Che ossessione la felicità

Che ossessione la felicità, era il titolo di un articolo che ho letto sul Sole 24 ore di domenica 15 marzo, scritto da Remo Bodei.

L’articolo prendeva spunto da un libro di una giovane filosofa americana, Jennifer Michael Hecht dal titolo The Happiness Myth: The Historical Antidote to What isn’t Working Today (New York, HarperOne, 2007).

Franz Xaver Messerschmidt, The Yawner,1770
Franz Xaver Messerschmidt, The Yawner,1770

Ero in banca e il giornale con l’articolo, lasciato sul bancone mi attrae subito. Il concetto di felicità, dice, muta nel tempo, ma  viene sempre individuato in aspirazioni socialmente condivise, quali: la bellezza, il denaro e il sesso. L’articolo dedica anche uno spazio all’uso di droghe. Infine, leggo, nel tempo sono cambiati i metodi per soddisfare queste aspirazioni. Oggi, ad esempio, le donne non si mettono più i corsetti per modellare il corpo e renderlo attraente, ma tutti – uomini e donne – si piegano ormai alle cure che promettono bellezza e giovinezza.

Ci ho pensato qualche giorno e passo all’autocritica: cosa faccio per essere felice? Qualche volta cedo allo shopping. Certo il sesso fa parte della vita, ma non è veicolo di felicità più del benessere: le due cose non sono le stesse.  C’è chi pensa alla giovinezza eterna, o al denaro che può permettere di mangiare al ristorante, di comprare la macchina nuova, il televisore, i vini raffinati.

No, secondo me tutto ciò non è vera felicità.  I miei momenti più felici li ho trascorsi (e credo mi attendano) tutte le volte che mi sono messa in relazione con altre persone per dare e ricevere calore umano e affetto.

Concludo. Stasera sono andata a prendere mia figlia a Yoga e sul bancone ho trovato questo messaggio;

5 semplici regole per la felicità:

1-Libera il tuo cuore dal risentimento

2 Libera la tua mente dalle preoccupazioni

3 Vivi semplicemente

4 Dai di più

5 Aspettati di meno

chiacchiere del lunedì

Non mi perdo mai il piccolo scritto che Gianfranco Ravasi mette sul domenicale del Sole 24 ore, in prima pagina. Un settimana fa diceva di essere passato attraverso le sale dei Musei Vaticani ed aver visto gruppi di studenti stanchi e indifferenti alle spiegazioni dei professori. Ravasi si è allora rifatto a Plutarco e ha riportato le sue parole: L’opera del maestro non deve consistere nel riempire un sacco ma nell’accendere una fiamma.

Accendere l’interesse: ma è davvero così facile? Io credo che per farlo il maestro debba conoscere molto bene la materia ed essere in grado di manipolarla e renderla viva. Un esempio in questi anni è stato Roberto Benigni, con le sue letture della Divina Commedia.

Accendere l’interesse è la cosa più difficile in questi tempi folli in cui si corre senza neppure sapere perché, in cui i giovani sono bersagliati da milioni di stimoli…  

Mentre pensavo a queste cose, mia figlia che studia in una scuola internazionale è arrivata tutta baldanzosa e mi ha mostrato un video sul Rinascimento visto a scuola, questo video le è piaciuto molto e l’ha fatta divertire. Me l’ho ha mostrato con entusiasmo. A me,  quando l’ho visto, si sono rizzati tutti i capelli in testa e ancora ora mi domando se è questo a cui andremo incontro nell’insegnamento, per attrarre l’attenzione dei nostri figli.

Beh se funziona perché no!?

Date voi un’occhiata.

Che felicità

Che felicità quando senti che un giornale straniero importante come il Financial Times parla bene del tuo paese.

Che felicità, ti si allarga il cuore e dentro di te pensi che c’è ancora speranza.

Questo è ciò che ho provato la scorsa domenica quando,dopo pranzo, ho letto l’articolo di Harry Eyres dal titolo: A passeggiata to Italy. Il giornale ha, per l’edizione di sabato e domenica, un supplemento che è un po’ come il domenicale del Sole 24 Ore: Eyres vi tiene una rubrica, the Slow Lane. Già questo nome, la corsia lenta, la dice lunga sull’impostazione dell’autore: vi parla di stili di comportamento e situazioni che privilegiano la qualità di ciò che viviamo piuttosto che la quantità o la velocità. E proprio per questo parla ogni tanto di Italia.

Questa volta lo fa in maniera davvero intelligente. Parte da una tradizione tipica della nostra provincia: la passeggiata in centro, nel tardo pomeriggio, ossia lo struscio (chi non lo conosce o non l’ha fatto almeno una volta?). Eyres nota come il rivestirsi e rendersi ben presentabili per passeggiare avanti e indietro sul Corso, in modo da vedere e farsi vedere, non sia una mera esibizione, ma un modo per mantenere legati i fili che costituiscono il nostro tessuto sociale. Lo definisce una sorta di antidoto all’atomizzazione della società di oggi.  A un certo punto dice anche: “è qualcosa che abbiamo perso, nel nostro mondo (si riferisce a quello anglosassone) se mai lo abbiamo avuto”.

E’ così che finisce col legare la passeggiata a uno stile di vita desiderabile, bello, conscio dell’importanza del fattore sociale nella vita d ognuno di noi. E siccome siamo in Italia, fa seguire la passeggiata dall’aperitivo (e qui si stupisce di mangiare una serie di leccornie offerte liberamente sul banco del bar, mentre beve un bicchiere di buon vino). E chiude dicendo: a questo punto sono pronto per la solenne attività della cena.

Ah, l’Italia. Ancora maestra di stile di vita nelle piccole cose di ogni giorno, che sono il sale dell’esistenza, e così capace di rovinarsi l’immagine  nel mondo a causa delle furberie meschine di pochi.

Ma verrà mai un periodo nel quale saremo rispettati a tutto tondo, per lo stile, per come ci comportiamo, per come siamo?

Chiacchiere del lunedì

L’amore e i lucchetti di Ponte Milvio

Cosa meglio di un lucchetto chiuso per sempre può rappresentare l’amore eterno? A Roma sul Ponte Milvio, complice il romanzo di Federico Moccia del 2006 (Tre metri sopra il cielo), l’usanza era quella di chiudere un lucchetto agganciandolo alle centinaia di altri presenti sul ponte gettando la chiave nel Tevere come segno di sempiterno amore. Qualche giorno fa, il Municipio di Roma, grazie a un decreto risalente al dicembre del 2011, ha dato il via alla rimozioni dell’ingombrante cumulo di lucchetti, che non solo, a detta degli abitanti dei dintorni, deturpavano l’aspetto dell’antichissimo ponte, ma anche, a detta dei tecnici, ne minava la stabilità.

Noi ci abbiamo riflettuto.

– Da sempre le monetine nella fontana di Trevi, la mano nella Bocca della Verità, a Roma… per non parlare del pestare le parti basse del Toro simbolo di Torino sotto i portici di Piazza San Carlo (tradizione esportata anche a Milano nella Galleria Vittorio Emanuele)… oggi i lucchetti di letteraria (?) natura, si tratta di consuetudini più o meno antiche che devono essere rubricate come scaramanzia o semplicemente come dabbenaggine?

– La vita delle cose è stato il tema dell’ultima edizione del festival della Filosofia di Modena. In un bel articolo apparso sul domenicale del Sole 24 Ore del 9 settembre, Remo Bodei ha espresso un concetto importante per differenziare il significato di oggetto e cosa. Gli oggetti sono inanimati le cose invece portano in sè affetti, idee  e simboli. Non gli oggetti ma le cose hanno la forza di unire storie individuali e collettive, natura e civiltà umane. Ho pensato allora ad un piccolo portafoglio di tela che mia madre mi ha consegno’ anni fa: conteneva un po’ di spago, delle monetine e un coltellino. ” Conservalo, mi disse, apparteneva al babbo di mia madre quando era in guerra”. Quelle cose sono per la mia famiglia un pezzo della nostra storia.  Ci serve per riunirci alla storia dell’umanità.

Concetto bellissimo, di grande poesia, ma a volte le cose che rappresentano per taluni passi importanti nella vita, ricordi, pezzi di storia,  possono danneggiare, come nel caso dei lucchetti, un importante e antico bene comune, allora ben venga che, come si è ventilato (ma non realizzato), questa massa di lucchetti trovi posto altrove, per non svilirne il significato che hanno assunto…

-Anche i lucchetti ispirati al romanzetto d’amore di Moccia, dal momento che vengono lasciati su un ponte, diventano automaticamente delle cose. E io sono d’accordo quando Baudel scrive che ” le cose rappresentano nodi di relazioni con la vita degli altri” e per questo non riesco ad essere cosi sicura che sia stato giusto toglierli. Ho chiesto il parere di mia figlia adolescente. Come prima risposta non ha avuto dubbi: hanno fatto bene a toglierli, ha detto. Subito dopo pero’ ha cambiato idea e ha aggiunto: ” certo mi sarebbe piaciuto vederli; non so come spiegarti, ma mi sembra incredibile che ognuno di essi rappresentasse una storia d’amore”…

Fateci sapere che ne pensate… siete pro o contro?