capolavori che illustrano l’opera di Modigliani a partire dal suo arrivo a Parigi, nel 1906. Nella mostra seguirete le trasformazioni dell’opera di Modigliani, ma potrete capire da vicino l’impatto e l’influenza esercitati dalla città culturale più viva del momento sul giovane pittore. E così vedrete  nelle tele di Modigliani l’incontro con le opere di Toulouse-Lautrec e poi il suo incontro decisivo con la scultura e con l’opera di Brancusi.  La mostra poi non tralascia di raccontarci l’arrivo a Parigi di Chaim Soutine e di Chagall e non è difficile immaginare la vita nel piccolo studio a Montparnasse e poi nella casa  a Montmartre. Vi si incontra anche il suo ultimo amore, la modella diciannovenne Jeanne Hebuterne, che si suicidò il giorno dopo la morte del pittore, nel 1920.

Alla fine della mostra consiglio poi una visita al giardino della fondazione, dove troverete un nucleo di sculture  tra cui Henry Moore, Calder, Max Bill e Dubuffet.

Un passaporto per le arti: libera circolazione alle idee

La Gioconda, particolare del dipinto, Leonardo da Vinci, circa 1503-1507

Leonardo nel 1516 lascia l’Italia per la Francia per andare a lavorare alla corte di Francesco I, con se porta alcuni dipinti tra cui La gioconda che, dopo la sua morte (1519), entra ufficialmente nelle collezioni del re di Francia. Il dipinto riscuote da subito amplissima attenzione e, nel corso dei  secoli, diventa forse l’opera d’arte più famosa del mondo.

E’ giusto fermare gli artisti alle frontiere? Possiamo impedir loro di muoversi liberamente? Cosa tolgono le frontiere al mondo?  “ Ringrazio il destino per avermi condotto sulle rive del Mediteraneo” diceva Marc Chagall, nel 1950, quando si stabiliva definitivamente a Vence in Costa Azzurra. Lo stesso stupore felice doveva aver provato Picasso che, sempre in quegli anni, scopriva la passione per la ceramica, lavorando a Valluris. E cosa pensare delle migrazione di artisti europei in America, tra le due guerre? Saranno loro a produrre la base per l’arte americana del dopoguerra. Tra gli artisti viaggiatori penso all’artista Alighiero Boetti che, nei primi anni Settanta, si recò più volte in Afghanistan creando le famose Mappe di cui qui sotto vedete un’immagine.

Alighiero Boetti, Mappe,1972-73

Il desiderio di muoversi degli artisti sembra aver suscitato anche l’interesse della Tate Britain, che ha inaugurato da poco a Londra la mostra  Migrations: Journeys into British Art. In questa esposizione si è tentato di coprire l’arte a partire dai secoli XVI-XVII, per giungere sino ai nostri giorni, tracciando una mappa di tutti quegli artisti non inglesi che hanno risieduto in Inghilterra e hanno contribuito alla scena artistica del paese. La mostra parte da Van Dyck, passando per l’arte di Whisler, e poi di Mondrian, per arrivare ad artisti contemporanei come la belga Francis Alys che, lasciata  l’Inghilterra, attualmente vive e lavora a Messico City.