Pronti a ballare?

Vogliamo continuare questa settimana che si preannuncia triste e grigia mettendo un po’ di musica? Vi dispiace se ci dedichiamo a quella un po’ demenziale, tipo il motivetto che ti entra in testa e non ti abbandona più?

Allora parliamo della star del momento che canta la hit del momento… Mi riferisco a Psy, artsita coreano, che con il suo tormentone Gangnam Style ci sta facendo impazzire.

Affrontiamo però l’argomento seriamente, inannazitutto parlando del nuovo pop coreano, il cosiddetto K-pop (abbreviazione per Korean pop) che sta all’origine del Gangnam Style. Questo tipo di musica nasce alla fine del secolo scorso, al termine degli infiniti conflitti che avevano visto la Corea del Sud protagonista di indicibili sofferenze, quando questa eccezionale nazione decide di reinventarsi. Il nuovo livello di vita rende i coreani più propensi al divertimento. Nascono dunque, in un tessuto sociale in fermento,  a livello artistico, nuovi modi di esprimersi alcuni dei quali si rifanno alla tradizione occidentale, che però viene completamente reinterpretata in chiave neo-orientale, ovviamente non tutti allo stesso livello quanto a originalità e creatività.

Sulla scia delle boys bands occidentali nascono infatti boys bands coreane composte da innumerevoli cantanti e ballerini, funanbolici e istrionici.

Il magazine americano Rolling stone dà la seguente definizione di K pop  «il K pop è una miscela di musica occidentale alla moda e pop giapponese ad alta energia, che attacca le orecchie di chi ascolta con ganci ripetuti, si eprime a volte in lingua inglese, fondendo canto e rap ed enfatizzando le performance visive».

Torniamo a Psy, non più giovanissimo, conosciuto fino a questa estate come cantante, rapper, ballerino e produttore solo nell’ambiente coreano e definito oggi dal segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon «un uomo che con la sua energia può aiutare ad uscire dalla palude della crisi mondiale». Mica male no? Il suo video su you tube è naturalmente virale ed é di oggi la notizia che è stato cliccato 805 milioni di volte. Da luglio, quando è uscito il suo motivetto, è stato ballato non solo in tutto il mondo, ma da tutto il mondo (persino il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, durante la sua campagna elettorale promise che lo avrebbe ballato privatamente a Michelle una volta rieletto alla Casa Bianca). Non si contano i flash mob che l’hanno utilizzata come colonna sonora!

Noi ve lo vogliamo mostrare ballato da un danzatore di eccezione, che con questo video ancora una volta ha sfidato il governo del suo paese, per sottolineare quanto sia importante la libertà dell’arte e dell’artista.

Vi presentiamo dunque Ai Weiwei che danza Gangnam Style di Psy. Godetevelo!

Incontrare l’arte quando meno te lo aspetti

Se c’è una persona a cui piace sorprendersi nell’incontrare l’arte nei posti più insoliti quella sono io . Mi entusiasma  inciampare nell’arte quando meno me lo aspetto.  Tutti gli esperimenti fatti in arte, per portarla in luoghi altri da quelli a lei ufficialmente consacrati, mi sembrano sforzi ben meritevoli di lode.  Ricordo quando, nel 1986, il critico Jan Hoet presentò Chambres d’Amis a Gand (Belgio). La mostra era nata invitando  cinquanta artisti a realizzare le loro installazioni non nel museo, ma dentro le case di chi si era disponibile ad accoglierli. L’idea era nuova  e stimolante, ben diversa dalla mostra Chambres presentata in questo momento  al Mamco di Ginevra,  dove un gruppo di artisti è stato invitato a presentare delle installazioni in forma di camere:  un concetto ben più triste di quello belga, anche se sono proprio belle  quelle di Silvie Fleuiry e di George Segal.

Ebbene,  l’altro giorno camminando per la città di Ginevra mi sono imbattuta senza saperlo in un angolo delle sorprese. Come se l’arte mi  aspettasse senza che io lo sapessi. Questo angolo è un luogo piuttosto anonimo nei pressi di Plainpalais, esattamente nel Rond Point de Planpalais, un luogo conosciuto più per la fermata del tram che per l’arte. Lì, infatti, mi sono trovata davanti a dei viaggiatori distratti,  sparsi nella piazza, ma fatti di bronzo, a grandezza naturale: ho scoperto che sono opera di Gerald Ducimetiere. La targhetta diceva: Alter Ego 1905-1982-3000.

Lì, vicino alle sculture, ho scoperto una piccola stanza a vetri, che prima doveva essere una sala di attesa, o una  biglietteria, e che adesso è divenuta luogo per esposizioni d’arte. In questi giorni vi si scorge un’installazione dal titolo Europe The Final Countdown,  realizzata dall’artista inglese Scott King. Questo lavoro vuole far riflettere sull’opportunità per l’Europa (in seguito anche al premio nobel per la pace che ha ottenuto quest’anno) di dar vita a un Eureopean Museum of Unity (EMU). Lo spazio è gestito da un centro d’arte – Zabrinskie Point – che ha aperto nel 2011 e vuole diventare un luogo per performance, esposizioni e per l’incontro della cittadinanza con l’arte. Il tutto sempre realizzando progetti internazionali legati anche a questioni sociali.

Un luogo che incuriosisce e a cui mi sono già affezionata. Lo guarderò ogni volta che passo di lì, per scoprire cosa contiene.

Prova d’autore

Philip Roth, 80 anni il prossimo marzo, ha pubblicamente annunciato, attraverso il magazine francese Les in Rocks di non voler più scrivere.

Sul suo computer, infatti, ha digitato una frase molto chiara e definitiva: “la lotta con la scrittura è finita”.

Roth autore di capolavori indimenticabili quali La macchia umana, Pastorale americana, Lamento di Portnoy, Nemesis e tanti tanti altri, segna cosi il suo addio alla scrittura che per lui è stata madre e matrigna… E anche facendo questo ci da una lezione di preziosa di stile ed umiltà.

Innanzitutto Roth ha un considerazione molto particolare della sua opera, egli infatti afferma di aver fatto del proprio meglio con il materiale umano e intellettuale a sua disposizione, non rinnega nulla, non ha rimpianti, afferma solo che il tempo della scrittura per lui à terminato, l’età soprattutto è ciò che lo ferma, l’età e la convinzione che non la scrittura, bensì la lettura sia ormai morta.

Nell’intervista rilasciata al magazine francese egli afferma che la scrittura è sempre stata un qualcosa di estremamente difficile per lui. Egli ha sempre avuto difficoltà a trovare soggetti e situazioni da comunicare. Ora a quasi ottant’anni Roth dice di non voler più leggere, scrivere e nemmeno parlare di romanzi, ai quali ha consacrato tutta la propria esistenza. Non prova più quel fanatismo giovanile che lo spingeva a non poter fare altro che scrivere. La sola idea di dover ancora una volta affrontare questa prova lo atterrisce. Oggi l’autore si sente privo di quella forza creatrice che ti spinge a scrivere ma che ti consuma interiormente. Scrivere significa essere sempre frustrato nelle proprie intenzioni di artista; si passa il tempo a scrivere le parole sbagliate, le frasi sbagliate, le storie sbagliate. Lo scrittore si sbaglia senza sosta e vive in uno stato di frustrazione perpetua. Si passa il tempo a dirsi questo non va, bisogna ricominciare.

Roth è stanco di tutto questo lavoro e per la scrittura non prove alcuna melanconia, si è dedicato, come egli stesso afferma, a un’attività che più si addice ad una persona così anziana. Sta sistemando, infatti, il suo archivio personale per affidarlo poi un autore di sua fiducia affinché ne faccia buon uso.

Non è che Roth non creda più nella scrittura, egli crede piuttosto di non poter comunicare più nulla al suo pubblico, di aver detto tutto ciò che poteva, non crede nella morte del romanzo ma nella morte della lettura, uccisa dallo schermo del cinema, della televisione e ultimamente del computer. Augura infine ai nuovi novellisti, come J. Franzen, di cui ammira l’opera, grande fortuna, ma soprattutto il coraggio di continuare nonostante tutto.

Con questo si chiude l’epopea di un mito del romanzo mondiale, con ciò Roth ha scritto già l’epitaffio sulla sua vita e la sua opera, sconfitto forse da un mondo troppo veloce, egli, cantore di un’intera epoca e di un’intera umanità, ha deciso di far tacere per sempre la sua voce.

Le case da salvare

È di ieri la notizia: in Svizzera a Epaliges (Losanna) verrà rasa al suolo la casa di Georges Simenon. La villa che l’autore di Maigret si fece costruire nel 1963. La casa, da tempo abbandonata, era stata occupata da un gruppo di squatter e trasformata in un centro d’arte. La villa verrà demolita e al suo posto verranno costruiti dodici edifici da sei appartamenti ciascuno.

Un buon affare finanziario.

La prima casa d’arte che ho visitato nella mia vita è stata il grande e imponente  Vittoriale di Gabriele d’Annunzio. Ero in gita, ero alle elementari e quel luogo mi inquietò e mi  sorprese  moltissimo. Non me lo sono più dimenticato.

Poi ho scoperto che ci sono  case famose come mete turistiche  anche se l’illustre personaggio non ci hai mai realmente vissuto. E’ il caso della casa Museo Buonarroti a Firenze, sede della famiglia Buonarroti ma non di Michelangelo. La casa vale comunque una visita fosse anche solo per vedere i due capolavori assoluti di Michelangelo  giovane: la Madonna della scala e la Battaglia dei Centauri (1490-1492).

Ci sono case costruite direttamente dentro le sculture, come la grande scultura dell’Imperatrice opera di Niki de St Phalle presso il giardino di sculture dei Tarocchi a Garavicchio  (Capalbio, Grosseto) . 

A questo progetto l’artista ha dedicato tutta se stessa e dentro la grande donna (una delle molte figure del parco) l’artista ha vissuto veramente: si possono ancora ammirare gli arredi tutti da le disegnati. Infine ci sono esempi di case che, se distrutte, farebbero scomparire anche l’anima dell’artista e tutto ciò che lo rappresenta. Sono casi in cui la casa diventa  il corpo e la mente dell’artista. Così è a Pistoia con la casa studio dell’artista Fernando Melani (1907-1985). Una piccolissima dimora dove l’artista ha vissuto  fin dal dopoguerra e dove si possono trovare molte delle sue opere  e del suo pensiero. Le opere leggono lo spazio della casa, come la distesa di Bucati un lavoro fatto di tele monocrome appese lungo tutto la stanza dedicata alla libreria.

Nella casa Melani si possono trovare opere che rappresentano un’esperienza dell’artista: sono fatte d’idee, come opere concettuali: l’accumularsi dei Giornali sulla scala o il Sacco di fiammiferi spenti nel salotto. Chi li vede sente che il peso e il volume che occupano nella casa  rappresentano materialmente il gesto quotidiano dell’artista che li ha accumulati. A noi oggi restituiscono  materialmente la quantità del tempo trascorso.  Melani è stato un’artista amato dagli artisti per il suo pensiero, le sue sperimentazioni, precursore dell’arte povera e inserito pienamente nel campo dell’arte del suo tempo.  Il comune ha acquistato la casetta nel 1987 e oggi diffondere l’opera di Melani attraverso essa è più importante di qualsiasi operazione finanziaria si possa fare.

Piccole donne crescono?

Sfogliando i giornali di queste ultime settimane (e non solo), salta all’occhio un dato agghiacciante, nel nostro Bel Paese, culla di antiche civiltà e depositario di cultura millenaria le donne muoiono ancora per mano di un fidanzato geloso, di un padre padrone, di uomini nei quali avevano riposto fiducia e dai quali sono state orribilmente tradite.

Madri, figlie, amanti, fidanzate, adolescenti, adulte, anziane non c’è un sistema nella follia omicida che le coinvolge, tranne forse l’assurda convinzione di uomini che le considerano «roba loro», un trofeo da esporre, un complemento del quale una volta stanchi ci si può sbarazzare. Oppure il contrario donne che diventano ossessioni, senza le quali non si vive ed allora meglio eliminarle piuttosto che correre il rischio che qualcun altro possa averle…

E le donne che fanno una «brutta fine» sono solo la punta dell’iceberg. Quante subiscono violenza fra le mura domestiche e la sopportano per mantenere un fragile equilibrio familiare, quante sono vittima di una violenza ancora più subdola che è quella psicologica con la quale vengono torturate, palgiate, usate e infine spente in nome di amori malati o di interessi senza scrupoli.

Siamo troppo spesso il bersaglio più facile e arrendevole, quello più a portata di mano, quello che tace e sopporta…

Non voglio fare generalizzazioni, che si sa, lasciano sempre il tempo che trovano, ma non vi sembra che il problema invece di risolversi come dovrebbe accadere in una società civile si sia acuito negli ultimi anni?

Non capisco nulla di psicologia, non so cosa agita le menti disturbate che arrivano a compiere tali atti definitivi, ma so che prima di arrivare ad essi in serbo per le donne c’è una lunga lista di violenze che diventano usuali, comuni, alle quali non ci si ribella per amore di tranquillità alimentando così il delirio di onnipotenza di alcuni individui.

La cosa triste è che non ho una ricetta, una formula, un consiglio per porre rimedio a tutto ciò.

Come mamma di figli maschi ho cercato di allevarli nel rispetto, ma come mamma di una bambina le mie paure sono tante.

Le posso augurare di avere fortuna, di rimanere sempre lucida, di avere, se necessario, il coraggio di denunciare, ma come potrò difenderla dall’ «orco cattivo» mascherato da «principe azzurro»?

Il libro, una scatola delle meraviglie

Considerare il libro come una scatola delle meraviglie. Un luogo dove le storie e i mondi che vi si presentano hanno la forza di un calamita e ti attraggono allontanandoti dalla vita di tutti i giorni. Se questo non bastasse, attorno alla magia del libro come oggetto, non ci girano solo gli scrittori, i lettori gli appassionati, ma da sempre è anche materia da esplorare per gli artisti. Oggi vi vorrei parlare proprio dei libri d’artista per presentarvi due lavori molto diversi tra loro, ma entrambi interessati.
Il primo e’ di un’artista inglese, diplomatasi alla Royal Academy nel 2003 che si chiama Su Blackwell.


Su Blackwell è una scultrice di carta, partita da studi di design e tessuto, arrivata attraverso gli origami a creare delle opere incredibili che nascono dalle pagine dei libri. Cerca dei libri che le interessano che la ispirano  e li taglia, li modella per creare delle figure dei personaggi che affascinano chiunque li veda.
Sul suo sito web si legge che il suo interesse è quello di riflettere sulla precarietà del mondo, la fragilità della nostra vita, dei nostri sogni e delle nostre ambizioni. I libri da lei preferiti sono le fiabe prese dalla tradizione. Tutti i suoi lavori sono fatti da lei, a mano, e poi messi dentro bacheche di vetro . Se volete visitare il suo sito www.sublackwell.co.uk.

L’altra artista di cui vi volevo parlare, sempre donna, è un’americana Tauba Auerbach di San Francisco che vive e lavora a New York. Fin da piccola interessata al mondo dell’alfabeto e del linguaggio è  arrivata perfino a creare un diario con una scrittura di sua invenzione . Ha realizzato da poco un atlante cromatico incredibile dal titolo RBG Colorspace Atlas che è la stampa di tutti i possibili colori ottenibili in RGB (la sigla sta per red, green, blu con cui viene indicato il sistema colorimetrico tricromatico basato sull’assunzione dei colori puro rosso verde e blu) , in un cubo rilegato di 8x8x8 pollici. Un lavoro magnetico fatto di ricerca e colore, che forma una scultura, un libro, un mondo tutto nuovo da esplorare.

Quanto può aiutare una pacca sulla spalla

Ho frequentato le scuole elementari presso una scuola cattolica ed allora le maestre erano ancora solo suore. Non voglio alimentare il trito cliché della suora terribile che bacchettava i bambini che non facevano i compiti (sebbene di bacchettate me ne sia presa qualcuna…), tuttavia questo atteggiamento rispecchiava un tipo di educazione che andava per la maggiore: il metodo della carota e del bastone, che se su qualcuno ha avuto indubbi benefici, ha contribuito anche a creare personalità disturbate. Ma tant’é, allora non si andava tanto per il sottile…

Mi voglio occupare della famosa “carota”, della “pacca sulla spalla” perché recenti studi di alcuni ricercatori giapponesi hanno evidenziato, con dati scientifici alla mano, che le persone che ricevono complimenti per il loro lavoro sono invogliati a fare sempre meglio, cioé traggono da questi riconoscimenti, motivazioni valide a per andare avanti e migliorarsi. La ragione scientifica risiederebbe nel fatto che i complimenti attivano la stessa parte del cervello che viene attivata quando si riceve del danaro, quindi il nostro cervello recepisce i complimenti come moneta contante e ci aiuterebbe a «funzionare» meglio.

Scusate, ma ci volevano i ricercatori giapponesi ? Suor Margherita quarant’anni fa l’aveva capito benissimo…

Specchio specchio delle mie brame…

Lo specchio e lo specchiarsi sono fra i temi preferiti dall’arte nel corso della sua intera storia. Chi non ricorda il volto del pittore Jan Van Eyck riflesso nello specchio alle spalle dei coniugi Arnolfini, oppure Las Meninas di Diego Velasquez dove l’Infanta Margherita guarda, il re e la regina  che noi vediamo perchè riflessi in uno specchio dietro di lei.


Porsi davanti al quadro a dipingere il proprio riflesso o permettere di vedere parte della scena dipinta da un punto di vista diverso. E così il tema dello specchio non cessa mai di interessare gli artisti: anche oggi  continuano a rifletterci e attraverso esso ci ripropongono lo spazio rendendoci nuove percezioni. Penso ad artisti contemporanei come Daniel Buren che lo  ha usato per nascondere e mimitizzare una forma architettonica. Oppure lo specchio è usato per capovolgere il luogo e lo amplifica: come certi lavori di Enrico Castellani che dal quadro monocromo con la tela estroflessa è passato ad interessare lo spazio circostante. Infine  che dire del maestro dello specchio ovvero delle opere di Michelagelo Pistoletto che per decenni ha permesso ai suoi spettatori di filettersi nelle sue opere.

Lo specchio mi fa pensare anche quando l’artista si mette nei panni del  Narciso come nel caso dell’artista tedesco Olaf Nicolai con il suo “Ritratto del’artista come Narciso in lacrime” del 2000, la scultura in vetro resina è il ritratto dell’artista in ginocchio davanti alla sua immagine . L’opera in questi giorni è esposta al Museo dell’Accademia di Firenze nella mostra Arte torna arte. Una mostra collettiva di diversi artisti contemporanei messi a confronto e in dialogo con l’arte antica del museo.

E io, assolutamente convinta che l’arte contemporanea sia un piacere da saper cogliere con la curiosità che ha un bambino nei confronti del mondo, non posso dimenticare  quando mi portavano alla fiera: mi divertiva tantissimo entrare nel labirinto degli specchi dove ogni volta mi vedevo lunga e bassa, magra o grassa, e mi divertivo un sacco ad immaginare una realtà diversa da quella che conoscevo. In fondo quell’emozione era legata al  tema della realtà e dell’illusione tanto cara all’arte di tutti i tempi.

Che felicità

Che felicità quando senti che un giornale straniero importante come il Financial Times parla bene del tuo paese.

Che felicità, ti si allarga il cuore e dentro di te pensi che c’è ancora speranza.

Questo è ciò che ho provato la scorsa domenica quando,dopo pranzo, ho letto l’articolo di Harry Eyres dal titolo: A passeggiata to Italy. Il giornale ha, per l’edizione di sabato e domenica, un supplemento che è un po’ come il domenicale del Sole 24 Ore: Eyres vi tiene una rubrica, the Slow Lane. Già questo nome, la corsia lenta, la dice lunga sull’impostazione dell’autore: vi parla di stili di comportamento e situazioni che privilegiano la qualità di ciò che viviamo piuttosto che la quantità o la velocità. E proprio per questo parla ogni tanto di Italia.

Questa volta lo fa in maniera davvero intelligente. Parte da una tradizione tipica della nostra provincia: la passeggiata in centro, nel tardo pomeriggio, ossia lo struscio (chi non lo conosce o non l’ha fatto almeno una volta?). Eyres nota come il rivestirsi e rendersi ben presentabili per passeggiare avanti e indietro sul Corso, in modo da vedere e farsi vedere, non sia una mera esibizione, ma un modo per mantenere legati i fili che costituiscono il nostro tessuto sociale. Lo definisce una sorta di antidoto all’atomizzazione della società di oggi.  A un certo punto dice anche: “è qualcosa che abbiamo perso, nel nostro mondo (si riferisce a quello anglosassone) se mai lo abbiamo avuto”.

E’ così che finisce col legare la passeggiata a uno stile di vita desiderabile, bello, conscio dell’importanza del fattore sociale nella vita d ognuno di noi. E siccome siamo in Italia, fa seguire la passeggiata dall’aperitivo (e qui si stupisce di mangiare una serie di leccornie offerte liberamente sul banco del bar, mentre beve un bicchiere di buon vino). E chiude dicendo: a questo punto sono pronto per la solenne attività della cena.

Ah, l’Italia. Ancora maestra di stile di vita nelle piccole cose di ogni giorno, che sono il sale dell’esistenza, e così capace di rovinarsi l’immagine  nel mondo a causa delle furberie meschine di pochi.

Ma verrà mai un periodo nel quale saremo rispettati a tutto tondo, per lo stile, per come ci comportiamo, per come siamo?

Poses

È il desiderio di provocare qualche reazione, di innescare un processo di critica sociale o semplicemente di generare fastidio nei “benpensanti” che spinge Yolanda Dominguez, giovane artista Spagnola, a ideare e sviluppare progetti artistici in cui lo spettatore è libero di mostrare che posizione adottare rispetto all’opera.

Le tematiche che l’artista affronta, che siano esse espresse in filmati, fotografie o installazioni, sono quelle “calde” della società contemporanea sarcasticamente e ironicamente distorte per il gusto di suscitare un dibattito e un confronto.

Nelle sue performance protagonista assoluto diventa il pubblico al quale la Dominguez strappa di volta in volta un sorriso, un moto di stizza, un commento indignato.

Particolarmente interessante fra le opere di questa singolare artista è il filmato Poses in cui con gusto e ironia affronta l’ossessione esercitata sull’universo  femminile dalla bellezza, dall’apparenza e da tutto ciò che si sacrifica in nome di un ideale irraggiungibile, ossessione promossa da brand che propongono una nuova personalità “su misura” a chi personalità non ha.

La Dominguez vuole dimostrare che quella “bellezza” artefatta di cui si riempiono le pagine patinate delle riviste di moda è un “valore femminile” distorto, che troppo spesso viene posto in primo piano rispetto ai veri valori di cui siamo portatrici. Ecco allora che in Poses donne normalissime si sostituiscono alle modelle filiformi assumendone le pose fotografiche, rifiutando la visione di una donna “spalmata, sottomessa, ritorta, inferma, anoressica” (come la stessa autrice ha affermato) e creando un’esilarante carrellata di personaggi reali che scimmiottano le beauty fashion quasi a voler affermare: io sono molto più del paio di scarpe che indosso o della borsa che porto!

Una mostra personale sarà a Milano fino al 15 di novembre al Rojo Artspace  http://www.kalpany.com